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Pubblicato in Interviste

La nuova responsabilità civile dei magistrati: legge n. 18/2015. Intervista al Consigliere Roberto Carrelli Palombi

by Dott.ssa Dalila dell’Italia on06 Aprile 2015

La necessità di adeguare l’ordinamento italiano agli orientamenti sovranazionali ha condotto al varo della recentissima riforma della disciplina sulla responsabilità civile dei magistrati. 

La legge approvata alla Camera il 24 febbraio scorso ha, infatti, dopo numerosi tentativi ed espedienti in itinere, modificato la legge Vassalli n. 117/1988.

Nel dettaglio e schematizzando i punti salienti della novella, se è stato conservato il principio della responsabilità indiretta dei magistrati, oggetto di modifica sono stati il regime dei termini entro cui proporre l’azione di risarcimento del danno contro lo Stato e la soglia della misura di rivalsa; è stato abrogato il c.d. “filtro di ammissibilità” ed infine rimodellate le fattispecie di colpa grave.

Per il principio della responsabilità indiretta, il cittadino che ritenga di aver subito un danno ingiusto a causa della contestata condotta giudiziaria - comportamento, atto o provvedimento - potrà continuare ad agire esclusivamente nei riguardi dello Stato, nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri; sarà lo Stato successivamente a rivalersi sul giudice responsabile. È fatta salva l’ipotesi di cui all’art. 13, comma 1, della legge Vassalli, che prevede che il cittadino, laddove il danno causato dal magistrato nell’esercizio delle sue funzioni consegua ad un fatto costituente reato, possa esperire l’azione civile per il risarcimento nei confronti del magistrato stesso e dello Stato secondo le norme ordinarie.

Il mancato esercizio del diritto di regresso comporta responsabilità contabile.

Le tempistiche entro le quali esperire l’azione di risarcimento del danno contro lo Stato sono state ampliate a seguito della riforma del comma 2 dell’art. 4 della legge n. 117/1988. La suddetta azione - che pur dopo la riforma può essere esercitata solo quando siano stati esperiti i mezzi ordinari di gravame o gli altri rimedi previsti avverso i provvedimenti cautelari e sommari e comunque quando il provvedimento che si presume causa di pregiudizio non sia piùmodificabile o revocabile, ovvero se tali rimedi non sono previsti, quando sia esaurito il grado del procedimento nell’ambito del quale si èverificato il fatto che ha cagionato il danno - va proposta nel termine decadenziale di tre anni, in luogo dei precedenti due, a partire dal momento in cui èpossibile esperirla, ovvero dopo tre anni dalla data in cui il fatto èavvenuto (nel caso in cui il grado del procedimento in cui si è verificato il fatto non sia ancora concluso), o, nei casi ex art. 3, entro tre anni dalla scadenza del termine entro il quale il magistrato avrebbe dovuto provvedere sull’istanza.

In ordine alla rivalsa dello Stato sul giudice-persona fisica, l’art. 7 l. 117/1988, come modificato dalla l. 18/2015, prevede che la relativa azione debba essere obbligatoriamente esercitata entro due anni dal risarcimento avvenuto sulla base di titolo giudiziale o di titolo stragiudiziale, nel caso di diniego di giustizia, ovvero qualora la violazione manifesta della legge nonchédel diritto dell’Unione europea ovvero il travisamento del fatto o delle prove, di cui all’art. 2, commi 2, 3 e 3-bis, siano stati determinati da dolo o negligenza inescusabile.

La misura della rivalsa èstata elevata. La precedente soglia di un terzo dello stipendio del magistrato è stata sostituita con una che “non può superare una somma pari alla metà di una annualità dello stipendio, al netto delle trattenute fiscali, percepito dal magistrato al tempo in cui l’azione di risarcimento è proposta, anche se dal fatto è derivato danno a piùpersone e queste hanno agito con distinte azioni di responsabilità. Tale limite non si applica al fatto commesso con dolo”. Si tratta della nuova previsione dell’art. 8, comma 3, della l. 117/1988, susseguente alla modifica di cui alla l. 18/2015.

In punto di elemento soggettivo di responsabilità, è opportuno precisare una intenzionale differenziazione tra i magistrati ed altri operatori che collaborano presso gli organi di giustizia.

Ai sensi dell’art. 2, comma 1, l. 117/1988 i magistrati rispondono per dolo o colpa grave qualora da un loro atto, comportamento o provvedimento inerente le funzioni giudiziarie ovvero in conseguenza di diniego di giustizia sia derivato a taluno un danno ingiusto.

Rilevante la modifica del comma 2 dell’art. 2. “Fatti  salvi  i  commi  3  e  3-bis”- riferiti rispettivamente ai casi di colpa grave e di violazione manifesta della legge o del diritto dell’Unione Europea -  “ed  i  casi  di  dolo, nell’esercizio delle  funzioni  giudiziarie  non  può  dar  luogo  a responsabilità l’attivitàdi interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove”. In altri termini viene ridefinita la “clausola di salvaguardia”: se nell’attività ermeneutica e valutativa il giudice ha agito con dolo o colpa grave, si riespande nella sua pienezza la responsabilità civile, venendo meno la ratio della sua esclusione.

Come accennato, le ipotesi di colpa grave sono state ampliate. Se con la legge Vassalli la colpa grave era ammessa solo se il giudice avesse negato un fatto palesemente esistente o affermato un fatto inesistente, essa puòora scattare anche in presenza di violazione manifesta della legge, del diritto comunitario o in caso di travisamenti di fatti e prove. Il travisamento rilevante ai fini di cui si discute è, tuttavia, solo quello macroscopico, che non richiede particolari indagini di merito.

Il comma 3 dell’art. 2 soggiunge che l’adozione di una misura cautelare personale o reale fuori dai casi previsti dalla legge costituirà motivo valido per riconoscere colpa grave nella condotta del magistrato.

In ordine alle ipotesi in cui ritenere integrata la violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione  europea, il comma  3-bis dell’art. 2 cit. indica, quali parametri, il grado di chiarezza e di precisione delle norme violate; la inescusabilità e gravità dell’inosservanza; altresìla mancata  osservanza dell’obbligo di  rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267, terzo paragrafo, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea ed il contrasto dell’atto o provvedimento con  l’interpretazione  espressa  dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea.

Invero si deve a plurimi interventi della Corte suddetta l’introduzione della violazione del diritto dell’Unione europea e la scorrettezza nella valutazione di fatti e prove quale motivo di responsabilitàcivile del magistrato italiano, seppur da farsi valere ancora in via indiretta. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea  aveva, infatti, piùvolte rimarcato la propria contrarietà rispetto ad una legge, quale era appunto la legge Vassalli, che escludeva la responsabilitàdel magistrato per casi siffatti.

I giudici popolari rispondono, invece, esclusivamente per dolo, mentre i cittadini estranei alla magistratura che formano o concorrono a formare organi giudiziari collegiali rispondono a titolo sia di dolo che per negligenza inescusabile per travisamento del fatto o delle prove

Da ultimo, con l’abrogazione dell’art. 5 della l. 117/1988 èstato abolito il c.d. “filtro di ammissibilità”, con la conseguenza che presentata la domanda di risarcimento per danno ingiusto non ci sarà alcun controllo preliminare da parte del tribunale. L’effetto della riforma è, dunque, la totale pretermissione di quella delibazione preliminare di ammissibilità, consistente in un controllo dei presupposti, del rispetto dei termini e della valutazione della fondatezza dell’azione risarcitoria verso lo Stato, che il Tribunale del distretto di corte d’appello, sentite le parti, doveva compiere, decidendo, solo in caso di esito positivo, di far proseguire il processo.

Il Consigliere Carrelli Palombi ha cortesemente accettato di offrire una sua personale opinione sulla riforma de quo.

Gentile Consigliere, qual è la Sua valutazione in merito allabolizione del filtro di ammissibilitàRitiene che fosse preferibile un preliminare controllo da parte del tribunale o, al contrario, che sia un sistema maggiormente efficace e soddisfacente quello attraverso cui viene presentata direttamente la domanda risarcitoria per il pregiudizio patito dal cittadino a causa della condotta giudiziaria considerata scorretta?

Per rispondere alla Sua domanda occorre fare una premessa: la normativa in tema di responsabilità civile dei magistrati è deputata a regolamentare due opposte esigenze: in primo luogo si tratta di assicurare una possibilitàdi risarcimento ai soggetti che ritengono di essere stati lesi in conseguenza di atti o comportamenti di magistrati gravemente negligenti; quindi, secondo altra visuale, per un certo verso opposta alla prima, occorre preservare l’esercizio dell’attività giurisdizionale da ogni indebito condizionamento esterno. In questa direzione la Corte Costituzionale ha più volte evidenziato come la garanzia costituzionale dell’indipendenza della Magistratura postuli il riconoscimento di uno spazio di assoluta autonomia di valutazione dei fatti e delle prove e di imparziale interpretazione delle norme di diritto, al di fuori da ogni condizionamento istituzionale o professionale, anche informale, ovvero derivante da personali aspettative o timori.

Detto questo in termini generali, occorre rilevare che nella normativa previgente il filtro di ammissibilità rispondeva all’esigenza di stroncare sul nascere azioni pretestuose o che si presentavano palesemente infondate, evitandosi così di screditare inutilmente la magistratura.

All’esito di un’analisi effettuata dall’A.N.M. presso i principali uffici giudiziari italiano è stato accertato che, nella maggior parte dei casi, i giudizi di responsabilità sono stati azionati senza il minimo rispetto delle condizioni di ammissibilità previste dalla legge: ad esempio per mancato esperimento dei mezzi di impugnazione o degli altri rimedi previsti dalla legge oppure per la proposizione delle domande oltre il termine di decadenza previsto dalla legge.

Ora certo l’eliminazione di questo filtro di ammissibilità impedirà l’effettuazione di una rapida ed immediata scrematura fra le azioni pretestuose o quelle manifestamente infondate e quelle che, invece, appaiono fondate su ragioni meritevoli di un giudizio a cognizione piena. Ciò non rappresenta certo una novità positiva, non soltanto per il singolo magistrato, ma principalmente per l’interesse dello Stato, che viene convenuto in giudizio per il tramite della Presidenza del Consiglio dei Ministri. In sostanza con il nuovo sistema introdotto appare concreto il rischio che lo Stato possa essere inutilmente citato in giudizio o che il magistrato possa essere vittima di azioni temerarie o vessatorie. 

Occorre, quindi, come preannunciato dal Ministro della Giustizia, riflettere all’esito della prima applicazione del nuovo sistema normativo, onde verificare il tipo ed il numero di azioni intraprese contro lo Stato per danni da attività giudiziaria ed eventualmente introdurre meccanismi processuali, da inquadrarsi nella specie della lite temeraria o dell’abuso del diritto,  che impediscano un uso strumentale e pretestuoso dell’azione e costituiscano un vero disincentivo ad iniziative volte a rivedere, con strumenti non consentiti, gli esiti di vicende processuali già definiti.

Linnalzamento della misura di rivalsa è probabilmente dettato da una volontà deterrente. Secondo Lei sussistevano le ragioni, a monte, per inasprire la misura del diritto di regresso dello Stato nei confronti del singolo giudice? In altri termini e più in generale, crede che le ipotesi di dolo o colpa grave nellambito dellagere giudiziario siano state negli anni tanto frequenti da spingere il Legislatore a varare una riforma di tal genere?

Ritengo rientri nella discrezionale facoltàdi scelta del Legislatore intervenire sulla misura della rivalsa che lo Stato e’ tenuto a richiedere al singolo Magistrato nelle ipotesi individuate. Pero, a mio avviso,  il problema  non sta tanto nella misura della rivalsa, che e’stata si innalzata da un terzo ad un mezzo dello stipendio annuale percepito dal magistrato al momento in cui e’stata proposta l’azione di risarcimento e nella previsione che la rivalsa viene eseguita attraverso trattenute sullo stipendio in rate mensili calcolate nella misura di un terzo dello stipendio netto, quanto, piuttosto, nell’ampliamento delle ipotesi di colpa grave che, in caso di dolo o di negligenza inescusabile, impongono di esercitare l’azione di rivalsa contro il magistrato. Difatti, in tale ambito,  sono state introdotte delle nuove limitazioni alla cosiddetta clausola di salvaguardia in base alla quale non può  dar luogo a responsabilità, nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, l’attività di interpretazione delle norme di diritto e quella di valutazione del fatto e delle prove,  che possono porsi in conflitto con i principi costituzionali di indipendenza della Magistratura e di soggezione dei giudici soltanto alla legge. Preoccupa, in particolare, la nuova definizione delle ipotesi di colpa grave contenuta nel novellato art. 2 della legge n. 117 del 1988: segnatamente si stabilisce che, costituisce colpa grave la violazione manifesta della legge o del diritto dell’Unione europea, il travisamento del fatto o delle prove, l’affermazione di un fatto la cui esistenza e’ incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento o la negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento, o l’emissione di un provvedimento cautelare personale o reale fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione.  Deve, a questo riguardo, osservarsi che un qualsiasi sindacato sull’attività valutativa ed interpretativa posta in essere dal magistrato, ivi compresa la complessa attivitàdi ricostruzione del fatto e di valutazione delle prove, nell’ambito della quale vige il principio del libero convincimento del giudice, non puònon incidere, comunque, sull’autonomia e indipendenza del potere giudiziario, che rappresenta uno dei pilastri sui quali e’ fondato lo stato di diritto.  In questa direzione si e’, in maniera costante, espressa la Corte di Cassazione, nell’applicare la normativa previgente, affermando che la sopra citata clausola di salvaguardia non puòtollerare letture riduttive, in quanto la sua esistenza e’ giustificata dal carattere fortemente valutativo dell’attività giudiziaria ed e’deputata ad attuare l’indipendenza del giudice e, con essa, del giudizio. Si e, ancora piùspecificamente, affermato che l’esercizio della funzione giurisdizionale, per quanto attiene all’accertamento del fatto ed all’individuazione ed interpretazione della norma ad esso applicabile, non puòessere, in ogni caso, fonte di responsabilitàper il magistrato, neppure sotto i profili dell’opinabilità della soluzione adottata, dell’inadeguatezza della relativa motivazione o dell’assenza di esplicita e convincente confutazione delle tesi opposte; ciò in quanto non può essere consentito, attraverso l’azione di responsabilità ed al di la dei rimedi processuali previsti, introdurre una inammissibile revisione del giudizio interpretativo o valutativo espresso dal magistrato nel corso del giudizio. In sostanza, anche in seguito a ripetuti interventi della Corte Costituzionale, si e’ ritenuto che non possono introdursi, nella regolamentazione da parte del Legislatore dell’attività del giudice e quindi anche della sua responsabilità per danni da attività giudiziaria, dei vincoli che possano tradursi in una sua soggezione, formale o sostanziale, verso altri organi o soggetti, perché, per precetto costituzionale, il giudice e’ e deve rimanere, a garanzia di tutti i cittadini, soggetto soltanto alla legge. Tali principi, a mio avviso, dovranno essere applicati anche sotto il vigore della nuova legge, eventualmente valutando se le nuove ipotesi di responsabilità possano entrare in conflitto con i principi costituzionali sopra enunciati.

Da ultimo mi corre l’obbligo di evidenziare un equivoco di fondo dal quale  appare essere scaturito  l’intervento del Legislatore e che spesso, nel dibattito che ha preceduto l’approvazione della legge da parte dei due rami del Parlamento, e’ stato oggetto di strumentalizzazioni difficilmente comprensibili dai non addetti ai lavori. Si e’ detto, appunto, che l’intervento sulla responsabilitàcivile dei magistrati era imposto dall’Unione Europea. In realtà lo Stato italiano, come gli altri stati membri, sulla base della giurisprudenza della Corte europea, era tenuto ad introdurre, in attuazione degli obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione, una specifica ipotesi di responsabilità dello Stato e consegnante diritto al risarcimento per il cittadino in caso di danni  allo stesso derivati in conseguenza della violazione del diritto comunitario. Ciò, pero, non riguardava affatto la paventata necessita una più stringente o comunque diversa regolamentazione della responsabilità dei magistrati ai quali quelle violazioni sono ascrivibili, in quanto la questione del titolo di responsabilità del singolo magistrato e’ del tutto irrilevante per il diritto dell’Unione europea ed attiene esclusivamente al diritto interno del singolo Stato membro.

Ultima modifica il 06 Aprile 2015