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Pubblicato in Altri diritti

SULLA LEGITTIMA DIFESA DOMICILIARE

by Dott. Valerio Pagnotta on20 Settembre 2014

Recentemente la Cassazione si è pronunciata con riferimento all’applicazione della c.d. legittima difesa domiciliare, prevista dall’art. 52 c.p., commi 2 e 3. In particolare, la sentenza 28802 del 3 luglio 2014 riafferma quello che è da tempo l’orientamento costante della Suprema Corte in materia, ovvero ritenere la citata disposizione, introdotta con la L.59/2006, come un’ipotesi speciale di legittima difesa.

Prima di entrare nel merito della questione che ha vagliato la Corte con riferimento al caso di specie, è opportuno ripercorrere le tappe e le argomentazioni mosse da dottrina e giurisprudenza in relazione all’istituto della legittima difesa domiciliare o “allargata[i].

Tale novella, come detto, venne introdotta nel 2006 a seguito di alcuni fatti di cronaca aventi ad oggetto furti e/o rapine in esercizi commerciali e abitazioni, e che hanno visto le persone offese dei riferiti reati reagire “per legittima difesa” con l’uso di armi da fuoco, provocando la morte gli autori.

Tuttavia, all’epoca, non si era ritenuta sufficiente la disposizione prevista dal primo comma dell’art. 52 c.p. in quanto i requisiti della legittima difesa in senso stretto comprendono, oltre al pericolo attuale, all’offesa ingiusta, e all’inevitabilità della reazione difensiva, anche il principio di proporzionalità tra offesa al bene giuridico e reazione (difesa) alla stessa, ovvero un raffronto tra l’interesse minacciato e quello sacrificato attraverso la reazione, tenuto conto però “di tutte le particolarità del caso concreto[ii]. Sicché, per consentire ai soggetti esercenti l’attività difensiva di avere più ampie possibilità di difesa e meno rischi di subire un processo per tali reazioni[iii], il legislatore ha provveduto ad integrare la norma relativa alla legittima difesa con l’odierna disposizione di cui ai commi 2 e 3.

Difatti, la novella del 2006 introduce al comma 2 che “nei casi previsti dall’art.614, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria incolumità; b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione”, e al comma 3 che “la disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale”.

Tuttavia, le critiche più aspre mosse all’intervento legislativo furono di molteplice natura: da chi criticava la norma sotto il profilo strutturale[iv] a chi invece, nel merito, parlava di licenza di uccidere[v].

A porre un’interpretazione coerente con il sistema ha provveduto sin da subito la giurisprudenza di legittimità che ha affermato apertamente che la riforma del 2006 “ha riguardato solo il concetto di proporzionalità[vi] e che “non consente un’indiscriminata reazione nei confronti del soggetto che si introduca fraudolentemente nella propria dimora[vii].

Venendo ora all’analisi della sentenza 28802/2014, merita sicuramente attenzione il fatto avvenuto: intorno alle ore 2 di notte ignoti, dopo aver scavalcato il cancello d’ingresso ed aver smontato la serratura della porta d’accesso, si erano introdotti nell’abitazione dell’imputato e si erano portati al primo piano ove erano situate le camere da letto. A seguito dell’entrata in funzione dell’allarme, il proprietario si era alzato per controllare cosa fosse avvenuto e vide una persona che teneva in una mano una torcia, con la quale lo aveva abbagliato, e nell’altra un oggetto non individuato. Rientrato in camera chiuse la porta che dava nel soggiorno e prese il fucile che nascondeva sotto al letto, per poi portarsi sul balcone che dava sul retro della casa dal quale notò una persona che si stava impossessando della sua autovettura. Visto ciò, esplose un colpo di fucile verso la macchina, colpendo il ladro che si stava dirigendo con essa verso il cancello, per poi spostarsi su un altro balcone ed esplodere un ulteriore colpo.

Tra i motivi di ricorso che in questa Sede interessano vi era in particolare la critica mossa alla decisione della Corte territoriale nell’escludere il requisito dell’attualità dell’aggressione e quella della necessità della difesa in quanto, ad avviso del ricorrente, nel momento in cui i malviventi si stavano impossessando dell’autovettura non vi era altra possibilità per impedire ciò che utilizzare l’arma detenuta legittimamente.

Orbene, pronunciandosi sul ricorso presentato, la Corte, nel riportarsi all’orientamento da tempo affermatosi, ha ritenuto che nel caso di specie “al momento in cui il ricorrente ha usato l’arma per sparare non vi era alcun pericolo di aggressione, posto che i malviventi si stavano allontanando rubando l’autovettura” e che “risulta evidente che l’obiettivo dei ladri in quel momento era l’autovettura e l’imputato era certamente in condizione di rendesi conto che i ladri si stavano avviando alla fuga e, in tale frangente, il pericolo di un’aggressione era del tutto ipotetico”.

Sulla base delle predette argomentazioni, di conseguenza, la Corte ha rigettato il ricorso.

Detto ciò, appare evidente come la citata sentenza si aggiunga ad un ormai granitico elenco rappresentativo ancora una volta dell’onere attribuito ai giudici di legittimità di compensare le carenze del legislatore nella tecnica di formulazione della norma.

Ed invero ciò appare ancora più evidente laddove si consideri che l’affermazione fatta dal ricorrente in sede di legittimità era mossa da un tipico errore interpretativo della fattispecie di cui all’art.52, comma 2 c.p. in quanto norma di autotutela.

Difatti, il legislatore ha tenuto a specificare che nell’ipotesi di cui alla lett. b), comma 2, la proporzione tra offesa e difesa sussiste quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione. Ma come è stato opportunamente osservato[viii], “quando l’aggressore desiste, non si parla più di autotutela bensì di rappresaglia” e, di conseguenza, l’espressa menzione della lettera b) e il silenzio della lettera a) “può far pensare che nella fattispecie delineata da quest’ultima si possa agire anche contro chi abbia cessato dalla condotta aggressiva: e sarebbe davvero un’inammissibile e incostituzionale deformazione dei connotati dell’istituto”.

Inoltre, il concetto di mancata desistenza dovrebbe risultare “implicito nella stessa persistente attualità di una situazione di pericolo che l’aggressore si astenga dall’interrompere la condotta offensiva[ix].

Da quanto si qui affermato, con la sentenza 28802/2014 risulta ancora una volta il carattere di superfluità dell’asserita riforma del 2006[x], rappresentazione di una tendenza legislativa affermatasi negli anni nell’elaborazione celere e frettolosa di norme poco chiare all’interprete e che costringono la giurisprudenza di legittimità ad auto-attribuirsi una funzione nomofilattica dai caratteri “estensivi”, per non dire creativi.

 


[i]Termine ultimo coniato da Cadoppi in Cadoppi, «Si nox furtum faxit, si im occisit, iure causes esto». Riflessioni de lege ferenda sulla legittima difesa, in AA. VV., Studi in onore di Giorgio Marinucci, a cura di E. Dolcini e C.E. Paliero, Milano, 2006, 1377 ss.

[ii]M.Gallo, Appunti di diritto penale, Vol.II, il Reato, Parte I, La fattispecie oggettiva, Torino, 2007, 220.

[iii]Cadoppi – Veneziani, Manuale di diritto penale, Padova, 2007, 254.

[iv]In particolare G. Fiandaca – E. Musco, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2010, 292, secondo i quali “piuttosto che riuscire ad indicare in modo preciso e univoco come possa legittimamente reagire il padrone di casa o di negozio minacciato dal ladro o dal rapinatore, il «testo» infine approvato dal legislatore del 2006 risulta infatti così mal congegnato, che ogni sua possibile interpretazione si espone (…) a riserve critiche

[v]Pisa, La legittima difesa tra Far West ed Europa, in Dir. pen. e proc., 2004, 797 ss.

[vi] Cass., Sez. I pen., 8 marzo 2007, n.16677.

[vii]Cass., Sez. I pen., 21 febbraio 2007, n.12466.

[viii] M.Gallo, Appunti di diritto penale, Vol.II, il Reato, Parte I, La fattispecie oggettiva, op. cit., 227, che prosegue ritenendo che “dal punto di vista della corretta tecnica legislativa, o si sarebbe dovuto subordinare l’esercizio della difesa legittima alla non desistenza da parte dell’aggressore anche nell’ipotesi della lettera a), o se ne sarebbe dovuto tacere tanto in questa che nella lettera b). La soluzione cui, invece, si è pervenuti sembra soltanto un volenteroso tentativo di assicurare i dubbiosi che, quando non è in gioco la persona propria o altrui, nella auto-tutela del patrimonio non ci si spinge troppo oltre”.

[ix]G. Fiandaca – E. Musco, Diritto penale. Parte generale, op. cit., 295.

[x]Cass., Sez. III pen., 29 gennaio 2013, n.15366.

Ultima modifica il 20 Settembre 2014