Il TAR annulla il provvedimento di diniego del riconoscimento del titolo estero
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Con ordinanza n. 4155 pubblicata in data 7 settembre 2024, il Tar del Lazio, Sezione Terza Bis, disponeva la sospensione del provvedimento con cui il Ministero rigettava l’istanza di parte ricorrente intesa ad ottenere l’inserimento nelle GPS per le classi di concorso A060 – Tecnologia e A026 – Matematica.

Nel caso di specie, il ricorrente chiedeva all’Amministrazione di essere inserito in graduatoria con riserva del riconoscimento del titolo estero. L’Amministrazione inoltrava al ricorrente una richiesta, chiedendo il deposito di documenti e osservazioni tramite la piattaforma RPD e concedendo al ricorrente, come di consueto, un termine di 10 giorni.

In poche e semplici parole il Ministero ha rigettato la domanda di riconoscimento del titolo per la mancata ricezione di quei documenti che il ricorrente non ha potuto caricare sulla piattaforma RPD indicata dal Mistero, nonostante fosse in termini, perché la piattaforma era già chiusa e che, comunque, ha inoltrato a mezzo posta elettronica certificata.

Per tali ragioni il nostro studio ha provveduto a depositare dinanzi al TAR del Lazio un ricorso, nell’ambito del quale si chiedeva l’annullamento del rigetto previa l’emissione di un provvedimento cautelare. Vi è stata, dunque, una violazione della L. 241/1990 in quanto il Ministero non ha concesso il minimo di 10 giorni previsto tassativamente dalla legge per l’inoltro dei documenti e delle osservazioni.

Non sorprende infatti come la pronuncia del Tar sulla nostra richiesta dell’annullamento del rigetto abbia avuto esito positivo. In particolare il Tar del Lazio ha ritenuto “cheil rigetto impugnato, prevalentemente basato su carenze di tipo formale, non appare prima facie conforme ai principi dettati in materia dalla Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (in particolare sentenza n. 18/2022), posta la necessità di una verifica in concreto dei livelli di competenza professionale sottesi ai certificati e ai diplomi conseguiti, allegati dall’istante (cfr. TAR Lazio, IV-bis, nn. 7304 e 89/2024 e ord. n. 1144/2024). 

Il Collegio ha ritenuto dunque che “sia meritevole di apprezzamento il pregiudizio derivante al ricorrente dal diniego impugnato, in quanto suscettibile di riverberarsi sugli incarichi lavorativi in essere e potenziali”.

Pertanto la domanda cautelare veniva accolta, con conseguente sospensione del provvedimento con cui il Ministero intimato ha rigettato l’istanza di parte ricorrente intesa ad ottenere il riconoscimento in Italia dell’abilitazione all’esercizio della professione di docente acquisita all’estero.

“L’annosa questione del riconoscimento dei titoli esteri volti all’esercizio della professione di docente in Italia, impegna ormai da tempo il nostro studio, che, con esperienza e caparbietà tutela i diritti degli istanti”, commenta l’Avv. Michele Bonetti, founder dello studio legale Bonetti & Delia. “Ladecisione del Tar difatti conferma, così come accaduto in altre occasioni, la fondatezza delle nostre richieste sul tema del riconoscimento dei titoli esteri.”

 

 

 

 

 

Processo amministrativo: il ricorrente escluso e riammesso con riserva in graduatoria non ha l’onere di impugnarla
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Una querelle processuale tra il T.A.R. Lazio e la nostra tesi che va avanti da qualche tempo. Talvolta si sopisce, talvolta riemerge nel tentativo, francamente poco aderente ai principi di giustizia sostanziale e del giusto processo, di definire contenziosi peculiari e complessi in rito anzichè nel merito.

Secondo il T.A.R. Lazio il ricorrente che subisce l’esclusione da un concorso ad una prova intermedia ha, correttamente, l’onere di impugnare tale esclusione. Fin qui, nulla questio. Appare pacifico tale onere così come, ove frattanto sopraggiunga la graduatoria finale, è ragionevole pretendere l’impugnazione di tale atto quale provvedimento ulteriormente finale e da impugnare.

Secondo il T.A.R., tuttavia, l’onere di impugnare la graduatoria persiste persino se il ricorrente, grazie all’azione giudiziale, aveva ottenuto la riammissione al concorso e la graduatoria da atto della sua presenza seppur con riserva all’esito dell’azione giudiziale non ancora definita.

Il T.A.R., in particolare, aveva sottolineato che la possibilità di impugnare gli atti preparatori non può tradursi in un esonero dall’onere di impugnare anche l’atto finale del procedimento, “in quanto la circostanza che detto atto possa essere affetto in via derivata dai vizi dell’atto preparatorio non esclude che tale invalidità derivata debba essere fatta valere con i rimedi tipici del procedimento impugnatorio, per cui, in mancanza, l’atto finale si consolida e non è più impugnabile» (citando precedenti anche del Consiglio di Stato non propriamente aderenti al caso che ci occupa – Cons. Stato, Sez. VI, 18 ottobre 2017, n. 4814; in termini analoghi, TAR Lazio, Roma, Sez. III, sent. n. 17219/2023).

In appello gli Avvocati Michele Bonetti e Santi Delia in fase cautelare, sono riusciti a ribaltare la sentenza del T.A.R.. Il Consiglio di Stato, valorizzando la tesi portata in appello e da sempre sostenuta dal nostro studio (anche al fine di evitare oneri di spesa importanti ai nostri assistiti) ha chiarito che “la dichiarazione in rito resa a definizione del giudizio di primo grado postula un interesse ad impugnare la graduatoria concorsuale in cui il ricorrente è inserito con riserva (per effetto della sospensiva ottenuta in primo grado contro la mancata ammissione alla prova orale) che ad una cognizione sommaria propria della presente fase non appare tuttavia ravvisabile, nella misura in cui le censure dedotte si concentrano sulla prova scritta ritualmente impugnata

Università private condannate a restituire 12 mila euro agli studenti che non iniziano la carriera
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Il Tribunale Ordinario di Roma ha condannato l’Università privata Unicamillus alla restituzione delle tasse universitarie versate da una studentessa che aveva rinunciato all’immatricolazione prima dell’inizio delle lezioni. 
In particolare, la studentessa aveva partecipato ai test di ingresso sia presso L’Unicamillus, superandolo, sia presso le Università pubbliche. 
Le prove di ammissione delle Università private si svolgono prima dell’esito di quelle pubbliche (la cui graduatoria viene ordinariamente pubblicata nel mese di settembre) e tutti gli studenti sono soliti cimentarsi prima nelle prove delle Università private e poi a quella unica e nazionale della pubblica.
Tuttavia, prima della pubblicazione della graduatoria nazionale per accesso alle università pubbliche, la stessa, pena decadenza, è stata costretta a formalizzare la propria immatricolazione presso l’università privata, sottoscrivendo un “contratto con lo studente” e pagando dodicimila euro corrispondenti alle tasse per il primo semestre di studi. 
Alla data di pubblicazione della graduatoria nazionale per l’accesso ai corsi di laurea in Medicina e Chirurgia, la studentessa prendeva contezza di essere entrata al corso di laurea ambito in un Ateneo pubblico e chiedeva la restituzione delle somme versate all’Università privata. 
L’Ateneo, nonostante la studentessa non avesse mai fruito delle lezioni, rifiutava la restituzione di quanto versato, invocando il “contratto con lo studente” sottoscritto dalla stessa in sede di immatricolazione. 
Tale meccanismo è utilizzato anche da altri Atenei privati che, come nel caso aggi affrontato, sono  soliti frapporre ostacoli all’esercizio del recesso. 
La nostra assistita, non residuando altra opportunità, proponeva ricorso al Tribunale di Roma chiedendo l’accertamento della vessatorietà delle clausole che, celate, nel “contratto con lo studente” impedivano il recesso dall’immatricolazione e, per l’effetto, la condanna alla restituzione di quanto dovuto.   
Il Tribunale di Roma, accogliendo totalmente il ricorso patrocinato dagli Avv.ti Michele Bonetti e Santi Delia ha dichiarato che al rapporto tra studente e Università si applica il Codice del Consumo e “la clausola contrattuale” che impone la non restituzione delle somme è “vessatoria” e deve essere dichiarata nulla in quanto non può essere sottoscritta cumulativamente alle altre.
Il Consiglio di Stato dispone l’ammissione alla prova orale per la procedura concorsuale abilitante per l’assunzione di docenti per la classe di concorso EEEM.
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Con ordinanza n. 3336 pubblicata in data 04.09.2024, per il giudizio avente n. 6418/2024 R.G., il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Settima, accoglie l’appello e, in riforma dell’ordinanza impugnata n. 3275 resa dal T.A.R. Lazio Sez. III bis nel procedimento n. 6006/2024 r.g., consente all’appellante di sottoporsi alla prova orale della procedura concorsuale abilitante, bandita con D.D. n. 1330 del 4 agosto 2023 “per titoli ed esami per l’accesso ai ruoli del personale docente relativi all'insegnamento dell'educazione motoria nella scuola primaria” primo concorso in assoluto per l’assunzione di docenti per la classe di concorso EEEM che consente a coloro che risulteranno vincitori di essere convocati per le immissioni in ruolo già a partire dall’anno scolastico 2024/2025.

Parte appellante, che aveva sostenuto la prova scritta computer based conseguendo un punteggio di 66 punti, poi rettificato in 68/70 a seguito di un intervento in via di autotutela del MIM sul quesito relativo all’ormone GH, e che mancava dell’attribuzione del punteggio di una sola domanda per rientrare nei posti disponibili per la regione Lazio, riscontrava numerose illegittimità e faceva richiesta di disporre CTU sui quesiti contestati, compreso quello sul fair play.

A seguito dell’udienza in camera di consiglio del 16 luglio 2024, il TAR del Lazio si era pronunciato con il provvedimento gravato respingendo la domanda cautelare di parte appellante, prendendo in considerazione i dati emersi a seguito di verificazione disposta nell’ambito di un ulteriore procedimento sul quesito del fair play, senza tuttavia considerare le deduzioni da parte appellante avanzate.

Ad oggi, i Giudici di Palazzo Spada, reputando “apprezzabile favorevolmente l’interesse all’assegnazione di un incarico per l’imminente anno scolastico”, dispongono l’ammissione di parte appellante alla prova orale della procedura concorsuale, accogliendo il ricorso in appello da noi patrocinato anche nel fumus.

Il TAR Lazio annulla il provvedimento del diniego di riconoscimento del titolo conseguito in Spagna.
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Il ricorrente, docente abilitato all’insegnamento sulla classe di concorso AAAA (infanzia) e EEEE (primaria), conseguiva il titolo di abilitazione all’insegnamento sulla classe di concorso ADAA ed ADEE in Spagna e ne chiedeva il riconoscimento al Ministero Italiano.

L’Amministrazione inizialmente inoltrava al ricorrente una richiesta di integrazione documentale non completa e poi rigettava la domanda avanzata dall’insegnante senza che lo stesso fosse messo nelle condizioni di proporre osservazioni o allegare documentazione come espressamente previsto dalla L. n. 241/1990 e senza nemmeno subordinare il riconoscimento a misure compensative.

Con Ordinanza n. 3920/2024 reg. prov. caut. Il TAR Lazio accoglieva la domanda del ricorrente ravvedendo la sussistenza non solo del periculum in mora– “atteso che il ricorrente, a causa del diniego di riconoscimento del titolo di specializzazione conseguito all’estero non può essere inserito con riserva nelle GPS e stipulare i relativi contratti di supplenza” – ma altresì del c.d. fumus boni iuris precisando e chiarendo: “l’amministrazione non ha correttamente applicato i principi affermati in materia dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato in ordine alla necessità di una comparazione analitica tra il percorso svolto all’estero e quello previsto in Italia; in ragione di quanto dedotto in ricorso ed in assenza di contestazione da parte dell’amministrazione, la richiesta di integrazione documentale trasmessa dall’adozione del provvedimento era inidonea a consentire all’interessato di individuare i documenti mancanti”.

Di particolare rilevanza è che il TAR Lazio accoglie la domanda cautelare nonostante l’Amministrazione rilevava l’emanazione recente dell’art. 7 D.L. 71/2024,  che prevede la possibilità per tutti coloro che sono in attesa del riconoscimento del titolo estero e per tutti coloro che hanno avuto un rigetto della richiesta di riconoscimento e lo abbiano impugnato, come il ricorrente, di poter partecipare ad appositi percorsi di formazione; il Collegio accoglie così la domanda cautelare precisando come ad oggi siamo ancora in attesa “dell’attivazione dei predetti percorsi”; difatti al ricorrente ad oggi era preclusa addirittura la possibilità di ottenere incarichi precari dalle GPS.

 

 

Il Consiglio di Stato dispone il riesame dell’istanza di visto per motivi di studio.
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Il TAR Lazio rigettava la domanda della studentessa a cui l’Amministrazione aveva rifiutato il visto per motivi di studio in quanto considerava non applicabile al caso in concreto e alla materia del contendere il rimedio cautelare: “considerato che la eventuale sospensione dell’impugnato provvedimento di diniego non risulterebbe comunque suscettibile  di determinare l’ingresso della parte ricorrente sul territorio nazionale, venendo in rilievo, nel caso di specie una utilità collegata all’esercizio di un potere amministrativo di carattere discrezionale”.

Il Consiglio di Stato (con provvedimento n. 3242/2024) analizzando il caso concreto della ricorrente che si era attivata per l’ottenimento del visto per motivi di studio, ma non era riuscita ad ottenerlo per fatti a lei non addebitabili, ne accoglieva le richieste ed in maniera diametralmente opposta al Giudice di primo grado disponeva: “dalla documentazione versata in atti risulta confermato che plurimi appuntamenti erano stati fissati e poi cancellati su iniziativa dell’Amministrazione, sicché la circostanza ostativa al rilascio del titolo (lo slittamento dell’appuntamento a data successiva al 30 novembre) non è in alcun modo riconducibile alla parte istante e determina un esito ingiusto e illegittimo del procedimento”; pertanto il Consiglio di stato reputava che “sussistono i presupposti per l’accoglimento dell’istanza si fini di un riesame da parte dell’Amministrazione (configurandosi questa misura come ammissibile sul piano processuale e satisfattiva dell’interesse azionato), con contestuale sospensione della esecutorietà dell’ordinanza appellata, in considerazione del pregiudizio grave ed irreparabile che, in difetto, potrebbe sortirne in danno della parte”.

Pertanto, i Giudici di Palazzo Spada hanno accolto l’appello cautelare ai fini di un riesame ad opera della P.A., con conseguente concessione della tutela interinale nei confronti del provvedimento di diniego impugnato.

 

Decisione n. 30 del 29 luglio 2024.  Diritto di critica e di “opposizione”, funzione di vigilanza di un iscritto e di un consigliere dell’Ordine. Annullato il provvedimento disciplinare di un iscritto e Consigliere dell’Ordine.
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Non si vedono ragioni che possano giustificare un procedimento disciplinare per chi, Consigliere di un Ordine territoriale, in fondo, non ha fatto altro che chiedere un colloquio col Presidente del Consiglio Nazionale, anche se questa iniziativa conteneva alcune critiche all'operato dell'Ordine locale.

La decisione del Consiglio di Disciplina Nazionale accoglieva il ricorso di un nostro assistito, commercialista e consigliere dell’ordine, ribaltando la decisione di orimo grado e disponendo: “D'altro canto, la funzione di vigilanza attribuita al CNDCEC può trovare anche nei rapporti coi Consiglieri "di minoranza" degli Ordini territoriali, e nelle loro segnalazioni, occasionale motivo per essere svolta; di tal che segnalazioni da parte di essi, sono attuate in forme che non contrastino col decoro della professione e le altre disposizioni del Codice deontologico, potrebbero apparire non solo tali da non ostacolare ma, addirittura, funzionali allo svolgimento della suddetta attività di vigilanza a da parte degli Organi nazionali professionali.

Buona parte degli argomenti del provvedimento impugnato (pretesi - ma del tutto non dimostrati, neppure sotto il profilo di un pericolo di danno - danni, finalità sleali e scorrette del ricorrente volte a perseguire ambizioni personali e discredito dei Colleghi che sono attribuite al ricorrente dai suoi detrattori) non risultano affatto dalla lettera che ha dato origine al procedimento disciplinare e che ne costituisce, in buona sostanza, l'unico oggetto. Agli atti non vi sono elementi di prova, neppure presuntivi e tanto meno questi elementi possono scorgersi nella richiesta di incontro al Presidente del CNDCEC - di atteggiamenti o di intenti intimidatori nei confronti del Consiglio dell'Ordine da parte del dott. Colantuono.

Parimenti non si vede perché, visto che l'oggetto dei disagi e preoccupazioni che il ricorrente avrebbe voluto manifestare al Presidente del CNDCEC, riguarda l'organo e non singoli componenti dallo stesso, l'avere inviato la missiva per conoscenza solo alla persona del Presidente, che quell'organo rappresenta, e non a tutti i consiglieri, costituirebbe indice di slealtà e di comportamento indecoroso.

Si ravvisa in sostanza la totale assenza di violazioni da parte del professionista nel contenuto della lettera trasmessa al presidente CNDCEC e in genere nei comportamenti oggetto del procedimento disciplinare.

Per far meglio comprendere la decisione resa nel caso di specie occorre necessariamente ripercorrere le tappe fondamentali del contenzioso in cui la pronuncia interviene.

Il ricorrente riveste il ruolo di Consigliere di un ordine Territoriale dell’Ordine dei Commercialisti e ha agito e si è difeso per il tramite della difesa tecnica dell’Avv. Michele Bonetti come semplice iscritto all’ordine, ma anche nella sua veste di Consigliere dell’Ordine.

Da sempre impegnato e professionalmente dedito all’esercizio delle sue funzioni, in vista dell’Assemblea generale degli iscritti, il nostro assistito presentava istanza per poter partecipare attivamente, e dunque intervenire, nella predetta adunanza. Tuttavia, lo stesso giorno dell’Assemblea, e senza alcun preavviso, tale diritto gli veniva negato tout court. Veniva riferito che non poteva intervenire in quanto non ricopriva un incarico istituzionale, sebbene sia indubbio che il diritto di partecipazione dovesse essere garantito già come iscritto all’Ordine; è ancor più palese che l’istituzionalità della carica risiede nel ruolo stesso che riveste, di Consigliere, componente di un organo amministrativo collegiale interno all’Ente pubblico di appartenenza.

Conseguentemente, l’appellante, in completa buona fede, inoltrava una comunicazione rispettivamente, al Presidente del Consiglio dell’Ordine Nazionale e, per conoscenza, alla Presidente del Consiglio Territoriale, in virtù della sua qualifica di rappresentante p.t.

Da tale missiva si apriva un procedimento disciplinare a carico del ricorrente che culminava con la notifica dell’irrogazione, da parte del Collegio Consiglio di Disciplina Territoriale, della sanzione della censura.

Tale provvedimento sanzionatorio veniva impugnato in secondo grado con il patrocinio dello scrivente legale, che si occupa da tempo di cause relative ai più svariati procedimenti disciplinari, tra cui quelli inerenti ai vari Ordini Professionali. Il Consiglio di Disciplina Territoriale per la condotta descritta riteneva applicabile gli articoli relativi alle violazioni deontologiche concernenti gli incarichi istituzionali, i rapporti con gli ordini, con i consigli di disciplina locali, con il consiglio nazionale e con i colleghi; il Collegio di primo grado, considerando che la violazione dell’art. 15 del codice deontologico comportasse l’applicazione della sanzione disciplinare dalla sospensione dell’esercizio della professione, ritenute assorbenti le sanzioni della censura per violazione dell’art, 28 e 29 e della sospensione fino a sei mesi, valutate le circostanze attenuanti, irrogava però il solo provvedimento di censura.

Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Commercialisti ed Esperti Contabili, confermava l’illegittimità paventata e accoglieva il ricorso con il provvedimento in commento n. 395/2024, il quale, a parere di chi scrive, toccava svariati tasti di particolare rilevanza di seguito trattati.

Da un lato, all’interno del provvedimento, si accennava al ruolo, non disarmato, che compete alla “minoranza” interna agli organi collegiali e consiliari e, dall’altro, tale ruolo viene riconnesso al potere di vigilanza che gli organi professionali, soprattutto nazionali, devono poter svolgere in virtù della loro funzione di autogoverno, con il fine di garantire la qualità delle attività svolte dai singoli professionisti e dagli organi costituiti al loro interno.

In generale, al fine di comporre le fila del Consiglio di un Ordine professionale, anche territoriale, o addivenire ad una carica al suo interno, quale quella di Presidente, bisogna venire eletti. Un candidato Presidente, come era l’incolpato, che non esce vittorioso dall’elezione ma diviene comunque Consigliere, per natura, è qualificabile come fautore della c.d. opposizione.

A tal proposito, la sentenza specifica che le segnalazioni all’Organo Nazionale sono “funzionali allo svolgimento della suddetta attività di vigilanza da parte degli Organi nazionali professionali” non facendo altro che ribadire una conquista della storia della democrazia che si esplica anche all’interno degli stessi Ordini.

La libertà di manifestazione di un pensiero fuori coro e la sua idoneitàad incidere in qualche modo in senso negativo su qualcuno o, come in tal caso, su qualcosa, si rivela dunque motivo di impulso, valutazione ed eventuale estrinsecazione di un potere di controllo legislativamente previsto.

È evidente che con tale dispositivo in diritto si arrivi non solo a legittimare, ma ad esaltare la manifestazione del dissenso e la critica politica, sempre che non sia contrastante con i canoni deontologici professionali o trasmodi in aggressione.

Difatti, tra le competenze del Consiglio Nazionale dell’Ordine rientra il dover vigilare sul regolare funzionamento dei Consigli dell'Ordine, compito che non potrebbe mai essere assolto qualora non si desse la possibilità ai singoli componenti, che ne sono direttamente coinvolti, di esporre gli eventuali sintomi di malamministrazione. Reprimendo una siffatta possibilità di dialettica sarebbe davvero complicato svolgere un corretto vaglio sull’operato di tutte le sue articolazioni decentrate territorialmente.

Per tale motivo, interpretando il dictum della sentenza, la critica effettuata tramite segnalazioni a organi che siano supervisori ex lege, diviene non solo assolutamente legittima e non costituente alcun ostacolo, ma addirittura direttamente funzionale e propulsiva del potere di vigilanza.

La prospettiva predisposta dalla sentenza, a parere di chi scrive, fa riferimento a una garanzia di maggiore costanza e prossimità dell’attenzione che il Consiglio Nazionale riserva agli Organi collocati nel distretto, non solamente in un’ottica di mero controllo, nella sua accezione più stringente, ma di promozione e rideterminazione dell’efficienza.

In poche e semplici parole, le segnalazioni degli appartenenti all’Ordine, e maggior ragione quelle di un Consigliere, sarebbero utili anche a permettere l’attivazione di meccanismi idonei a prevenire o risolvere situazioni di disservizio e disfunzionalità.

Peraltro, emerge con tutta evidenza che nessun procedimento, soprattutto qualora incida su profili di responsabilità professionali e che abbia anche dei risvolti sanzionatori di non poco conto, quale quello disciplinare, può azionarsi o concludersi senza che sia sostenuto da elementi probatori e argomentazioni fattuali o giuridiche. Di talché è chiaro il valore dato all’assolvimento dell’onere della prova.

Anche volendo affievolire tale onere, sino a farlo regredire ad una mera presunzione e pericolo di danno, nell’ambito di una tale procedura disciplinare, deve essere valutata la rilevanza non solo dei fatti costituenti la mancanza deontologica, ma anche del pregiudizio e eventuale danno che i medesimi sono idonei ad arrecare.

 

Decisione n. 30 del 29 luglio 2024.  Diritto di critica e di “opposizione”, funzione di vigilanza di un iscritto e di un consigliere dell’Ordine. Annullato il provvedimento disciplinare di un iscritto e Consigliere dell’Ordine.
Pubblicato in La voce del diritto

Non si vedono ragioni che possano giustificare un procedimento disciplinare per chi, Consigliere di un Ordine territoriale, in fondo, non ha fatto altro che chiedere un colloquio col Presidente del Consiglio Nazionale, anche se questa iniziativa conteneva alcune critiche all'operato dell'Ordine locale.

La decisione del Consiglio di Disciplina Nazionale accoglieva il ricorso di un nostro assistito, commercialista e consigliere dell’ordine, ribaltando la decisione di orimo grado e disponendo: “D'altro canto, la funzione di vigilanza attribuita al CNDCEC può trovare anche nei rapporti coi Consiglieri "di minoranza" degli Ordini territoriali, e nelle loro segnalazioni, occasionale motivo per essere svolta; di tal che segnalazioni da parte di essi, sono attuate in forme che non contrastino col decoro della professione e le altre disposizioni del Codice deontologico, potrebbero apparire non solo tali da non ostacolare ma, addirittura, funzionali allo svolgimento della suddetta attività di vigilanza a da parte degli Organi nazionali professionali.

Buona parte degli argomenti del provvedimento impugnato (pretesi - ma del tutto non dimostrati, neppure sotto il profilo di un pericolo di danno - danni, finalità sleali e scorrette del ricorrente volte a perseguire ambizioni personali e discredito dei Colleghi che sono attribuite al ricorrente dai suoi detrattori) non risultano affatto dalla lettera che ha dato origine al procedimento disciplinare e che ne costituisce, in buona sostanza, l'unico oggetto. Agli atti non vi sono elementi di prova, neppure presuntivi e tanto meno questi elementi possono scorgersi nella richiesta di incontro al Presidente del CNDCEC - di atteggiamenti o di intenti intimidatori nei confronti del Consiglio dell'Ordine da parte del dott. Colantuono.

Parimenti non si vede perché, visto che l'oggetto dei disagi e preoccupazioni che il ricorrente avrebbe voluto manifestare al Presidente del CNDCEC, riguarda l'organo e non singoli componenti dallo stesso, l'avere inviato la missiva per conoscenza solo alla persona del Presidente, che quell'organo rappresenta, e non a tutti i consiglieri, costituirebbe indice di slealtà e di comportamento indecoroso.

Si ravvisa in sostanza la totale assenza di violazioni da parte del professionista nel contenuto della lettera trasmessa al presidente CNDCEC e in genere nei comportamenti oggetto del procedimento disciplinare.

Per far meglio comprendere la decisione resa nel caso di specie occorre necessariamente ripercorrere le tappe fondamentali del contenzioso in cui la pronuncia interviene.

Il ricorrente riveste il ruolo di Consigliere di un ordine Territoriale dell’Ordine dei Commercialisti e ha agito e si è difeso per il tramite della difesa tecnica dell’Avv. Michele Bonetti come semplice iscritto all’ordine, ma anche nella sua veste di Consigliere dell’Ordine.

Da sempre impegnato e professionalmente dedito all’esercizio delle sue funzioni, in vista dell’Assemblea generale degli iscritti, il nostro assistito presentava istanza per poter partecipare attivamente, e dunque intervenire, nella predetta adunanza. Tuttavia, lo stesso giorno dell’Assemblea, e senza alcun preavviso, tale diritto gli veniva negato tout court. Veniva riferito che non poteva intervenire in quanto non ricopriva un incarico istituzionale, sebbene sia indubbio che il diritto di partecipazione dovesse essere garantito già come iscritto all’Ordine; è ancor più palese che l’istituzionalità della carica risiede nel ruolo stesso che riveste, di Consigliere, componente di un organo amministrativo collegiale interno all’Ente pubblico di appartenenza.

Conseguentemente, l’appellante, in completa buona fede, inoltrava una comunicazione rispettivamente, al Presidente del Consiglio dell’Ordine Nazionale e, per conoscenza, alla Presidente del Consiglio Territoriale, in virtù della sua qualifica di rappresentante p.t.

Da tale missiva si apriva un procedimento disciplinare a carico del ricorrente che culminava con la notifica dell’irrogazione, da parte del Collegio Consiglio di Disciplina Territoriale, della sanzione della censura.

Tale provvedimento sanzionatorio veniva impugnato in secondo grado con il patrocinio dello scrivente legale, che si occupa da tempo di cause relative ai più svariati procedimenti disciplinari, tra cui quelli inerenti ai vari Ordini Professionali. Il Consiglio di Disciplina Territoriale per la condotta descritta riteneva applicabile gli articoli relativi alle violazioni deontologiche concernenti gli incarichi istituzionali, i rapporti con gli ordini, con i consigli di disciplina locali, con il consiglio nazionale e con i colleghi; il Collegio di primo grado, considerando che la violazione dell’art. 15 del codice deontologico comportasse l’applicazione della sanzione disciplinare dalla sospensione dell’esercizio della professione, ritenute assorbenti le sanzioni della censura per violazione dell’art, 28 e 29 e della sospensione fino a sei mesi, valutate le circostanze attenuanti, irrogava però il solo provvedimento di censura.

Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Commercialisti ed Esperti Contabili, confermava l’illegittimità paventata e accoglieva il ricorso con il provvedimento in commento n. 395/2024, il quale, a parere di chi scrive, toccava svariati tasti di particolare rilevanza di seguito trattati.

Da un lato, all’interno del provvedimento, si accennava al ruolo, non disarmato, che compete alla “minoranza” interna agli organi collegiali e consiliari e, dall’altro, tale ruolo viene riconnesso al potere di vigilanza che gli organi professionali, soprattutto nazionali, devono poter svolgere in virtù della loro funzione di autogoverno, con il fine di garantire la qualità delle attività svolte dai singoli professionisti e dagli organi costituiti al loro interno.

In generale, al fine di comporre le fila del Consiglio di un Ordine professionale, anche territoriale, o addivenire ad una carica al suo interno, quale quella di Presidente, bisogna venire eletti. Un candidato Presidente, come era l’incolpato, che non esce vittorioso dall’elezione ma diviene comunque Consigliere, per natura, è qualificabile come fautore della c.d. opposizione.

A tal proposito, la sentenza specifica che le segnalazioni all’Organo Nazionale sono “funzionali allo svolgimento della suddetta attività di vigilanza da parte degli Organi nazionali professionali” non facendo altro che ribadire una conquista della storia della democrazia che si esplica anche all’interno degli stessi Ordini.

La libertà di manifestazione di un pensiero fuori coro e la sua idoneitàad incidere in qualche modo in senso negativo su qualcuno o, come in tal caso, su qualcosa, si rivela dunque motivo di impulso, valutazione ed eventuale estrinsecazione di un potere di controllo legislativamente previsto.

È evidente che con tale dispositivo in diritto si arrivi non solo a legittimare, ma ad esaltare la manifestazione del dissenso e la critica politica, sempre che non sia contrastante con i canoni deontologici professionali o trasmodi in aggressione.

Difatti, tra le competenze del Consiglio Nazionale dell’Ordine rientra il dover vigilare sul regolare funzionamento dei Consigli dell'Ordine, compito che non potrebbe mai essere assolto qualora non si desse la possibilità ai singoli componenti, che ne sono direttamente coinvolti, di esporre gli eventuali sintomi di malamministrazione. Reprimendo una siffatta possibilità di dialettica sarebbe davvero complicato svolgere un corretto vaglio sull’operato di tutte le sue articolazioni decentrate territorialmente.

Per tale motivo, interpretando il dictum della sentenza, la critica effettuata tramite segnalazioni a organi che siano supervisori ex lege, diviene non solo assolutamente legittima e non costituente alcun ostacolo, ma addirittura direttamente funzionale e propulsiva del potere di vigilanza.

La prospettiva predisposta dalla sentenza, a parere di chi scrive, fa riferimento a una garanzia di maggiore costanza e prossimità dell’attenzione che il Consiglio Nazionale riserva agli Organi collocati nel distretto, non solamente in un’ottica di mero controllo, nella sua accezione più stringente, ma di promozione e rideterminazione dell’efficienza.

In poche e semplici parole, le segnalazioni degli appartenenti all’Ordine, e maggior ragione quelle di un Consigliere, sarebbero utili anche a permettere l’attivazione di meccanismi idonei a prevenire o risolvere situazioni di disservizio e disfunzionalità.

Peraltro, emerge con tutta evidenza che nessun procedimento, soprattutto qualora incida su profili di responsabilità professionali e che abbia anche dei risvolti sanzionatori di non poco conto, quale quello disciplinare, può azionarsi o concludersi senza che sia sostenuto da elementi probatori e argomentazioni fattuali o giuridiche. Di talché è chiaro il valore dato all’assolvimento dell’onere della prova.

Anche volendo affievolire tale onere, sino a farlo regredire ad una mera presunzione e pericolo di danno, nell’ambito di una tale procedura disciplinare, deve essere valutata la rilevanza non solo dei fatti costituenti la mancanza deontologica, ma anche del pregiudizio e eventuale danno che i medesimi sono idonei ad arrecare.

 

La legge n. 264 del 2 agosto 1999 individua la normativa in materia di accesso ai corsi universitari prevedendo che questi possano essere programmati sia a livello nazionale che locale.
In tale ultimo caso, tuttavia, il combinato disposto degli articoli 33 e 34 Cost. conferisce una specifica responsabilità al legislatore statale, “di cerniera”, ossia quella di predisporre precisi limiti alla libertà ordinamentale data alle università nel contingentare l’accesso alle prestazioni che offre.

Infatti, le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno, sì, il diritto di darsi ordinamenti autonomi ma sempre nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato in quanto "la scuola è aperta a tutti" e, infatti, si garantisce e riconosce ai "capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi" il diritto "di raggiungere i gradi più alti degli studi”.
La legge n. 264/99 specifica i vincoli imposti all'autonomia universitaria, relativi tanto all’organizzazione in senso stretto, quanto al vero e proprio diritto di accedere all'istruzione approntata dai diversi atenei.

Infatti, le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno, sì, il diritto di darsi ordinamenti autonomi ma sempre nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato in quanto "la scuola è aperta a tutti" e, infatti, si garantisce e riconosce ai "capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi" il diritto "di raggiungere i gradi più alti degli studi”.
La legge n. 264/99 specifica i vincoli imposti all'autonomia universitaria, relativi tanto all’organizzazione in senso stretto, quanto al vero e proprio diritto di accedere all'istruzione approntata dai diversi atenei.

Nel caso sottoposto al vaglio del Collegio la valutazione comparativa dei candidati avveniva in base al pregresso curriculum studiorum, nonché in relazione alla velocità di conseguimento della laurea triennale, risultando evidente che “che la tipologia di selezione messa in atto dall’Ateneo resistente non si inserisce in nessun modo nel paradigma legislativo, né può assumere alcuna rilevanza l’astratta ragionevolezza dei criteri che ne sono alla base alla luce dei principi costituzionali che presiedono all’attuazione del diritto allo studio.”
In merito - continua il Collegio - occorre ricordare, seguendo l’insegnamento della Corte costituzionale (sent. 27.11.1998, n. 383), che “Secondo la Costituzione, l'ordinamento della pubblica istruzione è […] unitario ma l'unità è assicurata, per il sistema scolastico in genere, da "norme generali" dettate dalla Repubblica; in specie, per il sistema universitario, in quanto costituito da "ordinamenti autonomi", da "limiti stabiliti dalle leggi dello Stato".
Gli "ordinamenti autonomi" delle università, cui la legge, secondo l'art. 33 della Costituzione, deve fare da cornice, non possono considerarsi soltanto sotto l'aspetto organizzativo interno, manifestantesi in amministrazione e in normazione statutaria e regolamentare. Per l'anzidetto rapporto di necessaria reciproca implicazione, l'organizzazione deve considerarsi anche sul suo lato funzionale esterno, coinvolgente i diritti e incidente su di essi. La necessità di leggi dello Stato, quali limiti dell'autonomia ordinamentale universitaria, vale pertanto sia per l'aspetto organizzativo, sia, a maggior ragione, per l'aspetto funzionale che coinvolge i diritti di accesso alle prestazioni. […]”

Accogliendo in parte qua il nostro ricorso, il TAR concludeva che, “l’autonomia universitaria non può porsi all’origine di fattispecie di corsi a numero programmato diverse da quelle consentite dalla legge, neppure essa può giustificare la previsione di modalità di accesso diverse a quelle legislativamente contemplate, che peraltro non si prestano, come sopra dimostrato, a nessun tipo di interpretazione atta a legittimare la selezione come operata dall’Ateneo resistente.”

Concorso docenti 2016: gli ammessi con riserva potranno stabilizzare la propria posizione professionale. Possibilità di stabilizzazione anche per coloro che hanno avuto la revoca del ruolo.
Pubblicato in Istruzione

Il decreto Legge n. 71 del 31 maggio 2024, all’art.10, rubricato “Disposizioni in materia di reclutamento del personale docente per l’anno scolastico 2024/25”, è intervenuto sulle posizioni ancora pendenti dei docenti che avevano partecipato con riserva processuale al concorso ordinario del 2016.

La norma, nella sostanza, si pone la finalità di chiudere le posizioni dei docenti che hanno partecipato con riserva al concorso e che non sono ancora definite dinanzi al G.A., ma non solo.

Si tratta di docenti che hanno svolto tutte le prove concorsuali (preselettiva, scritta e orale), sono stati inseriti in graduatoria di merito, sono stati immessi in ruolo, hanno superato l’anno di prova e hanno svolto servizio in tale ruolo per almeno tre anni, tutto “con riserva”.

Tali docenti, in virtù della novazione normativa, saranno ammessi a partecipare ad un percorso universitario di 30 CFU, all’esito del quale, per effetto del conseguimento della specifica abilitazione, si vedranno sciolta ogni riserva pendente.

L’intervento normativo, tuttavia, va oltre e comprende anche i docenti che, nelle more, hanno subito la revoca della nomina in ruolo del contratto, ad esempio, a causa di una sentenza negativa emessa dal TAR o dal Consiglio di Stato.

A tali docenti sarà possibile stipulare contratti annuali su posti vacanti e disponibili già a partire dall’anno scolastico 2024/2025.

Durante tale annualità i docenti dovranno partecipare ai suddetti percorsi universitari all’esito dei quali conseguiranno l’abilitazione. Una volta conseguita l’abilitazione i docenti saranno immessi in ruolo con decorrenza giuridica ed economica dal 1° settembre 2025, mentre il mancato conseguimento dell'abilitazione entro il 30 giugno 2025 determinerà la cancellazione definitiva dalla relativa graduatoria di merito.