Stampa questa pagina
Pubblicato in Altri diritti

LE NOTIFICHE NEL PROCESSO PENALE AGLI IMPUTATI, ITALIANI E STRANIERI, IN ITALIA ED ALL’ESTERO, ANCHE ALLA LUCE DELLA L. 28/04/14 N. 67

by Dott.ssa Marta Valentini on20 Ottobre 2014

In occasione dell’imminente convegno organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura, si riportano alcune riflessioni circa la normativa codicistica in materia di notifiche alla persona indagata o imputata ed il novellato processo in absentia.

Nel procedimento penale, gli atti assumono valore quando, nel rispetto delle forme e dei termini previsti, sono portati a conoscenza dei soggetti diversi dal loro autore. Da qui l’importanza della disciplina delle notificazioni e, in particolare, delle notificazioni alla persona accusata. In quest’ultimo caso, l’ignoranza dell’atto – o dell’intero procedimento – comporterebbe, in aggiunta, un’evidente ed inaccettabile menomazione del diritto di difesa costituzionalmente garantito. Ma se è vero che il rispetto delle forme di cui al codice di rito non assicura la reale conoscenza dell’atto (cd. conoscenza effettiva), non si può dimenticare come queste siano state previste al precipuo scopo di minimizzare i casi di mancata informazione, mediante regole procedimentali e meccanismi collaborativi coinvolgenti gli stessi destinatari (conoscenza cd. legale). Oltre alla dichiarazione ed elezione di domicilio (artt. 161 ss. c.p.p.), ci si riferisce, ad esempio, alla prima notifica all’imputato (detenuto, art. 156; non detenuto, art. 157; in servizio militare art. 158 c.p.p.) e al caso – sempre più consueto, visto il crescente esercizio dei diritti di libera circolazione e soggiorno ad opera dei cittadini europei – di imputati, italiani o stranieri, all’estero (art. 169 c.p.p.), argomento di apertura del il convegno in nota, assieme al tema della lingua e della traduzione degli atti (rispettivamente, artt. 109 e 143 c.p.p.)[1].

Prima della scorsa primavera, tuttavia, la tradizionale dicotomia tra conoscenza legale e conoscenza effettiva si sgretolava ad esclusivo vantaggio di quest’ultima con riferimento alle interdipendenze scaturite dalla disciplina della restituzione nei termini (art. 175, co. II, c.p.p.), dalla rinnovazione dell’avviso dell’udienza preliminare (art. 420 bis, c.p.p.), dalla citazione a dibattimento (art. 484, co. II bis, c.p.p.) e, più in generale, dall’istituto della contumacia poi abrogato con la Legge 28 aprile 2014, n. 67. 

Secondo il nuovo art. 420 bisc.p.p., in caso di "conoscenza certa" del provvedimento di vocatio in ius – per avvenuta consegna in mani proprie dell’avviso di udienza o espressa rinuncia dell’accusato a presenziarvi –, ovvero di "conoscenza non qualificata" – riferita ai canoni ivi disposti[2] –, il giudice ordina che si proceda in assenza. Il contumace cede dunque la scena processuale all’assente, rappresentato, come già prevedeva l’art. 420 quinquies c.p.p., dal proprio difensore. L’ordinanza è revocata qualora l’imputato compaia prima della decisione e, una volta dimostrata la sua incolpevole ignoranza[3], l’udienza viene rinviata con possibilità di chiedere, a seconda della fase processuale, l’acquisizione di atti e documenti ai sensi dell’art. 421, comma 3 c.p.p. ovvero la formulazione di prove ex art. 493 c.p.p. Un rimedio restitutorio che rischia di sollevare non poche riserve alla luce dei canoni di legittimità del processo in absentia elaborati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo[4], data la possibile fissazione giurisprudenziale di standard probatori troppo elevati a fronte dei riportati indici di “conoscenza non qualificata” del procedimento.

Assolutamente inedita è l’impugnazione per rescissione, prevista all’art. 625 ter c.p.p., che consente, a chi è venuto a conoscenza del procedimento a proprio carico dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna o applicativa della misura di sicurezza, di chiedere alla Corte di Cassazione di «rescindere il giudicato», ossia di revocarlo, una volta provata la sua incolpevole ignoranza. Una previsione che ha reso necessaria la parallela modifica della disciplina della restituzione in termini, con abrogazione dell’istituto in caso d’impugnazione di sentenza contumaciale e l’attuale riferimento dell’art. 175, co. II, c.p.p. alle sole ipotesi di decreto di condanna divenuto esecutivo.

Sono state altresì modificate le disposizioni in materia di imputato irreperibile. Mentre la declaratoria d’irreperibilità consentiva precedentemente di superare la stasi processuale con notifica mediante consegna al difensore, giungendo ad una decisione – quasi sempre – di condanna, con il nuovo art. 240 quater c.p.p. l’impossibilità legale di notifica si risolve in un’antitetica sospensione del procedimento, fatte salve le ipotesi di sentenza di proscioglimento di cui all’art. 129 c.p.p.. A differenza degli imputati incapaci di partecipare coscientemente al processo (artt. 70 ss. c.p.p.), tuttavia, gli irreperibili non andranno a ingrossare le fila degli "eterni giudicabili", dal momento che la prevista sospensione della prescrizione (ex art. 12 della L. 67/2014 che ha modificato l’art. 159 c.p.) non può superare la durata stabilita dall’art. 161 bis, co. II, c.p., comportando, al contempo, l’indesiderabile impunità di quanti si rendono volontariamente introvabili fino alla data di estinzione del reato.

Date le riportate osservazioni, si attendono i più puntuali commenti dei relatori del convegno per meglio inquadrare la novella legislativa in una materia delicata come quella del processo in absentia.

"LE NOTIFICHE, NEL PROCESSO PENALE, AGLI IMPUTATI, ITALIANI E STRANIERI, IN ITALIA ED ALL'ESTERO, ANCHE ALLA LUCE DELLA L. 28/4/14 N.67 ."

Aula Europa, Corte di Appello di Roma,

Via Romeo Romei, 02, Giovedì 23 ottobre 2014, ore 15,00

Relatori: Dott.  Emanuele Di Salvo, Consigliere della Corte di Cassazione ed Avv. Cesare Gai.


1Se la regola generale è quella di compiere gli atti in lingua italiana, l’eccezione prevista all’art. 109 c.p.p. trova ragione nella necessità, costituzionalmente prevista dall’art. 6 Cost., di assicurare la tutela delle minoranze linguistiche, ossia dei cittadini italiani alloglotti. L’art. 143 c.p.p. garantisce invece l’assistenza gratuita di un interprete all’imputato che non conosce la lingua italiana, al fine di poter comprendere l’accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti cui partecipa. Con sentenza n. 10 del 19 gennaio 1993, la Corte Costituzionale ha altresì sancito il ricorso all’interprete «come oggetto di un preciso diritto dell’imputato», qualificando la relativa funzione «in termini di assistenza» a quest’ultimo.

[2]Così recita l’art. 9, co. II, L. 67/2014: «Salvo quanto previsto dall’art 420 ter [impedimento a comparire dell’imputato o del difensore], il giudice procede altresì in assenza dell’imputato che nel corso del procedimento abbia dichiarato o letto domicilio ovvero sia stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare ovvero abbia nominato un difensore di fiducia [...] ovvero risulti comunque con certezza che lo stesso è a conoscenza del procedimento o si è volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo».

[3]Cfr. art. 9, co. IV, L. 67/2014. Un rimedio azionabile, ovviamente, solo nel caso di “conoscenza non qualificata”.

[4]Si tratta della conoscenza del procedimento e della volontaria rinuncia al diritto di prendere parte al processo, elaborate, altresì, in occasione di alcune condanne al nostro Paese. Prima tra tutte la sentenza Sejdovic c/ Italia (C. eur. dir. uomo, Sez I, 10 novembre 2004), con specifico riferimento alla disciplina della restituzione in termini e all’onere probatorio previsto in capo all’imputato condannato con sentenza contumaciale, da cui è discesa la L. n. 17/2005 e l’integrale sostituzione dell’art. 157, co. II c.p.p.

Ultima modifica il 21 Ottobre 2014