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L’ITALICUM, UN SISTEMA ELETTORALE CON POCHE LUCI E MOLTE OMBRE

by Daniele Coduti ricercatore di Diritto costituzionale on08 Ottobre 2014

La discussione sulla riforma della legge elettorale pare passata in secondo piano nelle ultime settimane ma l’approvazione in prima lettura al Senato del progetto di riforma costituzionale, che – tra l’altro – intende superare il bicameralismo paritario che caratterizza il Parlamento italiano[1], consiglia di fare il punto su quella che potrebbe essere la futura legge elettorale.

La disciplina elettorale attualmente in vigore si basa sulla l. n. 270 del 2005, che, però, va letta alla luce della sent. n. 1 del 2014 della Corte costituzionale (http://www.lavocedeldiritto.it/index.php/altri-diritti/item/708-sentenza-costituzionale-n-1-del-2014-tra-crisi-del-sistema-e-test-di-ragionevolezza-arriva-una-riforma-elettorale-obbligata).

La l. n. 270 è stata approvata considerando un sistema partitico che sembrava stabilizzato in senso bipolare, ovvero con due coalizioni di partiti contrapposte che potevano aspirare ad assumere la guida del Paese e poco spazio per i partiti collocatisi fuori dalle coalizioni[2]. La legge elettorale ha configurato un sistema elettorale di tipo proporzionale, con liste bloccate e caratterizzato da soglie di sbarramento (differenti sia per la Camera e il Senato sia per le liste e le coalizioni di liste) e da un premio di maggioranza strutturato diversamente per le due Camere, capace di produrre effetti tendenzialmente maggioritari.

Il notevole consenso elettorale riscosso da un nuovo movimento politico (il Movimento 5 Stelle) e il conseguente ridimensionamento dei due poli politici di centrodestra e centrosinistra, tuttavia, ha fatto emergere con chiarezza i limiti della legge elettorale del 2005, alcuni dei quali censurati dalla Corte costituzionale.

1. Con la sent. n. 1 del 2014 la Consulta ha dichiarato incostituzionale innanzitutto la previsione di un premio di maggioranza da assegnare alla lista o alla coalizione di liste più votata, indipendentemente dal raggiungimento di una percentuale minima di voti. In un sistema partitico frammentato, questo meccanismo potrebbe consentire ad un partito di dimensioni contenute di essere eccessivamente sovrarappresentato in Parlamento a discapito delle altre forze politiche, producendo «una distorsione fra voti espressi ed attribuzione di seggi che, pur essendo presente in qualsiasi sistema elettorale, nella specie assume una misura tale da comprometterne la compatibilità con il principio di eguaglianza del voto»[3].

Con la medesima pronuncia, la Corte costituzionale ha altresì censurato il meccanismo delle liste bloccate, come configurate dalla l. n. 270 del 2005. La Consulta, infatti, ha dichiarato incostituzionale il sistema delle liste bloccate “lunghe”, perché – nel complesso del sistema delineato da tale legge (liste bloccate, elenchi di candidati eccessivamente lunghi, impossibilità di riportare sulla scheda elettorale i nomi dei candidati, candidature multiple) – i candidati erano «difficilmente conoscibili dall’elettore», privandolo «di ogni margine di scelta dei propri rappresentanti, scelta (...) totalmente rimessa ai partiti»[4]. Per evitare di creare un vuoto normativo che renderebbe impossibile l’elezione delle Camere e, dunque, il funzionamento del Parlamento, con la citata sentenza la Corte costituzionale (con una decisione discutibile, in verità[5]) ha anche introdotto la possibilità per l’elettore di esprimere un voto di preferenza[6].

Il sistema elettorale che deriva dalla pronuncia della Corte costituzionale e che, allo stato attuale, rappresenta la disciplina a cui fare riferimento in caso di elezioni[7], è dunque un sistema elettorale proporzionale, senza premio di maggioranza, con le differenti soglie di sbarramento previste dalla l. n. 270 del 2005, senza liste bloccate e con la possibilità per l’elettore di esprimere un voto di preferenza.

2. La decisione della Corte costituzionale ha spinto il Parlamento a lavorare sulla riforma elettorale, tenendo anche conto della volontà di superare il bicameralismo paritario. La Camera dei deputati ha così approvato – il 12 febbraio 2014 – un progetto di riforma della normativa elettorale per l’elezione della sola Camera, comunemente definito “Italicum”, che è ora assegnato alla Commissione Affari costituzionali del Senato (d.d.l. A.S. 1385, XVII Legislatura) e di cui è opportuno riassumere i tratti essenziali.

Il sistema elettorale ipotizzato è proporzionale e prevede liste bloccate “corte”, soglie di sbarramento e premio di maggioranza, eventualmente da assegnare dopo un secondo turno di ballottaggio.

3. Entrando nel dettaglio, il citato d.d.l. prevede l’elezione dei deputati in collegi plurinominali, sulla base di liste bloccate che – in linea di massima[8] – dovrebbero contenere tra i tre e i sei candidati. È il caso di evidenziare che i collegi elettorali di piccole dimensioni potrebbero favorire le liste o coalizioni di liste di maggiori dimensioni, che hanno più probabilità di dividersi i pochi seggi in palio in ciascun collegio. La proposta di riforma, dunque, conferma il ricorso alle liste bloccate e l’esclusione del voto di preferenza, ma la previsione di liste “corte” e l’indicazione dei nominativi dei candidati sulla scheda elettorale potrebbero consentire di superare le censure della Corte costituzionale sul meccanismo delle liste bloccate “lunghe” disciplinato dalla l. n. 270 del 2005.

Invero, tali censure derivano anche dalla possibilità – prevista sempre dalla l. n. 270 – di candidarsi contestualmente in più circoscrizioni (candidature multiple), con la conseguente facoltà per l’eletto di decidere per quale seggio optare dopo l’elezione, rendendo, così, ancora meno chiaro l’effetto del voto degli elettori. Il progetto di riforma elettorale, tuttavia, non vieta le candidature multiple ma le limita: il candidato, infatti, potrebbe essere inserito nelle liste di più collegi plurinominali, sino ad un massimo di otto[9]. Per comprendere le ragioni di tale previsione occorre considerare che le candidature multiple potrebbero consentire alle formazioni politiche minori, che nel complesso della proposta di legge elettorale rischiano di essere penalizzate, di far eleggere quantomeno gli esponenti di spicco del partito.

Per la composizione delle liste, il d.d.l. contiene anche delle previsioni volte a tutelare la parità di genere, quantomeno nell’ambito delle circoscrizioni elettorali costituite da più collegi plurinominali[10]: «A pena di inammissibilità, nel complesso delle candidature circoscrizionali di ciascuna lista nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore al 50 per cento, con arrotondamento all’unità superiore; nella successione interna delle liste nei collegi plurinominali non possono esservi più di due candidati consecutivi del medesimo sesso»[11]. Tuttavia, in liste “corte” come quelle ipotizzate dal progetto di legge elettorale, difficilmente una lista eleggerà più di due candidati all’interno di ciascun collegio, il che potrebbe fortemente ridimensionare la capacità di tale previsione di garantire la parità di genere.

4. Al pari della l. n. 270 del 2005, il d.d.l. prevede la candidatura sia di liste sia di coalizioni di liste, rispetto alle quali operano soglie di sbarramento differenti.

Tra le coalizioni di liste, sono ammesse al riparto dei seggi quelle che abbiano conseguito almeno il 12% dei voti validi espressi e che contengano almeno una lista collegata che abbia conseguito sul piano nazionale almeno il 4,5% dei voti validi espressi ovvero una lista collegata rappresentativa di minoranze linguistiche riconosciute, presentata esclusivamente in una Regione ad autonomia speciale il cui statuto preveda una particolare tutela di tali minoranze linguistiche, che abbia conseguito almeno il 20% dei voti validi espressi nella Regione medesima. Per quanto riguarda le singole liste non collegate, invece, sono ammesse al riparto dei seggi quelle che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno 1’8% dei voti validi espressi, salvo, anche in questo caso, norme ad hoc per le liste rappresentative di minoranze linguistiche[12].

È il caso di osservare che una soglia di sbarramento dell’8% rischia di escludere dal riparto dei seggi forze politiche di dimensioni considerevoli, inducendole, così, a partecipare alle elezioni all’interno di coalizioni capaci di superare la soglia del 12%. D’altro canto, se non si prevedesse un premio di maggioranza (di cui si parlerà subito dopo) che può essere assegnato anche alle coalizioni di liste, la soglia di sbarramento dell’8% per le liste non coalizzate potrebbe indurre i partiti di maggiori dimensioni a partecipare alle elezioni senza coalizzarsi con altre liste, puntando proprio all’esclusione delle forze politiche minori. Questi due aspetti rischiano di perpetuare la formazione di coalizioni eterogenee, costituitesi al fine di superare le soglie di sbarramento oppure per ottenere il premio di maggioranza ma destinate a disgregarsi gradualmente durante la legislatura: un fenomeno a cui si è assistito praticamente per tutta la c.d. seconda Repubblica[13].

5. Come si è anticipato, il d.d.l. A.S. 1385 contempla anche un premio di maggioranza eventuale. Ai sensi del citato d.d.l., infatti, dopo le elezioni occorre in primo luogo verificare se una lista o coalizione di liste ha ottenuto il 37% dei voti validi espressi; se si raggiunge tale percentuale occorre ulteriormente verificare se ha conseguito almeno 340 seggi ovvero una percentuale di seggi, sul totale di 618[14], pari almeno alla percentuale della relativa cifra elettorale nazionale dei voti validamente espressi, aumentata di 15 punti percentuali; nel caso in cui anche questa verifica dia esito positivo, si procede al riparto dei seggi senza l’attribuzione di alcun premio di maggioranza, considerato che la lista o coalizione vincente dovrebbe aver conseguito almeno 321 seggi.

Invece, se la lista o la coalizione di liste, pur raggiungendo il 37% dei voti validi, non consegue l’indicato numero di seggi, ottiene un numero di seggi aggiuntivi (il premio di maggioranza, appunto) necessario per raggiungere tale consistenza, ma in ogni caso non più del numero di seggi sufficienti per arrivare al totale di 340 seggi.

Se nessuna lista o coalizione di liste raggiunge la soglia del 37%, si procede ad un secondo turno di ballottaggio tra le due liste o coalizioni di liste con le maggiori cifre elettorali nazionali, senza che ad esse possano apparentarsi altre liste o coalizioni presentatesi al primo turno; alla lista o coalizione più votata nel secondo turno sono assegnati 321 seggi. Il d.d.l., dunque, prevede premi di diversa consistenza, a seconda che la lista o coalizione di liste vincente si affermi al primo oppure al secondo turno.

Il progetto di riforma elettorale conferma la previsione di un premio di maggioranza, ma cerca di configurarlo in maniera tale da superare le censure avanzate dalla Corte costituzionale relativamente al meccanismo premiale disciplinato dalla l. n. 270 del 2005. In effetti, una delle ragioni della dichiarazione di incostituzionalità di tale meccanismo era rappresentata dall’attribuzione del premio indipendentemente dal raggiungimento di una “ragionevole” soglia di voti minima[15] da parte della lista o coalizione di liste più votata, all’interno di un sistema elettorale di tipo proporzionale con soglie di sbarramento, che già rappresentano un correttivo di tale sistema elettorale. Il progetto di riforma elettorale – che conferma la proporzionalità del sistema elettorale e le soglie di sbarramento – cerca di tener conto della pronuncia della Corte costituzionale individuando nel 37% la soglia di voti minima da considerarsi “ragionevole”. È ovvio che la definizione di tale soglia sia motivo di aspro confronto politico e possa diventare oggetto di una futura impugnazione dinanzi alla Consulta laddove il d.d.l. dovesse essere approvato senza modifiche[16].

6. In conclusione, si può osservare che il c.d. Italicum sia il frutto di almeno due esigenze diverse: da un lato, tener conto della sent. n. 1 del 2014 della Corte costituzionale; dall’altro, considerare il contingente contesto partitico ed il ruolo svolto negli anni della c.d. seconda Repubblica dagli schieramenti di centrodestra e centrosinistra.

Oltre ai singoli profili problematici, al sistema elettorale ipotizzato dal d.d.l. A.S. 1385 possono opporsi quantomeno due critiche di carattere generale.

In primo luogo, il citato d.d.l. non mira ad introdurre una nuova ed organica disciplina elettorale che sostituisca integralmente quella attualmente vigente, ma si limita ad apportare quei correttivi resi ineludibili dalla sentenza della Consulta e concordati dalle principali forze politiche che hanno caratterizzato la vita politica della c.d. seconda Repubblica (Partito democratico e Forza Italia); così facendo, però, si conferma un sistema elettorale inutilmente macchinoso e si corre il rischio di dover inseguire ogni cambiamento del quadro partitico con ulteriori riforme ed aggiustamenti di tale sistema.

In secondo luogo, non sembra che il progetto di riforma elettorale si inserisca in maniera armoniosa nel contesto della riforma costituzionale – attualmente in discussione in Parlamento – che prevede il superamento del sistema bicamerale paritario e l’elezione indiretta del Senato della Repubblica. Infatti, se la riforma costituzionale dovesse essere definitivamente approvata, la Camera dei deputati rimarrebbe l’unico ramo del Parlamento eletto a suffragio universale e diretto – considerato che il Senato, rappresentativo delle istituzioni territoriali, sarebbe eletto dai Consigli regionali[17] – e l’unico legato da rapporto di fiducia con il Governo. La legge elettorale per la Camera, dunque, può certo essere strutturata in maniera tale da favorire la governabilità ma senza distorcere eccessivamente la capacità rappresentativa dell’unica Assemblea parlamentare eletta direttamente dai cittadini. In questo senso, la configurazione di un sistema elettorale proporzionale in cui si combinano soglie di sbarramento elevate per le liste non coalizzate, un premio di maggioranza che può essere assegnato a liste o coalizioni di liste che ottengono il 37% dei voti validi e liste bloccate “corte” potrebbe produrre quella «alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica, sulla quale si fonda l’intera architettura dell’ordinamento costituzionale» lamentata dalla Corte costituzionale in merito alla l. n. 270 del 2005[18], rispetto alla quale l’eventuale turno di ballottaggio appare un rimedio debole.

Dunque, se la riforma costituzionale dovesse essere portata a compimento, è auspicabile che il Parlamento riconsideri il d.d.l. A.S. 1385, modificando in maniera rilevante il c.d. Italicum oppure “osando” il salto verso un sistema elettorale maggioritario.


[1] Il riferimento è al d.d.l. cost. A.S. 1429-A, XVII Legislatura.

[2] Si pensi, ad esempio, alla sorte toccata al Partito radicale o all’Italia dei valori.

[3] Così Corte cost., sent. n. 1 del 2014, pt. 3.1 cons. dir.

[4] Così Corte cost., sent. n. 1 del 2014, pt. 5.1 cons. dir.

[5] ...e non si tratta certo dell’unico aspetto criticabile della sentenza.

[6] Cfr. Corte cost., sent. n. 1 del 2014, pt. 6 cons. dir.

[7] Si tratta del sistema elettorale definito, con una certa vena polemica, “Consultellum”.

[8] Il d.d.l. fa «salvi gli eventuali aggiustamenti in base ad esigenze derivanti dal rispetto di criteri demografici e di continuità territoriale».

[9] Il testo predisposto dalla Commissione Affari costituzionali della Camera, invece, vietava le candidature multiple: cfr. art. 1, co. 10, del d.d.l. A.C. 3 e abb., XVII Legislatura.

[10] L’elenco delle circoscrizioni è contenuto nella Tabella A, allegata al d.d.l. A.S. 1385, XVII Legislatura.

[11] Art. 1, co. 9, lett. b, d.d.l. A.S. 1385, XVII Legislatura.

[12] Cfr. art. 1, co. 17, d.d.l. A.S. 1385, XVII Legislatura.

[13] ...e rispetto al quale servirebbe un intervento di riforma dei regolamenti parlamentari per garantire che il diritto elettorale e quello parlamentare siano congruenti.

[14] Non si considerano i 12 seggi assegnati alla circoscrizione Estero.

[15] Così Corte cost., sent. n. 1 del 2014, pt. 3.1 cons. dir.

[16] ...o anche in via preventiva se dovesse essere definitivamente approvata la riforma costituzionale (d.d.l. cost. A.S. 1429-A, XVII Legislatura), che nei “nuovi” artt. 73 e 134 Cost. introduce il giudizio di legittimità costituzionale preventivo sulle leggi elettorali di Camera e Senato.

[17] Salvo i senatori di nomina presidenziale.

[18] Cfr. Corte cost., sent. n. 1 del 2014, pt. 3.1 cons. dir.

Ultima modifica il 12 Ottobre 2014