Alla base del contenzioso uno spiacevole ma fortunatamente contenuto incidente di caccia, nel corso del quale, durante una battuta di caccia alla lepre, un cacciatore ne aveva ferito lievemente un altro (prognosi 20 giorni).
Da qui la revoca della licenza da parte del Questore di Reggio Emilia, ai sensi dell’art. 43 del TULPS, norma sul porto d’armi, in base alla quale la licenza può essere revocata “a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi”.
Il cacciatore si rivolge dunque al T.A.R. Emilia Romagna, sezione di Parma, lamentando l’inapplicabilità alle licenze di porto fucile da caccia delle norme sul porto d’armi in generale, contenute nel TULPS. Tuttavia il T.A.R. rigetta il ricorso.
Di contenuto parzialmente diverso è la sentenza del Consiglio di Stato che, accogliendo l’appello, ribadisce tuttavia una serie di principi importanti nella materia dell’uso delle armi da caccia.
Infatti, il Consiglio di Stato condivide l’impostazione del T.A.R., stabilendo che anche ai cacciatori si debba applicare il TULPS, come a tutti coloro che siano autorizzati a detenere e portare armi: “Le disposizioni del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza hanno portata ed applicazione generale, e non si è mai seriamente dubitato che l’art. 43 sia applicabile anche alla licenza di caccia, come dimostra anche la prassi costante ed incontroversa. D’altra parte, il fatto che i cacciatori, nell’esercizio della caccia, siano soggetti alle apposite norme speciali, non li sottrae alle leggi di più ampia portata, fra le quali quelle sulla pubblica sicurezza”. Dunque ai cacciatori si applicano sia le norme sul TULPS, relative a tutti i porti d’armi, sia le leggi speciali sulla caccia, in aggiunta alle prime.
A tale conclusione giungono i Supremi Giudici Amministrativi, sia sulla base della consolidata giurisprudenza e dell’assenza di deroghe nelle norme invocate, sia sulla base della cruciale circostanza che il ferimento di un cacciatore esuli certamente dall’attività di caccia, proprio perché “nella fattispecie si discute del ferimento – a mezzo di arma da fuoco – di un essere umano e perciò il fatto non può essere ridotto ad una contravvenzione alle leggi sulla caccia; se non altro perché la specie homo sapiensnon rientra fra quelle cacciabili. Ciò rende pienamente pertinente l’applicazione delle leggi di pubblica sicurezza”.
Infatti, la circostanza del ferimento, seppur accidentale e con conseguenze per fortuna lievi (20 giorni di prognosi), di un altro cacciatore è idonea ad incidere sull’“affidamento di non abusare delle armi”, richiesto dalla norma del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza per il mantenimento del porto d’armi.
Ma se la conclusione sfavorevole al cacciatore “maldestro” potrebbe sembrare scontata, non è così. Infatti il Consiglio di Stato sottolinea altri due principi importanti.
Da un lato che le previsioni di cui all’art. 43 del TULPS non hanno carattere sanzionatorio, e pertanto non deve necessariamente essere provato l’elemento soggettivo della “colpa” in capo al responsabile, e, dall’altro, che la revoca della licenza di porto di fucile da caccia, deve essere proporzionata all’effettiva entità degli elementi di fatto valutati dall’Autorità di Pubblica Sicurezza per l’adozione del provvedimento.
Poiché dunque non si tratta di provvedimento sanzionatorio, la proporzionalità va ravvisata, secondo il Consiglio di Stato, nella “adeguatezza della misura adottata, rispetto alla rilevanza del temuto rischio di comportamenti abusivi o pericolosi”. Non si deve dunque mirare a “punire” il cacciatore ma valutare se la permanenza della licenza non comporti il rischio di condotte abusive o pericolose.
Nel caso concreto il Consiglio di Stato è giunto alla conclusione che “non si può negare che le caratteristiche specifiche dell’episodio siano tali da far apparire manifestamente sproporzionata la misura adottata, rispetto alla effettiva consistenza – anche in termini prognostici – del pericolo di abuso delle armi da parte del ricorrente”.
Questo sulla base della circostanza in primis che “si discute di caccia alla lepre, il che implica l’uso di proiettili di piccole dimensioni e di munizioni di potenza limitata”. In secondo luogo è emerso “che il soggetto danneggiato è stato attinto solo da una minima parte dei pallini di un “rosa”, rimbalzati sul suolo sassoso e perciò deviati dalla loro traiettoria originale; tanto è vero che le lesioni riportate sono state di modestissima entità”, ma soprattutto che “il danneggiato non si trovava nella linea di tiro; semmai, si trovava, rispetto alla linea di tiro, a distanza inferiore a quella di sicurezza (con riferimento all’eventualità del rimbalzo dei proiettili) ma vi si trovava perché vi si era collocato spontaneamente, in contrasto con gli accordi presi fra i compagni di battuta, e per di più era occultato dalla vegetazione alla vista dell’attuale appellante […] ciò concorre a rendere manifesta l’imprudenza del danneggiato”.
Sulla base di tali circostanze, il Consiglio di Stato, pur ritenendo applicabile il TULPS, ha ritenuto che la misura del Questore di revocare la licenza di uso di fucile da caccia fosse da considerarsi “draconiana”: “sproporzionata e inadeguata (in quanto eccessiva)”, non tanto e non solo rispetto alla modestia del pur spiacevole incidente occorso nella specie, ma soprattutto (anche a causa dell’imprudenza del malcapitato cacciatore ferito) in relazione alla previsione che il titolare della licenza possa in futuro fare un cattivo uso dell’arma.
Avv. Francesco Giambelluca