A tali percentuali bisogna poi aggiungere l'elevato numero di divisioni tra coppie non sposate con figli, le quali, pur non trovandosi - al momento della crisi - a dover gestire le problematiche connesse ad un procedimento giudiziario di separazione o divorzio, scelgono, in ogni caso, di affrontare i problemi legati al mantenimento e all'affidamento dei minori, ricorrendo al Tribunale.
In tutte queste situazioni, molto spesso accade che i genitori non siano in grado di gestire in modo equilibrato i propri contrasti e finiscano, così, col coinvolgere i figli in un vortice di pretese, ripicche e recriminazioni da cui i minori difficilmente saranno in grado di uscire senza riportare gravi danni al loro sviluppo di adulti.
Ciò che, infatti, avviene tra le due principali figure di riferimento del bambino è lo scambio di violenze e minacce di varia natura (fisiche, psicologiche, economiche), alle quali il minore è spesso costretto ad assistere con conseguenze non necessariamente subito visibili e, in ogni caso, estremamente variabili in base a una serie di fattori quali, ad esempio, l'età, l'indole, la periodicità e la gravità dei conflitti, l'eventuale supporto di altri familiari.
Sul piano concreto, al figlio che assiste quotidianamente alla guerra in atto nella famiglia, é impedito di vivere appieno il suo ruolo di bambino o adolescente; egli, infatti, sarà sempre preoccupato per ciò che accade ai propri genitori i quali, anziché apparire ai suoi occhi come un punto di riferimento non solo affettivo ma anche educativo, saranno percepiti come persone fragili e poco attendibili.
In pratica il minore perderà quelli che dovrebbero essere i suoi modelli nella crescita, con conseguenze sul piano intimo e relazionale di varia natura, come la continua insicurezza dei rapporti affettivi (anche con ripercussioni nella sfera sessuale), l'assenza di fiducia negli altri e in se stessi, un frequente senso di colpa al pensiero di essere la causa del conflitto.
Attualmente sono oltre 10mila i minori oggetto delle contese dei propri genitori; si tratta di bambini o adolescenti che finiscono col riportare molto spesso seri effetti sul comportamento,quali disturbi del sonno o alimentari (anoressia, bulimia), stati d’ansia, comportamenti di aggressività e rabbia (si pensi al fenomeno del bullismo), problemi di identità.
Dinanzi alla richiesta di un genitore di ottenere l'affido esclusivo della prole, gli strumenti adottati dai Tribunali si mostrano spesso inadeguati, se pur sempre finalizzati a tutelare l'interesse dei figli e a verificare in che misura le istanze del genitore si basino sul serio rischio di un pregiudizio per questi ultimi.
In questo senso rappresentativa è una recente sentenza (CEDU sez. II, sent. 29 gennaio 2013) con la quale la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha condannato il nostro Paese per non aver saputo adottare misure idonee a ristabilire i rapporti tra un padre e una figlia, ostacolati dalla condotta della madre, inosservante dei provvedimenti giudiziari.
Gli strumenti a disposizione del giudice per fronteggiare i contrasti dei genitori in merito alla prole, possono essere di diverso tipo e natura.
Si pensi, ad esempio, all’obbligo per il magistrato di sentire i minori nel caso di insorgenza di procedimenti giudiziari che li riguardino (art. 315 bis comma 3 cod. civ.): si tratta di un vero e proprio diritto di questi ultimi ad essere ascoltati se abbiano compiuto 12 anni o anche di età inferiore, se capaci di discernimento.
Nei casi più gravi, sui minori potranno essere disposte perizie psicologiche tese a verificare l'esistenza o meno di un malessere legato alle relazioni familiari e che, in taluni casi potranno anche portare alla decisione di affidare i figli a soggetti estranei alla famiglia (ad esempio una comunità), se pur in via temporanea.
Dal lato, invece, del genitore che violi le disposizioni impartite dal giudice anche in tema di modalità di affidamento, la legge prevede l'utilizzo di strumenti quali, ad esempio, l'ammonimento del genitore inadempiente, il risarcimento del danno a carico del minore o dell'altro genitore, la condanna al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria in favore della Cassa delle ammende (art. 709 ter cod. proc. civ.).
Tutti rimedi questi che, all'atto pratico, assolvono più ad una funzione punitiva per il genitore "alienante" che a una funzione risolutiva del conflitto.
Ebbene, al di là dei casi di serie violenze (fisiche o psicologiche che siano) perpetrate a danno del bambino e per le quali occorre una doverosa indagine, si può davvero pensare che la fisiologica litigiosità connessa ad una separazione debba necessariamente costringere un figlio a scegliere tra un genitore e l'altro piuttosto che avere in ciascuno di essi dei modelli diversi e complementari al contempo?
Lo stesso dicasi per tutti gli altri riferimenti affettivi nella vita del minore.
Si pensi, ad esempio, a quanto avviene alla figura dei nonni, porto sicuro di molte giovani coppie non solo per il contributo economico che spesso apportano alle famiglie, ma anche per la loro affettuosa e costante compartecipazione alla crescita dei nipoti: ebbene, anche su di loro non di rado si ripercuotono gli effetti delle contese tra i genitori.
I nonni (o anche gli zii o altre figure della famiglia) finiscono spesso col trovarsi ad essere allontanati gradualmente dalla vita dei bambini, vedendosi relegati (nel migliore dei casi) a semplici parenti cui far visita in modo occasionale.
E se la legge ha di recente introdotto una forma di tutela anche per loro, prevedendo la possibilità per gli ascendenti di rivolgersi al Tribunale qualora sia stato ostacolato il loro diritto a conservare "rapporti significativi" con i nipoti (art. 317 bis cod. civ.), vien da chiedersi quanto una frequentazione imposta da un giudice, senza cioè il consenso e il supporto dei genitori del bambino, possa definirsi un risultato positivo nell’ambito di un percorso di separazione.
Il figlio non percepirà, forse, quel tempo concesso dal giudice come qualcosa che uno dei genitori non approva, pensando di fare qualcosa di sbagliato?
Lo stesso dicasi per qualsiasi tipo di provvedimento emesso dal Tribunale in merito alle modalità di visita o affidamento dei minori che non sia condiviso da ciascun genitore: saranno sempre momenti che il bambino vivrà senza sentirsi pienamente libero di essere se stesso, nel timore di deludere quel genitore che viva il provvedimento del giudice più come un'imposizione che come una soluzione.
Ed inoltre: il genitore che abbia ottenuto un provvedimento a lui favorevole dopo che suo figlio sia stato ascoltato dai giudici, sottoposto a perizie di psicologi, o peggio, allontanato con la forza dall'altro genitore (come rievocano recenti fatti di cronaca), potrà davvero dirsi vittorioso?
Eppure è possibile pensare alla separazione come ad un cambiamento di assetti familiari, come ad una differente costruzione delle relazioni che se, ben guidata, può consentire di continuare a vivere i rapporti familiari in modo diverso ma non per questo lesivo degli interessi e dei bisogni di ciascun soggetto coinvolto dalla crisi della coppia.
Di sicuro una costruzione faticosa, che necessita di una precisa volontà di mettersi in gioco nella ricerca di soluzioni che sappiano tener conto dei bisogni di ciascun membro della famiglia, senza concepire il procedimento giudiziario secondo la logica del vincitore-vinto.
In questo senso sarà importante la scelta di farsi assistere da un legale che non viva come un semplice dovere professionale il rispetto di determinate norme (si pensi alla recente previsione, nell'art.56 del nuovo codice deontologico forense, del divieto per l'avvocato di un genitore di"procedere all’ascolto di una persona minore di età senza il consenso degli esercenti la responsabilità genitoriale") ma che sappia sempre tener conto della delicatezza degli interessi in gioco, assumendo l'incarico con l'obiettivo di mettere in evidenza, in via prioritaria, i bisogni dei figli e di impegnarsi ad aiutare ciascun genitore a confrontare le proprie aspettative con quelle dell'altro.
In linea con la necessità di ricercare soluzioni condivise da parte di tutti gli operatori del diritto, ben si collocano le recenti iniziative in tema di mediazione delegata (cioè sollecitata dal magistrato anche su materie escluse dalla obbligatorietà) di cui si è fatto pioniere il Tribunale di Milano: nello specifico il giudice meneghino, nel corso di un giudizio di divorzio, ha invitato una coppia di genitori a rivolgersi ad un organismo di mediazione per dirimere le questioni relative al mantenimento della prole, (cfr.Ordinanza del 29 ottobre 2013 Giudice G. Buffone) ed ha, inoltre, introdotto la prassi del c.d. "rito partecipativo" nei procedimenti riguardanti la regolamentazione delle questioni relative ai figli nati fuori dal matrimonio.
Nello specifico il giudice, con l'obiettivo di tentare la conciliazione tra le parti, ha previsto la fissazione di un'apposita udienza (c.d. "udienza filtro") allo scopo di far preventivamente valutare alla coppia le possibili soluzioni della lite; nel far questo il giudice può non solo prospettare pronunce giurisprudenziali consolidate sulla materia oggetto di controversia (potremmo dire, anticipando il possibile esito del giudizio), ma anche suggerire altri sistemi di risoluzione delle questioni relative ai figli, come la mediazione familiare o il diritto collaborativo.
Un sistema che sta portando a risultati positivi in oltre il 60% dei casi e di cui si auspica l’adozione da parte di ogni Tribunale in tutti i procedimenti relativi alle controversie riguardanti i minori contesi.