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NUOVI ACCOGLIMENTI DEL T.A.R. SULLA TEMATICA DELL'IMMATRICOLAZIONE DEI LAUREATI O LAUREANDI AD ANNI SUCCESSIVI AL PRIMO NELLA FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA
Pubblicato in Istruzione

Il test di ingresso per la facoltà di Medicina costituisce, da sempre, un duro ostacolo, non solo per i neo diplomati che si accingono ad affrontare per la prima volta il percorso universitario ma anche per quegli studenti, laureati o laureandi in facoltà affini, che hanno già sostenuto plurimi e molteplici esami inseriti anche nel programma di Medicina e Chirurgia.

È impugnabile l’ordinanza ex art. 116 c.p.a.? Nota a Consiglio di Stato, Sez. IV, 20 marzo 2018, n. 1759.

1.Il tema di indagine riguarda la sorte della pronuncia collegiale sull'istanza domanda di accesso ex art. 116, comma 2, c.p.a., connessa quindi ad un ricorso principale (e nell'ambito dello stesso incardinata). Ci si pone il dubbio, dunque, se  questa sia autonomamente impugnabile o se, invece, debba esserlo unitamente alla sentenza che definisce il giudizio.

Secondo una prima prospettazione, seguita da una parte della giurisprudenza "riveste natura non decisoria l'ordinanza istruttoria di cui all'art. 116 c.p.a. con la quale in pendenza di ricorso viene decisa in camera di consiglio l'impugnativa proposta per l'accesso a documenti amministrativi, che è atto strettamente inerente ai poteri istruttori del giudice e non è quindi autonomamente appellabile, ferma restando la possibilità di contestarne il contenuto in sede di impugnazione di merito".

A fronte di tale indirizzo si è formato un diverso orientamento giurisprudenziale che opina, invece, per l'ammissibilità dell'appello avverso le ordinanze che decidono della sorte delle istanze proposte ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.a.

Si tratta di un orientamento, a cui ha aderito la decisione in commento richiamandone di precedenti (Sez. IV, 22 febbraio 2016, n. 725; Sez. III, 21 ottobre 2015, n. 4806), che giustifica l'ammissibilità dell'impugnazione affermando la natura autonoma della suddetta istanza, il cui accoglimento prescinderebbe dalla pertinenza della documentazione con l'oggetto della causa pendente fra le parti e sarebbe condizionato, per converso, alla sola sussistenza dei requisiti che gli artt. 22 e ss. l. n. 241 del 1990 pongono come requisiti per l'accoglimento dell'istanza di accesso agli atti.

2. Com’è noto, l’acceso in corso di causa, quale è quello che ci interessa, presenta come presupposto indefettibile l’inerenza dei documenti richiesti con il giudizio in corso e deve quindi essere considerato come una fase incidentale di natura istruttoria.

Ed infatti l’istanza d’accesso proposta in corso di causa di causa ha una valenza esclusivamente strumentale rispetto alle domande proposte nel giudizio all’interno del quale essa è inserita e ciò in ossequio al carattere istruttorio dell’ordinanza che dispone o meno l’ostensione dei documenti.

Le ordinanze che si pronunciano sulle predette richieste assumono la veste di provvedimenti aventi natura ordinatoria, tali da non pregiudicare, sia in caso di accoglimento che in caso di rigetto, la decisione finale di merito (cfr. Cons. St., Sez. IV, 12 luglio 2013, n. 3759 che dichiarava l’inammissibilità di un appello reso su una sentenza che si era pronunciata sull’istanza incidentale d’accesso).

Le descritte caratteristiche che palesano la natura non decisoria dell’ordinanza in questione in quanto strettamente connessa con i poteri istruttori del Giudice, rendono non impugnabile la relativa ordinanza che potrà essere ovviamente contestata in sede di impugnazione della sentenza di merito.

Ecco perché, a differenza della posizione in commento, si era detto che “l’ordinanza istruttoria prevista dall'art. 1, 1º comma, ultima parte della l. n. 205 del 2000, ed ora dall'art. 116, 2º comma, c.p.a., mediante la quale è decisa in camera di consiglio l'impugnativa di cui all'art. 25, 5º comma, l. n. 241 del 1990 proposta, come nel caso di specie, per l'accesso ai documenti amministrativi in pendenza di ricorso, presuppone non soltanto la riscontrata sussistenza delle condizioni per l'esercizio del diritto di accesso, ma anche l'acclarata utilità dei documenti ai fini della decisione di merito, trattandosi di atto strettamente inerente ai poteri istruttori del giudice, non autonomamente appellabile, ferma la possibilità di contestarne la legittimità in sede di impugnazione della sentenza di merito; l’istanza di accesso proposta in pendenza di ricorso ha carattere strumentale rispetto alle domande ed eccezioni proposte nel giudizio nel quale l'istanza stessa si inserisce e ciò in omaggio al carattere istruttorio dell'ordinanza, risultante dalla previsione legislativa; l’ordinanza collegiale che si pronuncia sull'istanza, avendo natura istruttoria, presuppone comunque il vaglio della pertinenza dei documenti in relazione al giudizio in corso” (Cons. St., n. 3759/2013, cit.).

3.Del resto una corretta interpretazione dell’art. 116, co. 2 c.p.a. non può che condurre ad evidenziare la natura ordinatoria di queste ordinanze.

Ed infatti le istanze ex art. 116, co. 2, c.p.a. sono ammissibili all’interno di un giudizio di merito in quanto ad esso siano strettamente connesse, giacché solo in presenza di questa precisa correlazione è giustificabile, per ragioni di economia processuale, il “simultaneus processus”. La predetta condizione palesa l’indubbia circostanza che esse non rappresentino un’azione ostensiva promossa in via autonoma, ma solo perché funzionale al processo già incardinato sicché, rispetto a questo, ne devono necessariamente seguirne le sorti.

In ragione della dedotta strumentalità, l’ordinanza collegiale che decide sull’istanza di accesso dovrà fondarsi su questi elementi di effettiva connessione fra gli aspetti del giudizio principale e dell’istanza incidentale, valorizzando l’incidenza della documentazione alla quale si chiede di accedere con la res litigiosa di cui si dibatte. La connessione sottolineata impone, quindi, che la contestazione di parte circa la decisione sull’istanza prodotta dall’interessato avvenga mediante la proposizione di un unico mezzo di impugnazione, che avrà ad oggetto, ovviamente, la sola sentenza che definisce il giudizio cui l’istanza accede, dovendosi così opinare per l’ammissibilità del solo appello relativo alla sentenza definitiva che conclude il giudizio o della sentenza parziale che, pur non definendo l’intero giudizio, decide però anche dell’istanza istruttoria. L’elemento della “connessione” con il ricorso principale, sottolineata dal dato normativo, induce ad escludere che l’ordinanza in questione presenti il carattere della definitiva decisorietà, che costituisce un requisito indispensabile affinché possa ammettersene l’autonoma impugnazione.

         Se si ammettesse l’autonoma impugnabilità di questa tipologia di ordinanze verrebbero poi contraddette quelle esigenze di economia processuale che, invece, consentono la proposizione contestuale del giudizio di merito e di quello sull’accesso. Ed infatti nel momento in cui si il ricorrente decide di sfruttare la possibilità di concentrare all’interno del medesimo giudizio sia la tutela di merito che quella sull’accesso, purché strettamente connessa con l’oggetto del giudizio di merito, realizzando così l’obiettivo di concentrazione degli strumenti processuali funzionale al principio del giusto processo, non si comprende perché queste esigenze possano essere compromesse consentendogli poi di gravare l’ordinanza che decide l’istanza ostensiva.

D’altra parte, come già detto, nessun vulnus al diritto di difesa si realizza giacché gli esiti della richiesta istruttoria sono poi censurabili unitamente alla sentenza di merito, ovviamente se sfavorevole alle ragioni del ricorrente.

4.Un ulteriore tema spinge per l’adesione a tale tesi.

Come già riferito la ratio che giustifica l’ammissibilità delle istanze ex art. 116, co. 2 c.p.a. si rinviene nella stretta connessione fra il documento di cui si chiede l’esibizione ed il giudizio di merito.

Consentendo l’appello prima della definizione del giudizio di merito cui l’istanza ex art. 116, co. 2 c.p.a. è “connessa”, si prescinderebbe da qualsiasi valutazione sulla sussistenza dell’interesse ad agire che verrebbe “accantonato” rispetto all’impugnazione dell’ordinanza “istruttoria”.

Al contrario l’interesse ad agire deve essere valutato rispetto all’intero giudizio, e non può essere “scomposto” in relazione alla fase istruttoria che, ovviamente, ha un ruolo strumentale rispetto all’esito finale di merito.

Ed infatti potrebbe accadere che il giudizio di merito, anche a prescindere dalla produzione del documento richiesto, si concluda con un esito favorevole per il ricorrente sicché non sussisterebbe alcun interesse ad ottenere la sua esibizione, essendo totalmente satisfattiva la decisione conclusiva.

 

Diversamente opinando, se cioè si ritenesse ammissibile l’appello, si escluderebbe qualsiasi valutazione sull’interesse a ricorrere rispetto all’intero giudizio, limitandola esclusivamente ad un’autonoma actio ad exibendum, ma siffatta impostazione finirebbe per confliggere con la ratio dell’istanza ex art. 116, co. II, c.p.a. che, invece è ammissibile solo se strettamente connessa con il giudizio di merito, costituendo uno strumento di tutela che si inserisce in una lite già incardinata ed è ad essa intimamente intrecciata.

Avv. Santi Delia 

 

 

 

Natura giuridica di Poste Italiane, giurisdizione e appalti: nota a Sezioni Unite n. 4899/2018 

Da quasi un decennio si continua a dibattere della natura giuridica di Poste Italiane e l’occasione della sentenza della Cassazione ci è utile per fare il punto sul tema della giurisdizione in materia di appalti.

A differenza di quanto potrebbe ritenersi ad una prima valutazione sommaria, anche per l’aggiudicazione di appalti, Poste Italiane deve sottostare alla giurisdizione del G.O. e non a quella del G.A.

Deve farsi applicazione, difatti, del principio di diritto sul punto delineato dalle Sezioni Unite del 2012 che hanno sancito l’appartenenza della giurisdizione al Giudice ordinario nel caso della controversia relativa all’appalto del servizio sostitutivo di mensa sul rilievo che esso non inerisce in via diretta al servizio pubblico affidato alle cure di Poste Italiane: “Le controversie relative all'aggiudicazione dell'appalto del servizio sostitutivo di mensa, reso mediante buoni pasto cartacei, per i dipendenti di Poste Italiane s.p.a. appartengono alla giurisdizione ordinaria, atteso che tale appalto non rientra nella disciplina dei cd. settori speciali, a mente dell'art. 217 del d.lg. n. 163 del 2006, avendo un oggetto che, per sua natura, non rileva direttamente ai fini dell'espletamento del "servizio speciale" (quali il "servizio postale" e gli "altri servizi diversi" di cui all'art. 211 del decr. cit.), incidendo solo in via indiretta sull'attività inerente al servizio speciale. Ne consegue che – a prescindere dalla qualificazione giuridica dell'ente secondo la sistematica classificatoria normata dall'art. 3 del d.lg. n. 163 del 2006 – il procedimento di stipulazione dell'appalto non è soggetto alle regole dell'evidenza pubblica, sicché non sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ex art. 133, comma 1, lett. e), del d.lg. n. 104 del 2010, e ciò anche se Poste Italiane si sia volontariamente vincolata, pur non essendovi tenuta, alle regole di evidenza pubblica, poiché la sottoposizione o meno dell'appalto al regime pubblicistico discende esclusivamente dalle sue caratteristiche oggettive e da quelle soggettive della stazione appaltante” (Cassazione civile Sez. Un., 1/03/2018, n.4899; Cass. Civ., sez. UU, del 29/05/2012, n. 8511).

In questo del 2018, come in quel caso trattato dalle Sezioni Unite nel 2012, non v'è dubbio che il servizio di sorveglianza sanitaria di tutti i dipendenti del gruppo, non sia funzionale agli scopi istituzionali della stazione appaltante, ossia i servizi postali di cui al D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 211,le cui controversie ricadono ex lege nell'ambito della giurisdizione del giudice amministrativo.

In particolare, l'appalto de quo non rientra in alcuno dei "servizi postali" e degli "altri servizi diversi dai servizi postali" che, ai sensi del D.Lgs. n. 50 del 2016, art. 120,giustificano l'applicazione della disciplina del testo normativo in esame nei settori speciali. L'appalto che ci occupa non ha infatti nulla in comune con i servizi di raccolta, smistamento, trasporto e distribuzione di invii postali, nel senso precisato dal D.Lgs. n. 50 del 2016, comma 2, lett. a) e b), avendo ad oggetto la prestazione del "servizio di sorveglianza sanitaria dei dipendenti di Poste". Esso, peraltro, non è riconducibile neppure all'ambito dei servizi diversi previsti dell'art. 120, comma 2, lett. c), i quali comprendono esclusivamente le attività precedenti e successive all'invio postale, ma strettamente connesse allo stesso, nonchè i servizi di spedizione diversi da quelli postali propriamente detti: in tal senso depongono infatti chiaramente i riferimenti esemplificativi ai servizi di smistamento della posta e di spedizione di invii pubblicitari privi di indirizzo, contenuti rispettivamente nei nn. 1 e 2 della disposizione in esame.

        Né a diverse conclusioni si giunge facendo riferimento ai servizi cosiddetti esclusivi dovendo escludervi che in tal senso vi rientrino servizi solo apparentemente tali. Anche in questo caso (come in quelli già trattati dalle Sezioni Unite), sussiste un nesso di strumentalità (ai sensi dell’art. 8 del codice dei contratti) tra la procedura selettiva oggetto di impugnativa e uno dei "servizi" menzionati dal D.Lgs. n. 50/16giacchè, diversamente opinando, tutte le attività comunque utili allo svolgimento del servizio universale, sarebbero attratte dalla giurisdizione del G.A. Ma così, evidentemente, non è e non può essere.

        In questo specifico caso in commento, poi, le Sezioni Unite, al fine di superare la tesi volta a sostenere un concetto ampio di strumentalità, sottolineavano che “l'appalto per cui è processo non rientra in alcuno dei servizi effettuati da Poste Italiane, nemmeno come appalto ad essi strumentale, non potendosene ravvisare la funzionalizzazione a una delle attività rientranti nel relativo settore speciale”.

        Secondo la prospettazione dei soggetti che in quel contenzioso propendevano per la giurisdizione del G.A. esisteva un vincolo strumentale in quanto trattavasi di servizi obbligatori da rendere ai dipendenti: in quel caso la dazione dei buoni pasto sostitutivi alla mensa, qui la sorveglianza sanitaria.

        Le Sezioni Unite, tuttavia, hanno ribaltato tale impostazione di valutazione della strumentalità. “Poste Italiane - per rendere il servizio postale e gli altri servizi speciali indicati dal D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 211(qui art. 120 D.Lgs. n. 50/16, n.d.r.) - si avvale anche delle risorse umane costituite dal proprio personale e la distribuzione ad esso dei buoni mensa è previsto dal CCNL di categoria, l'appalto di cui trattasi avrebbe ad oggetto l'assicurazione a favore del personale di una prestazione che, essendo dovuta sul piano dei rapporti di lavoro, rappresenterebbe un mezzo per assicurarsi l'opera del personale stesso. Poichè l'espletamento delle attività di cui ai servizi speciali contemplati dall'art. 211 sarebbe possibile solo attraverso l'opera del detto personale, l'appalto di cui trattasi, in quanto correlato ad essa sarebbe, per così dire, mediatamente - per la verità non è del tutto esplicitato - o direttamente inerente all'attività di prestazione dei servizi speciali di cui al D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 211(qui art. 120 D.Lgs. n. 50/16, n.d.r.)o destinato a permettere la prestazione dell'attività i cui all'art. 211 (qui art. 120 D.Lgs. n. 50/16, n.d.r.) e, dunque, riconducibile all'art. 219 dello stesso D.Lgs. (qui art. 8 D.Lgs. n. 50/16 n.d.r.)”. “Ebbene, sostenere che un appalto come quello di cui è processo abbia una simile incidenza è privo di fondamento, perchè l'erogazione del servizio di distribuzione e gestione dei buoni mensa al personale (qui la verifica sanitaria degli stessi, n.d.r.)di Poste Italiane non costituisce un oggetto che, per la sua natura, rileva direttamente ai fini dell'espletamento del servizio speciale. Si tratta di un oggetto che viene in rilievo solo al fine di permettere alle Poste Italiane, che sono una persona giuridica, di avvalersi delle persone fisiche dei propri dipendenti, la cui attività è necessaria per consentire alle stesse Poste Italiane di agire nel mondo giuridico e, dunque, in fatto, cioè, in definitiva, per espletare, attraverso l'apparato organizzatorio con cui appunto si struttura Poste Italiane, la propria capacità giuridica e d'agire. E' vero che senza l'avvalimento del proprio personale, sia in sede centrale che nelle sua varie sedi periferiche e articolazioni organizzativa tramite le quali svolge i servizi speciali di cui all'art. 211 (qui art. 120 D.Lgs. n. 50/16), Poste Italiane s.p.a. non potrebbe svolgere le attività inerenti quei servizi. Senonchè, l'incidenza dell'avvalimento della propria organizzazione e, dunque, del proprio personale a questo fine si risolve in nient'altro che nel riflesso della mera capacità d'agire propria di Poste Italiane. L'appalto di cui trattasi, essendo diretto a permettere in via immediata l'avvalimento del personale perchè il servizio di distribuzione dei buoni pasto, sostitutivo della mensa (qui di sorveglianza sanitaria), è dovuto nell'ambito del rapporto di lavoro con il personale, assume rilievo solo ai fini di porre in condizione Poste Italiane di agire e rileva solo indirettamente per "permettere" l'espletamento dell'attività inerente al servizio speciale. In realtà, ciò che, per usare l'espressione dell'art. 219 (qui art. 8 D.Lgs. n. 50/16) "permette" lo svolgimento dell'attività inerente ai servizi speciali è la struttura organizzatoria di Poste Italiane che non è che la concreta manifestazione della sua stessa natura soggettiva di persona giudica. E' la presenza di detta struttura che "permette" quello svolgimento e non certo l'appalto di cui trattasi, che nessuna attinenza ha con la modalità di svolgimento dei servizi speciali”.

        Ecco perché, non a caso, in adesione a tale limpido ragionamento, l'Adunanza Plenaria del 2011, nel caso a suo tempo sottopostole, ha distinto fra un servizio di vigilanza del personale amministrativo e un servizio di vigilanza espletato sulla rete energetica. Nel primo caso la vigilanza riguardava l'avvalimento del personale operante in un settore che non riguardava direttamente lo svolgimento delle attività indicate nel D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 208. Nel secondo riguardava direttamente tale svolgimento, in quanto la vigilanza era relativa alla rete energetica. E solo in quest’ultimo la strumentalità era diretta.  Le Sezioni Unite, con motivazione che in tal senso vincola l’interprete in quanto giudice della giurisdizione, ha altresì chiarito la portata dell'art. 219(ora abrogato ma trasfuso nell’art. 8), evidenziando che“quando si riferiva agli "appalti destinati a permettere la prestazione di un'attività di cui agli artt. da 208 a 213" alludeva ad appalti relativi all'assicurazione di prestazioni e/o servizi che, in quanto dovevano "permettere" quella prestazione, necessariamente dovevano concernere profili inerenti al suo svolgimento e, dunque, alle modalità del servizio. L'appalto di cui è processo è invece stipulato per uno scopo diverso da quello dell'esercizio delle attività inerenti ai servizi speciali di cui all'art. 211 e, dunque, è riconducibile all'art. 217. E', quindi, evidente che l'appalto per cui è processo non rientra in alcuno dei servizi effettuati da Poste Italiane, nemmeno come appalto ad essi strumentale, non potendosene ravvisare la funzionalizzazione a una delle attività rientranti nel relativo settore speciale”.

Avv. Santi Delia