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Sentenza Costituzionale n. 1 del 2014, tra crisi del sistema e test di ragionevolezza, arriva una riforma elettorale obbligata

by Dott.ssa Silvia Trovato on10 Settembre 2014

La Corte Costituzionale con la Sentenza 14 gennaio n. 1 del 2014, definita di “politica del diritto”, ha bocciato la precedente legge elettorale, la l. n. 270 del 2005, definita in seguito “porcellum”, dichiarandola incostituzionale nei suoi elementi caratterizzanti.

Con tale incisivo intervento, la Corte ha certificato una situazione di preoccupante squilibrio tra i poteri e tra le competenze costituzionalmente definite; in particolare tale sentenza costituzionale segnala lo stato di profonda debolezza del Parlamento, del suo ruolo e della sua capacità di esercitare in concreto i propri poteri costituzionali.

L’immobilismo del legislatore in materia elettorale potrebbe spiegarsi con la paradossale situazione di stasi della politica Italiana, nella quale nessuno aveva la forza di cambiare la legge elettorale e, nessuno, poteva proporre passi decisivi, tale equilibrio tra le forze, o meglio tale impasse, celava in sé la paura di perdere le prossime elezioni.

La l. 270/2005 fu formulata dall’allora ministro per le riforme, Roberto Calderoli che la definì, egli stesso, “una porcata” in un’intervista televisiva, e fu per questo soprannominata “porcellum” dal politologo Giovanni Sartori.

La norma ha sostituito le precedenti l. n. 276 e 277 del 1993 (c.d. “Mattarellum”), introducendo un sistema proporzionale corretto, con premio di maggioranza ed elezione di più parlamentari contemporaneamente in collegi estesi, senza possibilità di indicare preferenze.

Le novità, così introdotte dalla l. n. 270 del 2005, sono state giudicate, sin da subito, negativamente dalla dottrina, ma nonostante le critiche la legge elettorale Calderoli rimase in vigore, sino a quando nel novembre del 2009, l’avv. Aldo Bozzi, convenne in giudizio presso il Tribunale di Milano, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministero dell’Interno, sostenendo che la l. n. 270 del 2005, con cui si era votato nel 2006 e nel 2008, li aveva costretti ad esercitare il proprio diritto al voto in senso contrario ai principi costituzionali. Le richieste dei ricorrenti sono state dichiarate infondate, prima dal Tribunale e poi dalla Corte d’Appello ([1]). La Corte di Cassazione, invece, il 17 maggio del 2013, ha criticato aspramente la legge Calderoli, rilevando importanti questioni di legittimità costituzionali e affidando alla Consulta un eventuale giudizio.

La disamina della Consulta, come già detto, ha portato alla dichiarazione di incostituzionalità, tale epilogo della vicenda non coglie alla sprovvista; infatti la sentenza n. 1 del 2014 era stata preceduta da tre chiari moniti della Corte (le sentenze n. 15 e 16 del 2008 e n. 13 del 2012), e l’esplicito preannuncio di incostituzionalità, formulato dal Presidente della Corte, Franco Gallo, in sede di conferenza stampa il 12 aprile del 2013 ([2]).

Nonostante questi oscuri presagi, il Parlamento è rimasto inerme e il Giudice costituzionale si è visto costretto a svolgere un’opera di supplenza normativa incisiva, che svela una patologia del sistema.

1.1.La sentenza Costituzionale 14 gennaio n. 1 del 2014

Le ragioni della incostituzionalità della l. n. 270 del 2005 riguardano due elementi in particolare; il premio di maggioranza e il voto di lista bloccato.

Tuttavia, con riferimento alla motivazione della sentenza, la decisione della Consulta suscita qualche perplessità:

il primo problemaè rappresentato da un ostacolo di ordine processuale, riguardante la possibilità per la Consulta di giudicare sull’incostituzionalità della legislazione elettorale, classificata, da sempre, dalla dottrina tra “i macroscopici esempi di zona d’ombra (se non proprio di zona franca) della giustizia costituzionale” ([3]).

Il secondo problema è rappresentato dal fatto che il Costituente ha intenzionalmente lasciato al legislatore ordinario la scelta del sistema elettorale - respingendo la proposta di fare proprio il principio proporzionale – e affidando ampia discrezionalità sul tema al legislatore ordinario ([4]).

Nonostante le problematiche strutturali, appena citate, la Corte ha deciso di svolgere un sindacato estremamente penetrante, caratterizzato da un impiego davvero incisivo del principio di ragionevolezza.

L’utilizzo di tale canone ermeneutico così evanescente e sfumato è caratterizzato dall’uso di una ragione attenuata o modulata ([5]) grazie alla quale la Consulta riesce a svolgere il suo ruolo di custode della Costituzione, tuttavia, proprio questo carattere sfumato della ragionevolezza ha spesso esposto la Corte all’accusa di ricoprire un ruolo politico e di invadere le funzioni del Parlamento, in particolar modo, quando, come nel caso della sentenza n. 1 del 2014, il giudizio di ragionevolezza si sgancia dal dettato normativo dell’art. 3 Cost. per arrivare a svolgere un giudizio di coerenza, adeguatezza, proporzionalità della legge emanata dal Parlamento ([6]).

Quindi, la l. n. 270 del 2005, è irragionevole nella parte in cui prevede un premio di maggioranza in difetto del presupposto della soglia minima di voti o di seggi, configurando un meccanismo premiale “foriero di una eccessiva sovra-rappresentazione della lista di maggioranza relativa, in quanto consente ad una lista che abbia ottenuto un numero di voti, anche relativamente esiguo, di acquistare la maggioranza assoluta dei voti” ([7]).

Inoltre, aggiunge la Corte: “il principio di eguaglianza del voto, in ogni caso esige che ciascun voto contribuisca potenzialmente e con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi” ([8]).

L’irragionevolezza del premio di maggioranza è inteso dalla Corte, in questo caso, come mancato superamento del test di proporzionalità, in quanto tra più misure appropriate per raggiungere l’obbiettivo della governabilità la norma non prescrive quella meno restrittiva del contrapposto interesse della rappresentatività.

Secondo elemento di irragionevolezza, nella legge n. 270 del 2005, riguarda il voto di lista bloccato, nella parte in cui non consente all’elettore di esprimere una preferenza, tale meccanismo, infatti, incide negativamente sull’esercizio del diritto di voto, privando l’elettore di ogni margine di scelta dei propri rappresentanti, scelta che è rimessa completamente ai partiti.

Il voto di lista bloccato è incostituzionale, in quanto fa dipendere l’elezione di deputati e senatori dall’ordine di posizione nella lista dei candidati, quindi da criteri estranei alla volontà degli elettori, ecco perché si è parlato di “ Parlamento dei (già) nominati”([9]) ([10]).

1.2.La nuova legge elettorale, l’Italicum

Nella stesura della nuova legge elettorale il Parlamento dovrà affrontare innanzitutto un problema contingente: il contesto del sistema politico Italiano, che prima della ultime elezioni, era consolidato in una prospettiva di tendenziale bipolarismo, in cui le coalizioni che si contendevano il governo del Paese erano due, ed era, quindi, normale che entrambe raggiungessero un livello di consenso elettorale elevato, almeno vicino alla maggioranza politica (e parlamentare), tale che, il meccanismo del premio di maggioranza funzionasse ,effettivamente, alla stregua di un piccolo correttivo numerico, necessario per garantire una chiara indicazione di governabilità.

In una situazione come quella che, invece, si è materializzata alle ultime elezioni, caratterizzata da un sistema disordinatamente frammentato in tre grandi blocchi elettorali, il premio di maggioranza può diventare (ed in effetti è diventato nella l. n. 270 del 2005) un vero e proprio fattore di stravolgimento, di radicale alterazione, delle dinamiche elettorali e dei significati più elementari del principio di rappresentatività del Parlamento ([11]) ([12]).

La futura legge elettorale dovrà affrontare inoltre le otto criticità c.d. costituzionali, che riguardano i seguenti aspetti: a) il premio di maggioranza, b) le liste bloccate, c) le pluricandidature, d) il Senato delle autonomie, e) il riequilibrio tra generi, f) una nuova ripartizione competenze Stato- Regioni, g) soppressione del cnel, h) i senatori designati dal Presidente della Repubblica.

·         Il premio di maggioranza e le soglie di sbarramento: nella definizione del premio di maggioranza e della soglia di sbarramento il Parlamento dovrà effettuare un bilanciamento tra due contrapposti interessi, da un lato, le ragioni della stabilità e governabilità del paese, dall’altro, le ragioni della rappresentanza. La Corte costituzionale, infatti, nella sent. n. 1 del 2014, aveva menzionato il valore della stabilità governativa, “che può esserci, ma è legittima solo fintantoché ci sia una proporzione tra i sacrifici dei due diritti contrastanti, e quindi,  non può essere un valore fondante di una legge elettorale”.

Cominciamo, quindi, dai numeri impazziti previsti dalla legge elettorale: è fissata una soglia di sbarramento al 37 %, necessaria per ottenere il premio di maggioranza. Un’altra soglia del 12 %, è quella che le coalizioni devono superare per entrare in Parlamento, i partiti che si presentano all’interno di una coalizione devono superare il 4,5 %; altrimenti, se corrono da soli, la soglia sale all’8 %.

Proprio su quest’ultima soglia dell’8 %, va fatta una riflessione a parte ed ulteriore.

L’8 % ,infatti, rappresenta una soglia molto elevata e potrebbe portare alla conseguenza negativa di escludere l’organo di rappresentanza di una fetta molto rilevante di elettori, e ciò significherebbe mettere in silenzio i partiti più piccoli e togliere di mezzo le opinioni dissenzienti ([13]).

Un altro aspetto fondamentale è il premio di maggioranza, pari al 15 % che viene assegnata alla coalizione che supera il 37 %  per arrivare alla maggioranza del 52 % dei suffragi ([14]).

·         Le liste brevi: con la riforma elettorale si vuole ovviare alla dichiarazione di incostituzionalità sulle liste bloccate, proponendo la soluzione delle liste brevi (che consistono nella riduzione del numero di candidati e dell’ampiezza delle circoscrizioni).

Tuttavia la dottrina ha già espresso forti critiche per la soluzione delle liste brevi, infatti, nonostante l’aspetto positivo di garantire la conoscibilità dei candidati, vi è il rischio concreto che “in un sistema proporzionale, la distribuzione nazionale o comunque pluri-circoscrizionale dei seggi renda nuovamente indeterminato il rapporto elettore-eletto” ([15]).

·         Le pluricandidature: sono pensate con la ratio di ridurre il tasso di casualità nella distribuzione dei seggi, pertanto il disegno di legge permette, attualmente, ad un singolo candidato di presentarsi in liste con il medesimo contrassegno, fino ad un massimo di otto collegi plurinominali; “tale misura è stata giudicata necessaria al fine di ridurre il rischio che , per la volontà del caso, più ancora che per volontà degli elettori, alcuni leader di partito non riescano ad ottenere il seggio”([16]).

Questo meccanismo rientra in una logica strettamente politicista di non abbandonare i leader di partito alla “roulette dell’assegnazione dei seggi”.

Tuttavia, la Consulta ha già rilevato – nella sent. n. 1 del 2014 – che la possibilità di candidature multiple causa un’ulteriore limitazione della libertà dell’elettore e del suo diritto di voto; il rischio che l’elettore corre è di votare per un candidato, solo in apparenza “riconoscibile”, perché inserito in una lista breve, per poi scoprire di aver favorito, invece, l’elezione di altro candidato a lui del tutto sconosciuto.

·         Il Senato delle autonomie:la nuova legge elettorale vuole modificare il tradizionale bicameralismo perfetto, considerato da sempre un’ipoteca pesantissima sul funzionamento del sistema elettorale, il Senato diventerebbe una camera di rappresentanza territoriale, che controlla e disciplina i rapporti tra centro e periferia, non collegata al Governo dal rapporto di fiducia.

Persino le modalità di elezione della due camere si diversificherebbero, infatti la nuova legge elettorale regolerebbe solo l’elezione della Camera dei deputati, mentre la ex legge Calderoli, depurata dalle inammissibilità rilevate dalla Consulta, regolerebbe l’elezione del nuovo Senato; si passerebbe, dunque, dal bicameralismo paritario al bicameralismo strabico, non molto distante da un monocameralismo di fatto.

Ma la riforma del Senato lascia parecchi dubbi aperti, senza fornire una risposta certa.

In primo luogo, non si sa bene come impostare la rappresentanza del Senato, un impasto di presidenti di regione e sindaci; scompaiono persino i senatori a vita, sostituiti da senatori di nomina presidenziale in carica per sette anni.

In secondo luogo, non si sa come qualificare il Senato delle autonomie, ancora come una camera del Parlamento, al pari dell’attuale Senato della Repubblica, oppure come un’assemblea, certamente importante, ma non catalogabile come ramo del Parlamento ed assimilabile sostanzialmente alla conferenza Stato-Regioni? Quest’aspetto della riforma è fondamentale, perché si riverbera direttamente e pesantemente sul problema delle immunità parlamentari ([17]),  problema alla fine risolto decidendo di parificare ,almeno per l’immunità, deputati e senatori.

In terzo luogo, la scelta di eliminare il bicameralismo perfetto richiede un potenziamento sul piano delle garanzie, si potrebbe, ad esempio, estendere l’accesso alla Corte costituzionale, anche da parte delle minoranze parlamentari, se non dai cittadini singolarmente, oppure, ampliare i poteri di controllo del Presidente della Repubblica consentendogli un secondo rinvio sulle leggi, superabile soltanto a maggioranza assoluta ([18]).

  • Il riequilibrio tra i generi:

nella normativa galleggia, dimenandosi nell’inutilità, una disposizione che vorrebbe, nelle intenzioni, tutelare la presenza nelle liste di entrambi i sessi: “nella successione interna delle liste, nei collegi plurinominali, non possono esservi più di due candidati consecutivi del medesimo sesso”, tuttavia, il perverso meccanismo di distribuzione dei seggi fa dubitare che tale semplice escamotage, dell’alternanza dei sessi, possa avere efficacia.

“Infatti, a causa della frammentazione delle circoscrizioni, neppure i partiti maggiori potranno aspirare ad ottenere un numero elevato di parlamentari nei singoli collegi. Pertanto la possibilità di essere eletti sarà riservata esclusivamente ai capilista e, nei partiti maggiori, solo ad alcuni tra coloro che verranno collocati tra i primissimi posti dell’elenco di lista. Ecco perché inserire un genere dal terzo posto in poi equivarrebbe ad una sicura esclusione dalla competizione elettorale([19]).

In dottrina sono state avanzate due diverse soluzioni, la prima, sostiene la necessità di adottare il meccanismo della “doppia candidatura” per i capilista ([20]), la seconda, suggerisce la previsione di una “preferenza di genere” che consente di indicare sulla scheda, facoltativamente, un secondo nome, purché questa opzione cada su di un candidato di sesso diverso dal primo in lista ([21]).

  • Una nuova ripartizione di competenze Stato-Regioni:

la nuova riforma porta con sé la volontà di una ristrutturazione del Titolo V e delle competenze tra Stato e Regioni, mirante alla soppressione delle competenze concorrenti, tale scelta denota la volontà di procedere verso una ricentralizzazione delle competenze in favore dello Stato.

  • I senatori designati dal Presidente della Repubblica:

I senatori di elezione presidenziale sono 21, essi rappresentano l’equivalente numerico di due gruppi Parlamentari; in dottrina è stato già definito “il partito del Presidente” ([22]) che rischia di essere trasformato da organo arbitrale a vero e proprio organo politico.

1.3. Conclusioni

Luigi Sturzo diceva che “La legge elettorale, dopo la Costituzione, è la più importante nell’ordine costituzionale”, le ragioni di questa affermazione sono palesi, è, infatti, innegabile che il destino del paese sia collegato alla legge elettorale, perché essa racchiude in sé, più di qualsiasi altra legge, un carattere che è necessariamente politico.

Quello che si è verificato in Italia con la sentenza n. 1 del 2014 è grave, in quanto, in futuro dovremmo confidare nella surreale “costituzionalità sopravvenuta della legge elettorale, categoria nuova e opposta rispetto all’incostituzionalità sopravvenuta delle leggi, familiare ai giuristi”([23])

La l. n. 270 del 2005 sembrava avere come suo scopo principale la riduzione ai minimi termini della rappresentanza e del pluralismo, a favore di una perenne e mai realizzata esigenza di governabilità comunque ed in ogni caso, sino ad arrivare all’aberrante paradosso che la legge elettorale dovesse riuscire a governare anche senza la maggioranza del popolo votante!

Al contrario la luce guida della nuova riforma elettorale dovrebbe essere  favorire la rappresentanza reale, assicurando, non solo la partecipazione effettiva, ma un valore e un senso al voto, altrimenti la situazione politica resterà così come dipinta da Montale in una manciata di versi sul nostro paese:

Piove
sulla Gazzetta Ufficiale
qui dal balcone aperto,
piove sul Parlamento,
piove su via Solferino,
piove senza che il vento
smuova le carte.([24]).



[1]              A. Poggi, “Politica Costituzionale e legge elettorale: prime osservazioni alla sentenza n. del 2014”, in rivista giuridica Confronti Costituzionali del 16 gennaio 2014.

[2]             G. Azzariti, “La riforma Elettorale”, in Seminario A.I.C., “I Costituzionalisti e le riforme”, Università di Milano, 28 Aprile 2014.

[3]              A. Pizzorusso, “Zone d’ombra e zone franche della giustizia costituzionale italiana”, in www.giurcost.org.

[4]              F. Ghera, “La sentenza n. 1/2014 della Corte costituzionale profili processuali e sostanziali” in www.dirittifondamentali.itdel 28.5.2014.

[5]              F. Modugno, “La ragionevolezza nella giustizia costituzionale”, Editoriale Scientifica, Napoli, 2007.

[6]              A. Morrone, “Il custode della ragionevolezza”, Giuffrè, Bologna, 2001.

[7]              Corte Costituzionale  n. 1/2014, 3.1 in diritto.

[8]              Corte costituzionale ult. Op. cit.

[9]              A. D’Aloia, “Finale di partita, incostituzionale la legge elettorale” in rivista giuridica Confronti costituzionali del 6 dicembre 2013.

[10]             Il voto di preferenza è da sempre sospettato di portare con sé una serie di frutti avvelenati”, come ad esempio un’eccessiva competizione interna a ciascun partito, una lievitazione dei costi delle campagne elettorali (con tutti i problemi legati al loro finanziamento), il rischio di una maggiore penetrazione di pratiche anomale o illecite, si pensi a tal riguardo al voto di scambio o peggio al controllo delle preferenze e delle “cordate” da parte della criminalità organizzata. Così in  A. D’Aloia, “La sentenza n. 1 del 2014 e l’Italicum”, in rivista giuridica Confronti Costituzionali del 30 gennaio 2014.

La stessa corte CEDU ha, nel caso “Saccomanni e altri contro Italia” (13 marzo 2012), ha escluso che il sistema delle liste bloccate sia in contrasto con le norme della Convenzione, trovando persino una giustificazione alla scelta legislativa delle liste bloccate, nell’obbiettivo di contrastare l’influenza della criminalità organizzata sul risultato elettorale e di prevenire il commercio di voti.

[11]             A. D’Aloia, “Finale di partita. Incostituzionale la legge elettorale”, in rivista giuridica Confronti Costituzionali del 6 dicembre del 2013.

[12]             Ulteriori problemi contingenti da affrontare con la nuova legge elettorale, sono:

a) la grande assenza di interventi tesi a rafforzare la democrazia diretta, come ad esempio: leggi popolari, referendum propositivo, recall;

b) i problemi di estetica costituzionale, che molti definiranno un vezzo, ma così non è,“Infatti la Costituzione è la carta d’identità di un popolo, e deve essere scritta per essere capita da tutti, basti a tal fine citare un episodio: i costituenti del 1947 nelle ultime convulse giornate, che precedettero il voto definitivo, dovettero affrontare forti critiche sulla qualità letteraria del testo; per ovviare a tali critiche Terracini incaricò Concetto Marchesi di rileggerne gli articoli, uno ad uno, affiancandogli due scrittori, il critico letterario Pietro Pancrazi e il saggista Antonio Baldini. Il risultato è che la Costituzione italiana offre un esempio anche di stile letterario, in termini di sobrietà, di eleganza, di proprietà lessicale” M. Ainis, “La luce e l’ombra”, in  rivista giuridica Confronti Costituzionali del 14 aprile 2014.

[13]             M. Miraglia, “L’Italicum come il Porcellum”, in Estense.com, quotidiano on line di informazione ferrarese dell’11 maggio 2014.

[14]             R. Binelli, “Legge elettorale, ecco cosa prevede l’Italicum” nel il Giornale.it del 11 marzo 2014.

[15]             G. Azzariti, “La riforma Elettorale”, in Seminario A.I.C., “I Costituzionalisti e le riforme”, -Università di Milano, 28 Aprile 2014.

“è certamente possibile, infatti, che il voto espresso in un determinato collegio a favore di un candidato, sia utilizzato per contribuire all’elezione di tutt’altro parlamentare in una diversa circoscrizione. Sicché il voto dell’elettore torna ad essere esclusivamente per la lista di partito, privando, di nuovo l’elettore del diritto di influire sulla scelta dei propri rappresentanti”.

[16]             G. Azzariti, ult. Op. cit.

[17]             C. martinelli, “Le immunità dei senatori e la natura del nuovo Senato”, in Confronti Costituzionali del 24 giugno 2014.

[18]             M. Ainis, “La luce e l’ombra”, in rivista giuridica Confronti Costituzionali del 14 aprile 2014.

[19]             G. Azzariti, “La riforma Elettorale”, in Seminario A.I.C., “I Costituzionalisti e le riforme”, -Università di Milano, 28 Aprile 2014.

[20]             L. Carlassare, “La legge elettorale Berlusconi-Renzi e le sue varie illegittimità” in Articolo21.org.

[21]             C. Salazar, “quel che resta del Porcellum: brevi riflessioni sul comunicato della Corte Costituzionale”,  in Confronti Costituzionali del 9 dicembre 2013.

[22]             M, Ainis, “La luce e l’ombra”, in Confronti Costituzionali del 14 aprile 2014.

[23]            M. Ainis, ult. op. cit.

[24]             E. Montale, “Piove” in Satura 1971.

Ultima modifica il 01 Ottobre 2014