Pubblicato in Altri diritti

Social network e sostituzione di persona. Riflessioni a margine della pronuncia della Suprema Corte n. 25774 del 16 giugno 2014

by Dott.ssa Dalila Dell'Italia on25 Ottobre 2014

1.Il caso

Con sentenza n. 25774 del 16 giugno 2014, la V Sezione penale della Corte di Cassazione ha definitivamente condannato per il delitto di sostituzione di persona di cui all’art. 494 c.p. un soggetto che, avendo creato su un social network un falso account utilizzando il nome e l’immagine di un’altra persona, del tutto ignara dell’accaduto ed ascrivendo alla stessa una descrizione degradante, comunicava con gli altri utenti evidentemente inducendoli in errore sull’identità del loro interlocutore.

Nel dettaglio, tanto il Giudice di prime cure - con sentenza resa in data 19 aprile 2012 - quanto la Corte d’appello reggina – con pronuncia del 16 maggio 2013 – concludevano per l’applicabilità dell’art. 494 c.p. poiché il colpevole aveva agito con il fine di procurarsi un vantaggio, consistente nel gestire conversazioni virtuali, o comunque di recare pregiudizio alla persona offesa, danneggiandone l’immagine di fronte alla platea degli iscritti alla piattaforma virtuale.

La Corte di legittimità ha confermato l’orientamento dei Giudici di primo e secondo grado ritenendo sussistenti tutti gli estremi del delitto di sostituzione di persona, sia sul versante dell’elemento oggettivo che soggettivo.

2.Il principio di dirittoenunciato dalla Cassazione

“Oggetto della tutela penale è l’interesse riguardante la pubblica fede, in quanto questa può essere sorpresa da inganni relativi alla vera essenza di una persona o alla sua identità o ai suoi attributi sociali; siccome si tratta di inganni che possono superare la ristretta cerchia d’un determinato destinatario, il legislatore ha ravvisato in essi una costante insidia alla fede pubblica, e non soltanto alla fede privata e alla tutela civilistica del diritto al nome. In questa prospettiva, è evidente la configurazione, nel caso concreto, di tutti gli elementi costitutivi della contestata fattispecie delittuosa.

Nella specie, il ricorrente ha creato un profilo sul social network Badoo denominato "(OMISSIS)",riproducente l’effige della persona offesa, con una descrizione tutt’altro che lusinghiera [..] e con tale falsa identità usufruiva dei servizi del sito, consistenti essenzialmente nella possibilità di comunicazione in rete con gli altri iscritti (indotti in errore sulla sua identità) e di condivisione di contenuti [...].

Il dolo specifico del delitto di cui all'art. 494 cod. pen., consiste nel fine di procurare a se o ad altri un vantaggio patrimoniale o non, oppure di recare ad altri un danno (Sez. 5, n. 13296 del 28/01/2013, Marino, Rv. 255344) e sul punto le decisioni di merito danno conto della sussistenza di entrambi i profili: dei vantaggi ritraibili dall’attribuzione di una diversa identità, che il ricorrente utilizzava per poter intrattenere rapporti con altre persone (essenzialmente ragazze) o per soddisfacimento di una propria vanità (vantaggio non patrimoniale); della idoneità della condotta a ledere l’immagine e la dignità del C.( persona offesa)[..]”.

3.Commento

A norma dell’art. 494 c.p. “Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino ad un anno”.

Trattasi di un delitto contro la fede pubblica poiché l’inganno, quantunque possa essere rivolto ad una persona determinata, può ripercuotersi sul pubblico, superando la cerchia ristretta di un destinatario specifico; il bene giuridico tutelato dalla norma, pertanto, non è semplicemente la fede privata e la tutela civilistica del diritto al nome, ma involge anche la sfera pubblica derivandone di conseguenza la natura plurioffensiva della fattispecie de quo.

Sul versante dell’elemento oggettivo, la condotta punibile come sostituzione di persona è a forma vincolata, suscettibile, cioè, di concretizzarsi alternativamente solo nelle forme indicate nell’art. 494 c.p. L’agente, inducendo taluno in errore – aspetto rimarcato al punto che parte della dottrina vi ravvisa una species di truffa con un quid minus, ossia la possibilità che il danno sia non patrimoniale e che resti mero fine dell’azione, invece che risultato materialmente realizzato (Antolisei) – deve aver sostituito illegittimamente la propria all’altrui persona oppure deve aver attribuito a sé o a terzi un falso nome, oppure ancora un falso stato, da intendersi come posizione nella società civile, politica, domestica o, in alternativa, una qualità cui la legge attribuisce effetti giuridici, come le qualifiche di creditore, possessore, ministro di culto, lavoratore dipendente e via discorrendo.

L’elemento soggettivo richiesto è il dolo specifico, di guisa che, prescindendo dalla concretizzazione del risultato finale, merita incriminazione ai sensi dell’art. 494 c.p. il soggetto che abbia tenuto la condotta innanzi descritta al fine di arrecare a se stesso o a terzi un vantaggio, patrimoniale o non patrimoniale, o un danno ad altri.

Tutto ciò premesso, con la sentenza in argomento la Corte di legittimità, operando un’interpretazione estensiva dell’art. 494 c.p., vi ha sussunto l’ipotesi di sostituzione di persona operata tramite l’illegittimo utilizzo del nome e dell’immagine altrui realizzato tramite social network, finalizzato a procurare a sé un vantaggio o comunque a danneggiare la persona indebitamente sostituita. Pur non menzionato espressamente tale caso nella norma, la Suprema Corte lo ha ricondotto al reato in argomento sulla base della considerazione per cui il colpevole aveva creato un profilo su un noto social network, riproducendo l’immagine ed il nome della persona offesa, e aveva comunicato in diverse occasioni in rete con gli altri iscritti, descrivendosi in termini negativi e inducendo pertanto in errore gli altri utenti sulla sua identità.

Sul furto di identità in rete, invero, la Cassazione si è pronunciata più volte  ritenendo che la condotta di chi crei ed utilizzi account o caselle di posta elettronica attribuendosi falsamente i dati anagrafici di un diverso soggetto, inconsapevole, con lo scopo di pregiudicare quest’ultimo, induce in errore gli utenti della rete internet nei cui confronti le false generalità siano state specificate (Cass. Pen. n. 46674/2007). La gravità della condotta, evidenziano i Giudici di Piazza Cavour, sta nell’idoneità ad indurre in errore non il fornitore del servizio, bensì l’intera platea di utenti, i quali, convinti di interloquire con un soggetto, si trovano ad interagire, invece, con una persona diversa; nonché nel danno all’immagine e all’onore subito da colui le cui generalità siano state abusivamente spese.

In definitiva, l’interpretazione offerta dalla pronuncia n. 25774/2014 e dal filone nel quale essa si inserisce ben si inquadra in quel fenomeno di adattamento del testo al contesto che consente la sopravvivenza dei testi normativi a distanza di anni dal loro ingresso nell’ordinamento. Adattamento ermeneutico, in particolare, che la giurisprudenza è chiamata ad operare ogni volta in cui la problematica da risolvere sia tipica di un’epoca storica culturalmente differenziata rispetto a quella in cui si colloca il testo normativo di riferimento, cosicché i confini delle norme vengono dilatati al punto da poter inglobare, nei limiti del ragionevole, i nuovi valori sociali, economici e tecnico-scientifici che nel corso del tempo emergono.

 

Ultima modifica il 25 Ottobre 2014