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Il silenzio-assenso tra requisiti di esistenza, validità e poteri di intervento postumo della P.A.

by Avv. Gabriele Pepe on27 Gennaio 2016

La pronuncia del T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 20 febbraio 2015, n. 521 

premessa la distinzione tra fatto legalmente tipizzato e suoi effetti, rimarca la summa divisio tra requisiti di esistenza e requisiti di validità del silenzio assenso, ricollegando i primi alla completezza della domanda del privato ed i secondi alla conformità dell’istanza alla normativa vigente. Ciò al precipuo fine di affermare il principio secondo cui la fattispecie del silenzio assenso sarebbe configurabile anche ove produttiva di effetti contra legem. Tali effetti possono essere rimossi dalla Pubblica Amministrazione esclusivamente in sede di autotutela alle condizioni e nei limiti previsti per l’annullamento d’ufficio. Diversamente deve considerarsi invalido il provvedimento di diniego tardivamente adottato a seguito della formazione del silenzio assenso, non potendo il medesimo procedimento essere definiti due volte, peraltro, con esiti opposti.

La vicenda de qua

Una società presentava al Comune domanda di autorizzazione per l’apertura di una media struttura di vendita di generi non alimentari, cui faceva seguito l’avvio di un procedimento amministrativo con successiva indizione di una conferenza di servizi; tuttavia, entro il termine di legge di 90 giorni dalla presentazione della domanda, il Comune ometteva l’adozione di qualsiasi provvedimento decisorio, limitandosi ad una mera comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.

Alla formazione del silenzio-assenso sulla domanda presentata, seguiva poi la cessione di ramo d’azienda ad altra società (cessionaria), la quale comunicava l’apertura della struttura di vendita per subingresso nella autorizzazione tacitamente rilasciata alla società cedente. Nel successivo termine di 60 giorni, ai sensi dell’art. 19, comma 3, L. n. 241/1990, non perveniva dalla amministrazione comunale alcun divieto di prosecuzione dell’attività.

Ciò nonostante il Comune adottava inaspettatamente formale provvedimento di diniego dell’autorizzazione dopo oltre un anno dalla presentazione dell’istanza. Costituendosi in giudizio le due società, cedente e cessionaria, impugnavano il provvedimento di diniego tardivamente emanato dal Comune, chiedendone l’annullamento in ragione dell’avvenuta formazione del silenzio-assenso di cui all’art. 20, L. n. 241/1990. Il Comune si costituiva in giudizio come parte resistente.

Il decisum giudiziale

Il collegio esamina tre eccezioni pregiudiziali sollevate dal Comune. La prima afferisce ad una presunta irricevibilità del ricorso sul presupposto della tardività dell’impugnazione del preavviso di diniego da parte delle società ricorrenti. La seconda eccezione concerne l’inammissibilità del ricorso per tardività nell’impugnazione della conferenza di servizi indetta nel corso del procedimento. La terza eccezione, infine, verte sul difetto di legitimatio ad causam della società cessionaria.

La prima eccezione viene considerata priva di fondamento in base alla argomentazione dirimente che il preavviso di rigetto, di cui all’art. 10-bis L. n. 241/1990, in quanto atto endoprocedimentale, non necessiti di autonoma impugnazione da parte del destinatario per carenza di immediata lesività. Anche la seconda eccezione, alla prima intimamente connessa, viene respinta; il collegio, infatti, muovendo dal postulato del contenuto prettamente istruttorio, e non già decisorio, della conferenza di servizi ne esclude coerentemente l’impugnabilità.

Da ultimo i giudici amministrativi rigettano la terza eccezione pregiudiziale afferente il difetto dilegitimatio ad causam della società cessionaria, in base all’assunto che la cessione di ramo d’azienda postuli il subingresso in tutti i rapporti giuridici del compendio aziendale propri della cedente; ne discende come corollario il riconoscimento di una legittimazione tanto sostanziale quanto processuale della cessionaria con riferimento ai rapporti de quibus; in particolare viene evidenziata la ricorrenza di un interesse qualificato e differenziato idoneo alla partecipazione al giudizio.

Una volta respinte le questioni pregiudiziali il T.A.R. Lombardia procede all’analisi delle questioni di merito prospettate dalle parti.

In primo luogo i giudici amministrativi esaminano l’eccezione di non configurabilità del silenzio assenso avanzata dal Comune secondo cui la mancata definizione del procedimento avrebbe reso legittimo il successivo provvedimento di diniego sia pure tardivamente adottato; l’eccezione dell’amministrazione comunale trova fondamento nella tesi che la mancata osservanza delle prescrizioni urbanistiche da parte del privato abbia impedito tout court la formazione del silenzio assenso[1], legittimando un proprio intervento postumo. Pronunciandosi sulla suddetta eccezione il collegio statuisce come risulti“dirimente rilevare la circostanza per cui, sulla domanda di autorizzazione, essendo trascorso inutilmente il termine di 90 giorni (…)” si sia irrimediabilmente formato “il silenzio assenso, previsto dall’art. 8 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114[2]”. I giudici amministrativi, muovendo dalla concezione del silenzio assenso quale valutazione legale tipica assimilabile ad un provvedimento di accoglimento[3], dichiarano come gli effetti della fattispecie de qua soggiacciano al medesimo regime giuridico previsto per l’atto amministrativo. Da tale considerazione discende il corollario che, ove sussistano“i requisiti di formazione del silenzio-assenso, il titolo abilitativo può perfezionarsi anche con riguardo ad una domanda non conforme a legge; fermo restando, (…) l’autotutela per l’amministrazione e l’impugnativa giudiziale per il controinteressato”.

In altri termini il collegio ribadisce il principio, non del tutto pacifico, circa la distinzione tra requisiti di esistenza e requisiti di validità del silenzio-assenso. Tale assunto rinviene la propria ratio nella equiparazione del silenzio assenso ad un provvedimento di accoglimento; del resto come un provvedimento amministrativo può essere esistente ma invalido così la fattispecie del silenzio assenso può dirsi perfezionata nei suoi elementi costitutivi e, tuttavia, essere in contrasto con la normativa vigente e, segnatamente, con le prescrizioni urbanistiche; coerentemente occorre sottolineare come il profilo dell’esistenza del silenzio assenso diverga dal profilo degli effetti illegittimi che da esso possano scaturire; effetti - che ad avviso del Tar- sono rimuovibili direttamente dalla P.A. in autotutela attraverso l’annullamento d’ufficio o dal giudice amministrativo su ricorso di un terzo legittimato. Viceversa, reputare chela fattispecie del silenzio assenso“sia produttiva di effetti soltanto ove corrispondente alla disciplina sostanziale” (nel caso di specie alle prescrizioni urbanistiche) “significherebbe sottrarre i titoli così formatisi alla disciplina della annullabilità”; una soluzione che irragionevolmente postula l’inapplicabilità al silenzio assenso del regime giuridico del provvedimento amministrativo. Inoltre un simile trattamento differenziato sarebbe rimesso non già ad una previsione legislativa bensì ad un arbitrario comportamento attivo o inerte dell’amministrazione.

Fanno presente poi i giudici amministrativi come “l’impostazione di convertire i requisiti di validità della fattispecie silenziosa in altrettanti elementi costitutivi necessari al suo perfezionamento, vanificherebbe in radice le finalità di semplificazione dell’istituto: nessun vantaggio, infatti, avrebbe l’operatore se l’amministrazione potesse, senza oneri e vincoli procedimentali, in qualunque tempo disconoscere gli effetti della domanda”, con un diniego tardivo, oltre il termine imposto dalla legge per provvedere.

Il T.A.R. Lombardia viene così ad affrontare la vexata quaestio dell’ammissibilità e della conseguente legittimità di un provvedimento di diniego adottato dal Comune a seguito della formazione del silenzio assenso. La scadenza del termine per provvedere, unitamente al ricorrere degli elementi costitutivi del silenzio, preclude, ad avviso del collegio, l’adozione di un diniego espresso per consumazione del potere di provvedere in primo grado; ne discendono, come corollari, la tardività e l’illegittimità del provvedimento di diniego, per tali cause censurabile in sede giurisdizionale. Del resto, la formazione del silenzio assenso, definendo il procedimento di primo grado, impedirebbe alla amministrazione comunale qualsivoglia intervento postumo, salvi ovviamente i poteri di autotutela attivabili in un nuovo e diverso procedimento di secondo grado nel rispetto di puntuali limiti e condizioni.

Diversamente nella vicenda de qua il Comune, lungi dall’agire attraverso l’annullamento d’ufficio, ha illegittimamente adottato un diniego tardivo come se la fattispecie del silenzio assenso non si fosse perfezionata ed il procedimento di primo grado non si fosse concluso. In proposito puntualizza il collegio come tale provvedimento tardivamente emanato non assuma“né la forma né la sostanza di un atto di autotutela atteggiandosi a mero diniego tardivo dell’autorizzazione, privo della necessaria fase partecipativa, nonché dell’esplicazione dei motivi di interesse pubblico posti a sostegno dell’intervento postumo in autotutela”.

Respingendo tutte le eccezioni del Comune il Tar Lombardia accoglie i ricorsi presentati dalle società ricorrenti e, per l’effetto, annulla il provvedimento di diniego tardivamente adottato dalla amministrazione comunale.

Le principali questioni giuridiche sottese alla pronuncia

Una compiuta analisi della sentenza che si annota implica necessariamente l’esame di talune questioni giuridiche ai fini della comprensione dell’istituto del silenzio assenso e delle sue modalità di funzionamento anche in relazione ad interventi postumi della P.A. In special modo occorre analizzare le seguenti questioni:

1. natura, caratteri ed effetti del silenzio assenso;

2. distinzione tra requisiti di esistenza e requisiti di validità;

3. ammissibilità di un potere della P.A. di emanare provvedimenti tardivi;

4. Caratteri e limiti dell’annullamento d’ufficio in autotutela dell’amministrazione.

Il silenzio assenso è un istituto di semplificazione attualmente previsto e regolato dall’art. 20, L. n. 241/1990 e succ. modif. e integraz.[4], nonché dalle singole normative di settore. Gli interventi legislativi degli ultimi anni ne hanno ampliato l’ambito applicativo trasformandolo in un istituto a carattere generale[5].

Il silenzio assenso “va considerato in una logica procedimentale: è silenzio su una determinata richiesta di provvedimento”; coerentemente “i suoi effetti hanno come parametro la richiesta di provvedimento”[6] presentata dal privato. Ciononostante il silenzio assenso rappresenta una modalità legale di definizione del procedimento amministrativo[7] [8], operante allorché la P.A. ometta di provvedere entro il termine stabilito[9]. In altre parole trattasi di un rimedio contemplato dalla legge al fine di sterilizzare l’irregolare svolgimento della funzione amministrativa in una logica di garanzia della pretesa del privato all’ampliamento della propria sfera giuridica[10]. Il silenzio assenso può essere di due tipi: endoprocedimentale o provvedimentale. Ai fini della presente pronuncia viene in rilievo la fattispecie del silenzio provvedimentale.

Con riferimento alla natura e ai caratteri dell’istituto si sono avvicendati in dottrina e in giurisprudenza più orientamenti dalle varie ricadute applicative. In sintesi le due tesi che hanno riscosso maggior successo concepiscono il silenzio assenso l’una come atto amministrativo implicito, l’altra come fatto legalmente tipizzato[11].

Secondo quest’ultimo orientamento[12] il silenzio assenso si identificherebbe in un fatto con valore legale tipico produttivo di effetti equipollenti agli effetti del provvedimento amministrativo[13], con applicazione del medesimo regime giuridico. Occorre puntualizzare come del silenzio assenso inteso come fatto si debba parlare in termini di esistenza o inesistenza, potendo viceversa applicarsi le categorie della legittimità-illegittimità ai soli effetti dal primo scaturenti[14].

Nella sentenza de qua il T.A.R. Lombardia si riallaccia all’orientamento giurisprudenziale che, a partire dagli anni Novanta del XX sec.[15], riconosce ammissibile la formazione del silenzio assenso anche su una domanda del privato non conforme a legge, con il riconoscimento tuttavia in capo alla P.A. del potere di rimuovere in autotutela, tramite annullamento d’ufficio, gli effetti prodotti dal silenzio[16]. In altri termini la giurisprudenza ormai dominante è solita distinguere a riguardo tra requisiti di esistenza e requisiti di validità; requisiti di validità “la cui carenza si riflette appunto sul piano della legittimità ma non dell’esistenza” del silenzio assenso[17].

Nella cornice giuridica così delineata si colloca, perfettamente, la sentenza del T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 20 febbraio 2015, n. 521. La pronuncia in esame, premessa la distinzione tra fatto legalmente tipizzato e suoi effetti[18], si dedica appunto alla distinzione tra elementi di perfezionamento della fattispecie del silenzio ed elementi afferenti la sfera della sua validità; i primi si identificano nei requisiti richiesti per la completezza della domanda del privato (es. generalità dell’istante, dichiarazioni di atti di notorietà, allegazione di determinati documenti ecc.) e presuppongono l’infruttuoso decorso del termine per provvedere da parte della P.A.. I secondi, viceversa, si rinvengono nella conformità dell’istanza al modello legale di riferimento nella specie alle prescrizioni urbanistiche[19].

Attraverso tale sviluppo argomentativo il collegio mira al superamento della tesi[20] che individua l’esistenza del silenzio assenso esclusivamente nella conformità alla normativa vigente, attraverso l’identificazione dei requisiti di configurabilità con i requisiti di validità; una tesi, dunque, che, ritiene non perfezionata la fattispecie di silenzio assenso in presenza di effetti contra legem[21]. Diversamente opinando il Tar, nella pronuncia in esame, applica al silenzio assenso il medesimo regime giuridico del provvedimento amministrativo, separando il piano della esistenza del fatto legale tipico da quello della legittimità degli effetti; alla stregua, appunto, di quanto prescritto per qualsivoglia atto amministrativo che, pur esistente, può risultare illegittimo e produttivo di effetti sino a caducazione[22]. Tale assunto trova conferma nel diritto positivo e, segnatamente, nella disposizione di cui all’art. 20, L. n. 241/1990 che fa salve le determinazioni in via di autotutela della P.A. ai sensi degli artt. 21 quinquies e 21 nonies. Se la fattispecie del silenzio assenso fosse configurabile solo nelle ipotesi di conformità della domanda al modello legale, il rinvio all’art. 21 nonies non avrebbe ragion d’essere, in quanto ogni fattispecie se considerata esistente risulterebbe altresì sempre legittima e pertanto mai annullabile. Si aggiunga, poi, come eventuali profili di invalidità, sub specie di illegittimità, si appuntino essenzialmente sugli effetti del silenzio assenso, refluendo poi a salire sul fatto legalmente tipizzato[23]. Prevalentemente su tali effetti, ove illegittimi, si orienta l’annullamento in autotutela della P.A., così come l’annullamento ope iudicis su ricorso di un terzo legittimato.

È di tutta evidenza come l’esercizio del potere di autotutela si intersechi necessariamente con la tematica dell’ammissibilità di un provvedimento tardivo della amministrazione a seguito del perfezionarsi della fattispecie del silenzio assenso. In altri termini occorre domandarsi se la P.A. in quest’ipotesi possa legittimamente intervenire dopo la definizione del procedimento di primo grado con un diniego espresso.

Il discorso si inquadra nell’ambito delle c.d. pronunce tardive. Autorevole dottrina in proposito definisce pronunce tardive “i provvedimenti che l’autorità competente assume in ordine al medesimo atto di iniziativa e quindi all’identico procedimento rispetto al quale si sia già formato il silenzio-assenso”[24].

Come noto, con la formazione del silenzio assenso si assiste ad una definizione legale tipica del procedimento, attivato su istanza di parte, al ricorrere degli elementi previsti dalla legge e sul presupposto dell’infruttuoso decorso del termine per provvedere[25]. Per volontà della legge, quindi, la domanda del privato finalizzata ad un provvedimento ampliativo (nel caso di specie di natura autorizzatoria) è accolta, con la conseguenza che il privato potrà svolgere la relativa attività come se fosse stato emanato nei suoi riguardi il corrispondente provvedimento favorevole. È allora chiaro che, ove si ammettesse un intervento tardivo di diniego della P.A. successivamente alla formazione del silenzio, si definirebbe nuovamente il medesimo procedimento già conclusosi, peraltro con un esito opposto. In tal modo si frustrerebbe la ratio legis dell’istituto che mira a sanzionare l’inerzia del soggetto pubblico e a tutelare, contestualmente, la pretesa del cittadino all’ampliamento della propria sfera giuridica. D’altronde, secondo il generale principio di non contraddizione, risulterebbe impossibile da un punto di vista logico-giuridico definire il medesimo procedimento due volte per giunta con esiti opposti[26]. Il procedimento definito con la formazione del silenzio assenso, non ammetterebbe, pertanto, ulteriori svolgimenti, in ragione di un effetto preclusivo sui successivi (ed eventuali) provvedimenti di primo grado della P.A. In tali situazioni, infatti, è possibile rilevare “in base al principio del ne bis in idem la consumazione del potere di amministrazione attiva in ordine alla decisione sull’istanza e, per l’effetto, l’illegittimità del provvedimento tardivo di diniego”[27]. Tale provvedimento risulterebbe annullabile per violazione di legge con conseguente onere di impugnativa nel termine decadenziale di 60 giorni[28].

Nel contesto sopra descritto trovano adeguata collocazione le considerazioni del Tar Lombardia, le quali dimostrano come il Comune, nell’esercizio della funzione amministrativa, sia illegittimamente intervenuto con un diniego espresso dopo la formazione del silenzio assenso. L’amministrazione comunale avrebbe, viceversa, legittimamente dovuto operare attivando un procedimento (di secondo grado) di autotutela finalizzato all’annullamento d’ufficio degli effetti (illegittimi) scaturiti dal silenzio assenso.

Va precisato, tuttavia, come il potere di autotutela, pur rientrando nella funzione di amministrazione attiva, incontri puntuali limiti e prescrizioni nel suo esercizio. Il potere pubblico, dunque, non si esaurisce ma risulta, tuttavia, circoscritto nel proprio svolgimento. Del resto, per i procedimenti di secondo grado il legislatore detta una disciplina differente in ordine alle modalità di estrinsecazione del potere. Per esempio l’art. 21 nonies della L. n. 241/1990[29], in tema di annullamento d’ufficio, dispone che la P.A., lungi dal perseguire un mero interesse al ripristino della legalità, sia tenuta a valutare l’attualità e la consistenza dell’interesse pubblico all’annullamento insieme al tempo trascorso, all’affidamento del destinatario e alle ragioni dei controinteressati.

Inoltre autorevole dottrina ritiene, in tema di silenzio assenso, che ai fini dell’esercizio del potere di autotutela l’amministrazione debba valutare anche il tipo di illegittimità riscontrata, optando per l’annullamento esclusivamente in presenza di vizi sostanziali e non già meramente formali o procedimentali[30]. Il legislatore persegue, segnatamente, l’obiettivo di tutelare la ragionevole pretesa del cittadino allo svolgimento dell’attività tacitamente assentita[31]; una pretesa che si consolida inesorabilmente con il fluire del tempo che restringe in modo progressivo i margini di intervento caducatorio della P.A. Un favor alla conservazione degli effetti del silenzio assenso che si evince anche dalla previsione dell’istituto della convalida.

Occorre da ultimo interrogarsi sulle ricadute applicative dell’annullamento d’ufficio sulla fattispecie del silenzio assenso ed in particolare sugli effetti da essa scaturenti. Come efficacemente sostenuto l’annullamento non investirebbe esclusivamente “gli effetti sostanziali che ineriscono primariamente ai soggetti convolti dall’esercizio della funzione amministrativa” ma si estenderebbe anche “all’effetto generale del silenzio assenso sul piano procedimentale”. Ne discende coerentemente come l’annullamento postuli “l’eliminazione di qualsiasi effetto di definizione del procedimento amministrativo determinato dal silenzio assenso”.

Con la riapertura del procedimento, di conseguenza, risorgerebbe il dovere della P.A. di pronunciarsi in modo formale ed espresso sull’istanza del privato a seguito della rimozione del silenzio assenso. Non sarebbe tuttavia peregrina, in alternativa, l’ipotesi di considerare nel provvedimento di annullamento d’ufficio, adottato all’esito di un procedimento di secondo grado, un diniego esplicito alla domanda del richiedente in luogo del silenzio contestualmente rimosso.

Considerazioni conclusive

Nella pronuncia annotata il Tar Lombardia fa il punto sulla natura giuridica e sugli effetti del silenzio-assenso con particolare riferimento agli interventi postumi della P.A.

Il collegio evidenzia, segnatamente, la distinzione tra requisiti di esistenza e requisiti di validità del silenzio assenso; i primi si identificano negli elementi richiesti per la completezza della domanda e dunque per il perfezionamento della fattispecie, mentre i secondi attengono alla conformità dell’istanza al modello legale nel caso di specie alle prescrizioni urbanistiche. Tale distinzione affonda le sue radici nella equiparazione degli effetti del silenzio assenso agli effetti del corrispondente provvedimento amministrativo, con applicazione del medesimo regime giuridico. È notorio, del resto, come ogni atto amministrativo possa dirsi esistente ma illegittimo, ergo caducabile nei suoi effetti.

L’equiparazione appena citata consente al Tar Lombardia di superare l’orientamento dottrinale e giurisprudenziale che riconosce perfezionata la fattispecie del silenzio assenso solo ove vi sia piena conformità alla normativa vigente. Diversamente il profilo dell’esistenza del fatto legale tipico, secondo il collegio, deve essere mantenuto distinto dal profilo della illegittimità degli effetti, rimuovibili dall’amministrazione in autotutela o dal giudice su ricorso di terzi interessati.

Definiti i tratti qualificanti la fattispecie, il T.A.R. si occupa poi della ammissibilità e legittimità della c.d. pronuncia tardiva di diniego adottata dal Comune a seguito della formazione del silenzio assenso. Tale provvedimento è da considerarsi illegittimo e quindi annullabile in sede giurisdizionale, in considerazione della circostanza che il procedimento di primo grado è già stato definito dalla formazione del silenzio; un fatto legalmente tipizzato da cui discenderebbe la consumazione del potere dell’amministrazione comunale di provvedere nuovamente. Viceversa il Comune avrebbe potuto agire in autotutela con il potere di annullamento d’ufficio, intervenendo sugli effetti del silenzio sia pure nell’osservanza dei limiti e delle condizioni previste per i procedimenti di secondo grado.


[1] In special modo il Comune evidenzia come la domanda di autorizzazione avanzata dal privato sia in contrasto con il piano urbanistico nella parte in cui destina l’immobile ad un differente uso di natura non commerciale.

[2] L’art. 8, D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114 espressamente recita: “Il Comune adotta le norme sul procedimento concernente le domande relative alle medie strutture di vendita; stabilisce il termine, comunque non superiore ai novanta giorni dalla data di ricevimento, entro il quale le domande devono ritenersi accolte qualora non venga comunicato il provvedimento di diniego, nonché tutte le altre norme atte ad assicurare trasparenza e snellezza dell’azione amministrativa e la partecipazione al procedimento ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modifiche”. Sul silenzio assenso quale fattispecie che si forma automaticamente al ricorrere di determinati requisiti e presupposti V. Parisio, Silenzio della pubblica amministrazione, in Sabino Cassese (diretto da),Diz. dir. pubbl., vol. VI, Milano, 2006, 5550-5557.

[3] Tale assunto è sostenuto in dottrina da A. Travi,Silenzio-assenso ed esercizio della funzione amministrativa, Padova, 1985, 1: “Il silenzio assenso, in termini di diritto sostanziale, è equipollente a un determinato atto amministrativo”.

[4] L’art. 20, L. n. 241/1990, nella vigente formulazione, espressamente recita: “Fatta salva l’applicazione dell’articolo 19, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all’interessato, nel termine di cui all’articolo 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2. L’amministrazione competente può indire, entro trenta giorni dalla presentazione dell’istanza di cui al comma 1, una conferenza di servizi ai sensi del capo IV, anche tenendoconto delle situazioni giuridiche soggettive dei controinteressati. Nei casi in cui il silenzio dell’amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, l’amministrazione competente può assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l’immigrazione, l’asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti. Si applicano gli articoli 2, comma 7, e 10-bis. Ogni controversia relativa all’applicazione del presente articolo è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo”.

[5] A differenza della Dia e della Scia che sono strumenti di liberalizzazione, caratterizzati dalla sostituzione a monte del provvedimento amministrativo con un atto del privato, il silenzio assenso va annoverato tra gli istituti di semplificazione in quanto l’istanza del richiedente è idonea ad attivare un procedimento amministrativo che, tuttavia, non si conclude con un provvedimento espresso per violazione dell’obbligo di provvedere da parte della amministrazione.

[6] A. Travi, op. cit., 190.

[7] A. Travi, op. cit., 182-183: “La formazione del silenzio-assenso non è invece subordinata alla volontà delle parti: In particolare non si può concordare con l’opinione secondo cui il cittadino potrebbe efficacemente dichiarare la propria rinuncia al regime del silenzio assenso e pretendere una pronuncia formale: le norme in questione non sono disponibili”.

[8] V. Barlese, Silenzio assenso tra potere di provvedere (successivamente) e potere di autotutela, in Riv. notariato, 2011, 837. Secondo l’Autrice “il procedimento di formazione del silenzio assenso non si discosta, tranne che per la fase decisoria, da quello previsto dalla previgente normativa in materia di provvedimenti autorizzativi espressi. Ne consegue che, relativamente a tale procedimento andranno applicate le regole generali previste dalla legge n. 241 del 1990, in tema di responsabile del procedimento, partecipazione degli interessati, accesso e così via”.

[9] Sulla natura perentoria del termine, tra i tanti in dottrina, N. Centofanti,Il silenzio della pubblica amministrazione e i procedimenti sostitutivi, II ed., Padova, 2002, 64.

[10] A. Travi, op. cit., 41: “Col silenzio assenso l’utilità è imputata al cittadino anche senza un intervento positivo dell’amministrazione”. Inoltre aggiunge l’Autore che “la previsione del silenzio assenso opera nella logica degli interventi sostitutivi”; un intervento sostitutivo “effettuato non da un’altra autorità, ma dalla legge, con imputazione di ogni effetto all’autorità inadempiente” (p. 243).

[11] Per una più dettagliata ricostruzione del dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulla natura del silenzio assenso si rinvia, senza pretese di completezza, ai contributi di G.F. Scoca, Il silenzio della pubblica amministrazione, Milano, 1971, 205 ss. A. Travi, op. cit., passim. N. Centofanti, op. cit., 57 ss. T.G. Tasso, Il silenzio della pubblica amministrazione. Il paradosso del silenzio come forma di comunicazione tra privato e pubblico, Napoli, 2004, 69 ss. R. Giovagnoli, I silenzi della pubblica amministrazione dopo la L. n. 80/2005, Milano, 2005, 294. V. Parisio, op. cit., 5550-5557.

[12] G.F. Scoca, op. cit., 205 ss.

[13] A. Travi, op. cit., 89: “L’equipollenza degli effetti tipici comporta la costituzione di un rapporto amministrazione-cittadino analogo a quello realizzato dal provvedimento corrispondente”.

[14] V. Barlese, op. cit., 837: “È questa una ricostruzione che si basa sulla distinzione netta tra fattispecie-esistente o non, a seconda che ne ricorrano o meno i requisiti per la formazione - ed effetti - legittimi o illegittimi, a seconda della conformità o meno della domanda alla legge. Ne deriva che gli effetti potranno essere autonomamente qualificati in termini di legittimità o illegittimità, rispetto alla fattispecie qualificabile solo come esistente o inesistente”.

[15] In particolare, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 17 dicembre 1990, n. 884, in Cons. Stato, 1990. Cons. Stato, Sez. V, 27 giugno 2006, n. 4114, in www.giustizia-amministrativa.it. Da ultimo T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 20 febbraio 2015, n. 521, inwww.giustizia-amministrativa.it.

[16] A. Travi, op. cit., 232: “L’annullamento degli effetti si riflette, in definitiva, anche sul fatto giuridico cui essi sono imputati” facendolo venir meno; conseguentemente si considera “travolto ogni elemento del silenzio (fatto ed effetti) anche se a rigore l’annullamento concernerebbe direttamente i soli effetti”.

[17] V. Barlese, op. cit., 837.

[18] A. Travi, op. cit., 185 e 188: “Nelle ipotesi di silenzio assenso è possibile ipotizzare una qualificazione distinta del fatto giuridico e dei suoi effetti. (…) Mentre non è possibile qualificare il fatto giuridico in termini di legittimità o illegittimità (o meglio di conformità o non conformità all’ordinamento), tale qualificazione sarebbe possibile rispetto ai suoi effetti”.

[19] Peculiare considerazione merita, segnatamente, l’ipotesi di falsa attestazione sulla sussistenza dei requisiti e presupposti di legge. Parte della dottrina e della giurisprudenza affermano che tale ipotesi impedirebbe la formazione del silenzio assenso integrando una fattispecie di reato perseguibile ai sensi dell’art. 483 c.p., salvo che il fatto costituisca più grave reato.

[20] R. Giovagnoli, op. cit., 294. Tesi in passato autorevolmente sostenuta da insigni giuristi quali Sandulli, Caianiello, Torregrossa. Per approfondimenti bibliografici si rinvia a riguardo al contributo di A. Travi, op. cit., 171.

[21] Per una ricognizione in proposito V. Barlese, op. cit., 836.

[22] In dottrina già A. Travi, op. cit., 171: “Il silenzio assenso si forma anche rispetto a domande non conformi alla legge, senza che però così sia sanato o superato alcun profilo di illegittimità: nel modello che corrisponde a questo indirizzo le esigenze della legalità sono temperate dalla garanzia dell’affidamento del cittadino”.

[23] A. Travi, op. cit., 195: “Se il silenzio assenso, anche se corrisponde a un fatto giuridico che in quanto tale non può mai essere definito illegittimo, può avere effetti non conformi alla legge” sicché “la reazione dell’ordinamento deve appuntarsi nei confronti di tali effetti”.

[24] A. Travi, op. cit., 140. Trattasi di provvedimenti che, secondo l’Autore, devono essere tenuti ben distinti dai provvedimenti di secondo grado adottati all’esito dell’esercizio di una funzione di riesame. In tema anche V.Barlese, op. cit., 835 ss.

[25] A. Travi, op. cit., 165: “Il silenzio assenso realizza una definizione del procedimento che nei suoi contenuti è determinato dalla richiesta di provvedimento” del privato richiedente l’atto ampliativo.

[26] A. Travi, op. cit., 125-126: “Nelle ipotesi di silenzio-assenso la decorrenza del termine esaurisce il potere dell’autorità di provvedere in quel procedimento (il silenzio assenso comporta la definizione del procedimento e un identico procedimento non ammette due distinte definizioni); ma non incide di per sé in astratto sulla possibilità di interventi di autotutela spontanea che possano avere come idoneo oggetto la definizione del procedimento implicata dal silenzio-assenso”.

[27] V. Barlese, op. cit., 840 che richiama le considerazioni espresse daCons. Stato, Sez. VI, 10 marzo 1994, n. 298, in Riv. giur. edil., 1994, I, 574. Contra in dottrina, tra i tanti, R. Giovagnoli, op. cit., 305 ss. In giurisprudenza, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 7 ottobre 2002, n. 5275, in www.giustizia-amministrativa.it. Secondo tale orientamento la natura ordinatoria, e non già perentoria, del termine per provvedere contemplato dalla L. n. 241/1990 consentirebbe alla P.A. di intervenire espressamente con un provvedimento di diniego anche dopo la formazione del silenzio assenso, stante l’inesauribilità del potere pubblico. Conseguentemente il provvedimento tardivo, sia di accoglimento sia di rigetto, adottato dalla P.A. risulterebbe perfettamente legittimo.

[28] Cons. Stato, Sez. VI, 10 marzo 1994, n. 298, cit., 574.

[29] L’art. 21 nonies, L. n. 241/1990 espressamente dispone: “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all’adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo. È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole”.

[30] M.A. Sandulli (a cura di), L’azione amministrativa: commento alla L. 7.8.90 n. 241, modificata dalla L. 11.2.05 n. 15 e dal D.L. 14.3.05 n. 35, Milano, 2005, 736 ss.

[31] A. Travi, op. cit., 193.

Ultima modifica il 03 Febbraio 2016