Con il primo decreto e la successiva legge di conversione, emessi nell’ambito del riassetto del procedimento civile e per la riduzione dell’arretrato giudiziario, le coppie che vogliano consensualmente separarsi o divorziare possono ricorrere a due nuove opzioni alternative al ricorso congiunto al Tribunale.
Sono state infatti previste la negoziazione assistita da avvocati oppure, al ricorrere di determinate condizioni, l’accordo presso l’Ufficio di Stato Civile.
Quanto alla negoziazione assistita, il procedimento ha inizio con la sottoscrizione di una convenzione o con l’invito alla negoziazione assistita rivolto da una parte all’atra in ragione degli artt. 2,3,4 della Legge.
La convenzione consiste in un accordo attraverso il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere una controversia. L’Avvocato certifica l’autografia delle firme delle parti che partecipano alla convenzione e la data in cui sono state apposte.
E’ prevista la forma scritta a pena di nullità e deve essere incluso un termine superiore a 30 giorni ed inferiore a 3 mesi entro cui concludere l’accordo. Sempre per volontà delle parti, il termine può essere prorogato di altri 30 giorni.
Successivamente alla convenzione si procede alla stesura dell’accordo vero e proprio, che contiene le condizioni di separazione o di divorzio.
A differenza di quanto previsto nel decreto, la Legge di conversione ha disposto la necessaria presenza di un Avvocato per parte, nonché il passaggio obbligatorio dell’accordo alla Procura della Repubblica presso il Tribunale competente, che, in caso non vi siano figli minorenni o maggiorenni incapaci o economicamente non indipendenti sarà un controllo di regolarità, mentre nell’altro caso il P.M. autorizzerà l’accordo solo se risponde all’interesse dei figli.
Qualora, invece, non vi siano gli estremi per il nulla osta, il P.M. trasmetterà il tutto al Presidente del Tribunale che fisserà l’udienza di comparizione delle parti entro 30 giorni.
Ottenuta l’autorizzazione o il nulla osta l’Avvocato ha il dovere di trasmetterne copia all’Ufficiale di Stato Civile, che, in caso contrario provvederà a sanzionare il professionista che non abbia adempiuto, con sanzione pecuniaria da 2.000 a 10.000 €.
Con le nuove procedure il ruolo dell’Avvocato, che già di per sé obbliga ad un’attenzione particolare data la delicatezza delle situazioni che gli si presentano, diventa ancor più pregnante.
L’Avvocato deve infatti avvisare le parti della possibilità di esperire la mediazione familiare e deve tentare la conciliazione tra i coniugi. In presenza di figli minori deve ricordare ai coniugi l’importanza che gli stessi trascorrano tempi adeguati con entrambi i genitori e ne deve dare atto nell’accordo. Sotto la propria responsabilità, poi, l’Avvocato deve dichiarare che gli accordi non siano contrari all’ordine pubblico o a norme imperative di legge ossia che non ricorrano condizioni che ledano i diritti considerati indisponibili. A ciò si aggiunga, come visto, l’obbligo sanzionabile di trasmissione del nulla osta o dell’autorizzazione all’Ufficiale di Stato Civile.
Per quanto attiene, invece, alla separazione consensuale ed al divorzio congiunto innanzi all’Ufficiale di Stato Civile, questa costituisce la procedura più rapida, ma non possono accedervi le coppie con figli minorenni, maggiorenni non autosufficienti, portatori di handicap o incapaci, l’accordo non può contenere patti di trasferimento patrimoniali ai sensi dell’art. 12, comma 2, e non è previsto il successivo controllo del P.M.
I coniugi possono recarsi personalmente o anche assistiti da un Avvocato, presso il Comune di residenza di uno dei coniugi o il Comune in cui il matrimonio è stato trascritto e, innanzi al Sindaco quale Ufficiale di Stato Civile, concludere un accordo di separazione o divorzio sulla base delle condizioni da loro stessi determinate.
L’Ufficiale riceve da ciascuna delle parti personalmente la dichiarazione di volontà di separarsi o divorziare alle condizioni concordate e di non trovarsi nelle condizioni di esclusione dalla procedura. Le parti vengono quindi invitate a comparire nuovamente davanti all’Ufficiale di Stato Civile per la conferma dell’accordo per una data successiva stabilita non prima di 30 giorni.
La mancata comparizione a detta data equivale a mancata conferma dell’accordo. In caso di successiva comparizione, invece, l’Ufficiale di Stato Civile redige la conferma dell’accordo.
Quanto poi alle previsioni di cui alla L.55/15 – Divorzio breve- in vigore da 26 Maggio 2015, queste hanno radicalmente modificato i tempi che intercorrono tra la separazione dei coniugi ed il deposito del ricorso per lo scioglimento del matrimonio.
Nel caso di separazione giudiziale, infatti, il ricorso per lo scioglimento del matrimonio può essere depositato dopo un anno dall’udienza presidenziale e non più dopo tre anni.
In caso di separazione consensuale è condizione la separazione ininterrotta per 6 mesi dall’udienza presidenziale e ciò vale anche in caso di separazioni giudiziali che si trasformino in consensuali.
La nuova disciplina si estende anche ai processi ancora in corso all’entrata in vigore della legge e prescinde dalla presenza di figli minori degli anni 18 o maggiorenni non autosufficienti.
Un’ulteriore modifica è, altresì, stata prevista per lo scioglimento della comunione legale tra i coniugi.
Fino ad oggi la comunione si riteneva sciolta una volta passata in giudicato la sentenza di separazione o dall’omologa delle condizioni di separazione, senza efficacia retroattiva.
Con la riforma, invece, la comunione si scioglie al momento in cui il Presidente autorizza i coniugi a vivere separatamente, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale davanti al Presidente. L’ordinanza viene comunicata all’Ufficiale di Stato civile per la relativa annotazione.
Se da una parte le modifiche dei tempi per il deposito del Ricorso per lo scioglimento del matrimonio vengono incontro alle esigenze concrete dei coniugi che abbiano deciso di separarsi e che vogliano legittimamente riprendere la propria strada, l’impostazione della riforma ha prestato il fianco a numerose critiche soprattutto dalle componenti cattoliche, che hanno posto l’accento sul fatto che sei mesi possano essere pochi per dirimere le varie problematiche sottese alla separazione stessa e soprattutto ai figli, disincentivando forse un impegno più concreto nella famiglia e nelle problematiche che ne possano derivare anche nel periodo di crisi, in un paese come l’Italia che in realtà avrebbe invece più bisogno di iniziative e tutele in tal senso.