Il Consiglio di Stato, con un’articolata sentenza, ripercorrendo gli angusti spazi delle ipotesi di accesso alla revocazione, ha accolto il ricorso degli Avvocati Michele Bonetti e Santi Delia, name founder dello studio Bonetti & Delia, evitando il licenziamento di una ventina di Insegnanti Tecnico Pratici, ammessi a partecipare al concorso 2016 per effetto di provvedimenti cautelari.
Il “concorsone 2016”, come ricorderete, è stato il primo esclusivamente riservato agli insegnati abilitati in ottemperanza alla riforma della c.d. “Buona Scuola” appena entrata in vigore nel 2015.
Tale scelta del Legislatore aveva escluso ogni possibilità di partecipazione non solo a tutti i soggetti che avevano scelto di non abilitarsi ma, soprattutto, a coloro i quali, dopo aver ottenuto il titolo di accesso all’insegnamento, non avevano avuto alcuna possibilità di partecipare a percorsi di abilitazione in quanto lo Stato italiano non ne aveva creati.
In giudizio, nell’ambito delle migliaia di ammissioni che per quel concorso siamo riusciti ad ottenere, avevamo dimostrato l’illogicità e l’irragionevolezza di tale previsione normativa ove non interpretata nel senso di non consentire l’ammissione a chi, quell’abilitazione, non l’aveva potuta conseguire in ragione dell’inesistenza di canali abilitanti frattanto banditi.
“Il presupposto logico e giuridico-formale ineludibile perché risulti corretto l’assunto testé enunciato (e cioè la legittimità di un concorso ordinario riservato agli abilitati) è costituito dalla circostanza di fatto che, anteriormente alla scadenza del termine per la presentazione delle domande di partecipazione al concorso, sia stato attivato e portato a compimento quantomeno un percorso abilitativo c.d. “ordinario” – ossia aperto all’accesso di chiunque sia munito del prescritto titolo di studio (e a prescindere dal fatto che costui abbia, o meno, svolto attività di insegnamento a titolo precario) – giacché, altrimenti, la selezione (almeno in riferimento alle classi di concorso per cui difetti tale implicito, ma indispensabile, presupposto fattuale) finirebbe con l’atteggiarsi concretamente come concorso riservato (in spregio non solo, e non tanto, del cit. art. 97, III comma, Cost.; ma anche, e soprattutto, della dichiarata ed effettivamente riscontrabile voluntas legis).
Per le classi di concorso per cui non sia stato effettivamente possibile conseguire l’abilitazione senza aver svolto un periodo di precariato (ossia quelle per le quali tale conseguimento sia stato concretamente possibile solo in esito a percorsi abilitanti c.d. “speciali”, cioè riservati a chi abbia svolto un determinato periodo di servizio come insegnante precario: quali, e.g., i c.d. P.A.S., cui è controverso tra le parti se la ricorrente avesse avuto, o meno, titolo per accedere) il concorso solo formalmente si qualificherebbe come pubblico, ma in realtà si atteggerebbe come riservato ai docenti precari che, soli, abbiano potuto conseguire l’abilitazione per la specifica classe di concorso.
Alla stregua di quanto sin qui detto, che – senza alcun bisogno di sollevare q.l.c. della normativa primaria di riferimento, giacché essa ben si presta ad essere interpretata nei sensi di cui appresso: non solo in senso costituzionalmente più orientato, ma altresì in senso più conforme alla dichiarata (ed effettivamente riscontrata) voluntas legis, che effettivamente è quella del superamento del precariato come canale unico o preferenziale di accesso all’insegnamento (risultato inattingibile ove non si consentisse mai la partecipazione al concorso anche a prescindere dall’aver svolto servizio precario) – è ben possibile coniugare il possesso dell’abilitazione, quale requisito ordinariamente necessario per partecipare al concorso di cui all’art. 400 cit., con l’esigenza esegetica (di cui si è già detto) di non “riservare” per alcuna classe di concorso la partecipazione ai soli precari (o ex precari), mediante una corretta applicazione anche al concorso di cui qui trattasi del successivo art. 402 del cit. D.Lgs. n. 297/1994. Detta norma primaria, direttamente correlata a quella che disciplina lo svolgimento del concorso di cui trattasi (ossia l’art. 400 del medesimo D.Lgs.), dispone che “fino al termine dell’ultimo anno dei corsi di studi universitari per il rilascio dei titoli previsti dagli articoli 3 e 4 della legge 19 novembre 1990, n. 341, ai fini dell’ammissione ai concorsi a posti e a cattedre di insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado, ivi compresi i licei artistici e gli istituti d’arte, è richiesto il possesso dei seguenti titoli di studio: a) diploma conseguito presso le scuole magistrali o presso gli istituti magistrali, od abilitazione valida, per i concorsi a posti di docente di scuola materna; b) diploma conseguito presso gli istituti magistrali per i concorsi a posti di docente elementare; c) laurea conformemente a quanto stabilito con decreto del Ministro della pubblica istruzione, od abilitazione valida per l’insegnamento della disciplina o gruppo di discipline cui il concorso si riferisce, per i concorsi a cattedre e a posti di insegnamento nelle scuole secondarie, tranne che per gli insegnamenti per i quali è sufficiente il diploma di istruzione secondaria superiore” (tra i quali ultimi rientra il caso degli I.T.P., di cui qui trattasi)”.
Nel caso dei ricorrenti, invece, il Consiglio di Stato, nella sentenza che si chiedeva di revocare, aveva “delibato la propria posizione come se si trattasse di soggetti appartenenti al genus dei docenti non abilitati anziché alla species, pur all’interno dello stesso genus, degli ITP, ai quali prima del concorso ordinario in discorso, sarebbe stato reso impossibile abilitarsi “.
Il Consiglio di Stato, dopo una complessa premessa sulle peculiarità del giudizio di revocazione, ha ritenuto esistente l’errore di fatto revocatorio.