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Pubblicato in Altri diritti

La valutazione della “gravità della lesione e serietà del danno”: la Suprema Corte si pronuncia sulla risarcibilità del danno cagionato per effetto del trattamento dei dati personali

by Avv. Claudia Mariani on20 Agosto 2014

    Riflessioni a margine della pronuncia della Suprema Corte n. 16133 del 15 luglio 2014

1.      Il caso

M. P., P. M. e P. V. proponevano ricorso ex art. 152 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, per ottenere tutela del proprio diritto alla riservatezza, violato dall'illecito trattamento, ad opera della Università degli Studi R. T., dei rispettivi dati personali. In primo grado il Tribunale accoglieva la domanda dei ricorrenti e così disponeva la cancellazione dal web dei dati personali ed identificativi dei medesimi, inibendone la diffusione all'Università resistente, che condannava, altresì, al risarcimento dei danni non patrimoniali patiti dagli stessi attori, liquidati nella somma di euro 3.000,00.

Il Tribunale non riteneva sussistente nel caso di specie alcun danno non patrimoniale e pur essendo stato dedotto "il patema d'animo sofferto per rischio di possibili furti della propria identità, con la necessità di continui controlli", riteneva non dimostrata "tale ultima circostanza", riscontrando, però, a fondamento del liquidato pregiudizio, un "disagio conseguente alla propria (indiscriminata) esposizione personale anche di carattere economico"

- Per la cassazione di tale sentenza ricorre l'Università degli Studi di R. T.

2. Il principio di diritto enunciato

“il danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell'art. 15 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (c.d. codice della privacy) non si sottrae alla verifica di "gravità della lesione" (concernente il diritto fondamentale alla protezione dei dati personali, quale intimamente legato ai diritti ed alle libertà indicate dall'art. 2 del codice, convergenti tutti funzionalmente alla tutela piena della persona umana e della sua dignità) e di "serietà del danno" (quale perdita di natura personale effettivamente patita dall'interessato), che, in linea generale, si richiede in applicazione dell'art. 2059 cod. civ. nelle ipotesi di pregiudizio inferto ai diritti inviolabili previsti in Costituzione. Ciò in quanto, anche nella fattispecie di danno non patrimoniale di cui al citato art. 15, opera il bilanciamento (siccome pienamente consentito all'interprete dal modo in cui si è realizzata nello specifico l'intexpositio legislatoris) del diritto tutelato da detta disposizione con il principio di solidarietà - di cui il principio di tolleranza è intrinseco precipitato -, il quale, nella sua immanente configurazione, costituisce il punto di mediazione che permette all'ordinamento di salvaguardare il diritto del singolo nell'ambito di una concreta comunità di persone che deve affrontare i costi di una esistenza collettiva. L'accertamento di fatto rimesso, a tal fine, al giudice del merito, in forza di previe allegazioni e di coerenti istanze istruttorie di parte, dovrà essere ancorato alla concretezza della vicenda materiale portata alla cognizione giudiziale ed al suo essere maturata in un dato contesto temporale e sociale, dovendo l'indagine, illuminata dal bilanciamento anzidetto, proiettarsi sugli aspetti contingenti dell'offesa e sulla singolarità delle perdite personali verificatesi. Un siffatto accertamento - che, ove l'offesa non superi la soglia di minima tollerabilità o il danno sia futile, può condurre anche ad escludere la possibilità di somministrare il risarcimento del danno - è come tale sottratto al sindacato di legittimità se congruamente motivato”.

3. Il commento

La sentenza in commento offre l’ennesima occasione per soffermarsi sulla figura del danno non patrimoniale e sulla risarcibilità dello stesso.

La lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., compiuta dalla Cassazione civile in occasione delle note sentenze gemelle [#1] e la reductio ad unum del danno non patrimoniale non sono state frutto di un processo unico [#2] come forse logica imponeva, ma è occorso un passaggio ulteriore necessario per togliere dalla scena la figura del c.d. danno esistenziale; e tale passaggio è stato effettuato più di recente, seppur in modo ambiguo, dalle Sezioni Unite dell’11-11-2008 [#3].

La risarcibilità dei danni di natura non patrimoniale, non derivanti da reato, prima della lettura costituzionalmente orientata, ha trovato spazio nel nostro ordinamento attraverso il medio del danno esistenziale [#4]: quello che però è stato mezzo ad un certo punto della vicenda è diventato fine, dotandosi di una autoreferenzialità del tutto estranea alla vocazione originaria, che ne ha fatto perdere il significato, lasciando spazio alla pretesa tutela dei più svariati interessi. Quanto alla categoria del danno esistenziale si potrebbe aderire, senza per questo sentirsi affetti da ossessioni negazioniste [#5], alla posizione di chi la trova essenzialmente forviante e superflua (tralasciando gli innumerevoli problemi sorti in ordine al regime probatorio [#6]), dal momento che tali sofferenze subite, potrebbero essere tranquillamente risarcite alla stregua del danno morale, liberato dalla accezione di patema transeunte e capace dunque di esprimere tutte le sue potenzialità [#7], il che presuppone l’ormai pacifica affrancazione del danno morale soggettivo dalle ipotesi di reato. A parere della stessa dottrina l’art. 2059 si presta a risarcire qualunque pregiudizio di natura non patrimoniale, sia esso pretium doloris o lesione di beni costituzionalmente rilevanti, dunque non si comprenderebbe ormai la diversità ontologica che dovrebbe contraddistinguere il danno morale dal danno esistenziale [#8].

Le stesse sentenze gemelle del 2003 hanno confermato che il danno alla persona ancorché composto da tutte le sue voci, risponda pressoché all’esigenza di occuparsi delle conseguenze del fatto illecito. La distinzione classica che da sempre è stata evocata in proposito ovvero quella tra danno evento e danno conseguenza a è stata superata da successive pronunce ed in particolare per quanto attiene al campo della presente indagine è stato abbracciato l’orientamento dottrinario che rinviene la necessità di un secondo nesso anche nell’ ipotesi di illecito aquiliano, non potendosi arrestare l’indagine causale alla sola ricerca del nesso tra condotta e evento «dal punto di vista di teoria generale degli elementi costitutivi la fattispecie della responsabilità aquiliana art. 2043, sembra, quindi, non del tutto corretto individuare due tipi di danni che vengono rispettivamente a collocarsi, il primo a livello di eventi, il secondo sul piano delle conseguenze» [#9].

Il concetto giuridico di evento, così come mutuato dalla dottrina penalistica, è concetto più ristretto di quello usato nel linguaggio comune: non si esaurisce con l’accadimento in sé né d’altra parte si identifica con la condotta antigiuridica [#10]. Alla luce di quanto sopra appare evidente e del tutto condivisibile la scelta della Suprema Corte di applicare i principi di cui sopra alla fattispecie concreta e di statuire che anche in caso di violazione dell’art.15 del Codice della privacy occorrerà vagliare attentamente la ricorrenza degli elementi propri della fattispecie dell’illecito aquiliano ed in particolare introduce quale parametri la gravità della lesione e serietà del danno. La sentenza introduce una svolta interpretativa epocale relativamente agli illeciti conseguenti la violazione delle norme in materia di trattamento dei dati personali. Ed infatti non sfugge come il combinato disposto di cui agli artt. 11e 15 del codice della Privacy incarni una sorta di danno evento conseguente al mero verificarsi dell’evento ove la mera violazione costituisce illecito aquiliano. La Cassazione va ben oltre però. Ricostruisce e ricava due criteri di selezione per delimitare il danno risarcibile. La conclusione coerente con i precedenti richiamati è la seguente “il danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell'art. 15 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (c.d. codice della privacy) non si sottrae alla verifica di "gravità della lesione" (concernente il diritto fondamentale alla protezione dei dati personali, quale intimamente legato ai diritti ed alle libertà indicate dall'art. 2 del codice, convergenti tutti funzionalmente alla tutela piena della persona umana e della sua dignità) e di "serietà del danno" (quale perdita di natura personale effettivamente patita dall'interessato), che, in linea generale, si richiede in applicazione dell'art. 2059 cod. civ. nelle ipotesi di pregiudizio inferto ai diritti inviolabili previsti in Costituzione. Ciò in quanto, anche nella fattispecie di danno non patrimoniale di cui al citato art. 15, opera il bilanciamento (siccome pienamente consentito all'interprete dal modo in cui si è realizzata nello specifico l'intexpositio legislatoris) del diritto tutelato da detta disposizione con il principio di solidarietà - di cui il principio di tolleranza è intrinseco precipitato -, il quale, nella sua immanente configurazione, costituisce il punto di mediazione che permette all'ordinamento di salvaguardare il diritto del singolo nell'ambito di una concreta comunità di persone che deve affrontare i costi di una esistenza collettiva. L'accertamento di fatto rimesso, a tal fine, al giudice del merito, in forza di previe allegazioni e di coerenti istanze istruttorie di parte, dovrà essere ancorato alla concretezza della vicenda materiale portata alla cognizione giudiziale ed al suo essere maturata in un dato contesto temporale e sociale, dovendo l'indagine, illuminata dal bilanciamento anzidetto, proiettarsi sugli aspetti contingenti dell'offesa e sulla singolarità delle perdite personali verificatesi. Un siffatto accertamento - che, ove l'offesa non superi la soglia di minima tollerabilità o il danno sia futile, può condurre anche ad escludere la possibilità di somministrare il risarcimento del danno - è come tale sottratto al sindacato di legittimità se congruamente motivato”.

L’unico appunto forse è il richiamo (forse volutamente non esplicitato) al bilanciamento di interessi e il richiamo confuso in motivazione ai rimedi primari quali quelli inibitori.

Volendo discorrere in ottica rimediale come sembra fare la Suprema Corte nella misura in cui illustra che “il rimedio risarcitorio si accompagna nel disegno del legislatore del codice (ndr. Codice della privacy) ad una tutela inibitoria composita, che rende pertanto suscettibile di graduare la risposta in funzione delle concrete esigenze dell’interessato” non sfugge che tale ottica mal si concilii con il bilanciamento di interessi poi evocato come già espresso da chiara dottrina quando specifica che il rimedio presuppone un conflitto ma “il conflitto non implica di necessità un bilanciamento di interessi” [#11]La sensazione è che ancora una volta si sia cercato di ricostruire un quadro quanto più possibile coerente e uniforme per evitare un proliferare di richieste di risarcimento e soprattutto per evitare che il trattamento dei dati personali potesse sfociare in una vera e propria ipotesi di attività pericolosa – o meglio di responsabilità oggettiva. Vero è che le conclusioni raggiunte inequivocabilmente continuano a poggiare sullo scivoloso terreno dell’ingiustizia del danno [#12] – così come incastonata nel 2043 – terreno dal quale (per fortuna?) non si riesce ad oggi a trovare una univoca uscita. Ma di questo gli operatori del diritto e gli studiosi non si possono che rallegrare atteso che se da un lato un allargamento indiscriminato delle maglie del 2043 può portare a risarcimenti di eventi bagatellari, dall’altro è proprio la coscienza sociale – richiamata in sentenza - e la riflessione scientifica che ne sublima l’essenza divenendone espressione – ad allargare gli orizzonti di tutela immanenti all’ordinamento consentendo loro di vivificarsi così come il David di Michelangelo prese forma uscendo dalla magnifica lastra di marmo ove era imprigionato.


[1] Cass. 31-5-2003, n. 8827-8828.

[2] Altro è però affermare che l’intera disciplina del danno non patrimoniale va oramai ricondotta all’alveo dell’art. 2059, altro è invece concepire il danno non patrimoniale come sintesi di più voci e tra queste il danno esistenziale,

[3] Cass. sentenza 11.11.2008, n. 26972.

[4] È, questa, una interpretazione largamente condivisibile ma si deve pur riconoscere alla figura del danno esistenziale e ai suoi autorevoli padri, l’indubbio merito di aver promosso «sul terreno risarcitorio, quella piena valorizzazione della persona verso cui appare rivolto lo sviluppo della nostra società» (P. Cendon, Prospettive del danno esistenziale, Dir. fam., 2000, 262) di aver acceso i riflettori della responsabilità civile sopra tipologie di danni che appiattiti o non considerati, perché non riuscivano ad entrare a pieno titolo né nelle maglie dell’art. 2043, né tanto meno nelle strette maglie dell’art. 2059. In questo caso il bisogno di tutela è stato talmente forte da prevenire il riconoscimento del diritto in chiave aquiliana.

[5] L’espressione è di P. Cendon , Danno esistenziale e ossessioni negazioniste, Resp. civ e previdenza, 2/2007, nota a Cass. n. 23918/2006.

[6] Si rinvia alle note a Cass. S.U 6572/2006 di P. Cendon, Voci lontane, sempre presenti sul danno esistenziale, Foro it., 2006 e di G. Ponzanelli. La prova del danno non patrimoniale 2234 s.

[7] V. sul punto Ponzanelli, Il risarcimento integrale senza il danno esistenziale (Padova 2007), 5 s., L’ A. in particolare teme che diversamente non si possa che giungere alla moltiplicazione dei diritti e dei danni.

[8] Così in particolare PonzanelliIl risarcimento integrale cit., 7 s.

[9] G. Ponzanelli, La Cortecostituzionale, il danno non patrimoniale e il danno alla salute, Foro.it, 1986, 2056.

[10] Procida Mirabelli di LauroIl danno ingiusto (Dall’ermeneutica “bipolare” alla teoria generale “monocentrica” della responsabilità civile) ” Parte I - Ingiustizia, patrimonialità e risarcibilità del danno nel “law in action”, Riv. critica dir. priv., 2003, 20 ss.

[11] S. Mazzamuto Rimedi specifici e responsabilità(Iseg Gioacchino Scaduto 2011).

[12] Sulla qualificazione dell’ingiustizia quale clausola generale v. Rodotà, Il problema della responsabilità civile cit., contra Castronovo, La nuova responsabilità cit., 202 s.; Id., Responsabilità civile antitrust:balocchi e profumi, in Danno e resp., 5/2004, 47;ex multis, P. Schlesinger, La «ingiustizia» del danno nell’illecito civile, Jus, 1960, 336 s.; R. Scognamiglio, Illecito (diritto vigente), Novissimo Dig. it., VIII (Torino 1962), 164 ss; sulla qualificazione di essa quale normagenerale v. Castronovo, Problema e sistema nel danno da prodotti (Milano 1979), 79 s., e M. Barcellona, Sulla struttura formale del giudizio di responsabilità (Milano 1984), 111 s. Per la lettura dell’art. 2043 c.c. come norma in bianco liberamente integrabile dal giudice, il quale dovrebbe, tramite un giudizio ex post di bilanciamento degli interessi, conferire al c.d. interesse di fatto rango di situazione giuridica tutelata cfr. M. Libertini, Nuove riflessioni in tema di tutela inibitoria e di risarcimento del danno, Riv. crit. dir. priv., 1995, 395 ss., spec. 404; Id., Ancora sui rimedi civilistici conseguenti a violazione di norme antitrust, Danno e resp., 2004, 937: «il danno risarcibile consiste nella lesione di qualsiasi interesse socialmente apprezzabile, che abbia dato luogo ad un pregiudizio patrimonialmente valutabile e possa quindi essere riparato mediante l’imposizione ex lege, ad un soggetto ritenuto responsabile, di una prestazione suscettibile di valutazione economica. Il danno (astrattamente) risarcibile diviene altresì danno “ingiusto” ex art. 2043 c.c., con il conseguente insorgere dell’obbligazione riparatoria ex lege, se e in quanto la posizione del soggetto cui è imputabile il fatto causativo del danno non sia suscettibile, in una valutazione comparativa degli interessi in gioco, di una valutazione poziore rispetto a quella del soggetto danneggiato». Per la definizionedi clausola generale quale «tecnica di formazione giudiziale della regola da applicare al caso concreto» e della norma generale quale «tecnica di conformazione della fattispecie legale opposta al metodo casistico» v. L. Mengoni, Spunti per una teoria delle clausole generali, Riv. crit. dir. priv., 1987, 9-11.V. in chiave di teoria generale v. C. Scognamiglio, Ingiustizia del danno, Enc. giur. Treccani, XVII (Roma 1996), agg., 6. In particolare sul giudizio di bilanciamento degli interessi v. di Majo, La responsabilità civile nella prospettiva dei rimedi:la funzione deterrente, Eur dir. priv., 2008, 30 e S. Mazzamuto, I rimedi, Manuale di diritto privato europeo, II (Milano 2007), 755.

Ultima modifica il 28 Agosto 2014