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La legge n. 264 del 2 agosto 1999 individua la normativa in materia di accesso ai corsi universitari prevedendo che questi possano essere programmati sia a livello nazionale che locale.
In tale ultimo caso, tuttavia, il combinato disposto degli articoli 33 e 34 Cost. conferisce una specifica responsabilità al legislatore statale, “di cerniera”, ossia quella di predisporre precisi limiti alla libertà ordinamentale data alle università nel contingentare l’accesso alle prestazioni che offre.

Infatti, le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno, sì, il diritto di darsi ordinamenti autonomi ma sempre nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato in quanto "la scuola è aperta a tutti" e, infatti, si garantisce e riconosce ai "capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi" il diritto "di raggiungere i gradi più alti degli studi”.
La legge n. 264/99 specifica i vincoli imposti all'autonomia universitaria, relativi tanto all’organizzazione in senso stretto, quanto al vero e proprio diritto di accedere all'istruzione approntata dai diversi atenei.

Infatti, le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno, sì, il diritto di darsi ordinamenti autonomi ma sempre nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato in quanto "la scuola è aperta a tutti" e, infatti, si garantisce e riconosce ai "capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi" il diritto "di raggiungere i gradi più alti degli studi”.
La legge n. 264/99 specifica i vincoli imposti all'autonomia universitaria, relativi tanto all’organizzazione in senso stretto, quanto al vero e proprio diritto di accedere all'istruzione approntata dai diversi atenei.

Nel caso sottoposto al vaglio del Collegio la valutazione comparativa dei candidati avveniva in base al pregresso curriculum studiorum, nonché in relazione alla velocità di conseguimento della laurea triennale, risultando evidente che “che la tipologia di selezione messa in atto dall’Ateneo resistente non si inserisce in nessun modo nel paradigma legislativo, né può assumere alcuna rilevanza l’astratta ragionevolezza dei criteri che ne sono alla base alla luce dei principi costituzionali che presiedono all’attuazione del diritto allo studio.”
In merito - continua il Collegio - occorre ricordare, seguendo l’insegnamento della Corte costituzionale (sent. 27.11.1998, n. 383), che “Secondo la Costituzione, l'ordinamento della pubblica istruzione è […] unitario ma l'unità è assicurata, per il sistema scolastico in genere, da "norme generali" dettate dalla Repubblica; in specie, per il sistema universitario, in quanto costituito da "ordinamenti autonomi", da "limiti stabiliti dalle leggi dello Stato".
Gli "ordinamenti autonomi" delle università, cui la legge, secondo l'art. 33 della Costituzione, deve fare da cornice, non possono considerarsi soltanto sotto l'aspetto organizzativo interno, manifestantesi in amministrazione e in normazione statutaria e regolamentare. Per l'anzidetto rapporto di necessaria reciproca implicazione, l'organizzazione deve considerarsi anche sul suo lato funzionale esterno, coinvolgente i diritti e incidente su di essi. La necessità di leggi dello Stato, quali limiti dell'autonomia ordinamentale universitaria, vale pertanto sia per l'aspetto organizzativo, sia, a maggior ragione, per l'aspetto funzionale che coinvolge i diritti di accesso alle prestazioni. […]”

Accogliendo in parte qua il nostro ricorso, il TAR concludeva che, “l’autonomia universitaria non può porsi all’origine di fattispecie di corsi a numero programmato diverse da quelle consentite dalla legge, neppure essa può giustificare la previsione di modalità di accesso diverse a quelle legislativamente contemplate, che peraltro non si prestano, come sopra dimostrato, a nessun tipo di interpretazione atta a legittimare la selezione come operata dall’Ateneo resistente.”