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D.L. n. 90/2014 e RIFORMA DELLA P.A.: INTERVISTA-ANTEPRIMA ALLA PROF. SANDULLI

by Dott.ssa e giornalista Roberta Nardi on12 Luglio 2014

Che negli ultimi tempi non si fossero molto parlati forse in tanti lo sanno ma in pochi ne conoscono il perché. Strumenti al servizio della stessa comunità e delle istituzioni che nello Stato si fondano e si riconoscono. Operatori del diritto ed esponenti di quella classe chiamata a rappresentare in Parlamento la società civile si incontrano all’Università di “Roma Tre” con l’occasione del varo di una delle tante riforme messe in cantiere negli ultimi tempi.

Cruciale e centrale secondo l’opinione dei più l’intervento sulla “macchina amministrativa” per ripartire con il verso ma soprattutto nella direzione giusta. L’incontro in programma il prossimo 14 luglio è l’occasione per analizzare luci ed ombre della riforma della P.A. con un occhio particolare agli interventi sulla giustizia amministrativa.

Al tema ed ai suoi innumerevoli aspetti ci introduce oggi la relatrice del convegno organizzato dall’Università di “Roma Tre”, la Prof.ssa Maria Alessandra Sandulli, ordinario di diritto amministrativo nell’Università degli Studi di “Roma Tre”, che con grande cortesia ci ha concesso in anteprima un’intervista sui temi del prossimo dibattito.  

1.      Gent.ma Prof.ssa, le disposizioni messe in campo dal Governo con il D.L. 90/2014 prevedono tra i loro obiettivi la necessità di “garantire un miglior livello di certezza giuridica, correttezza e trasparenza delle procedure nei lavori pubblici, anche con riferimento al completamento dei lavori e delle opere necessarie a garantire lo svolgimento dell’evento Expo 2015”. È stato infatti più volte dichiarato che tra gli scopi della riforma vi fosse quello di impedire un uso improprio dei ricorsi giurisdizionali tale da rendere difficoltoso l'affidamento di commesse pubbliche in Italia. A suo giudizio, le disposizioni del decreto dedicate all’intervento sul sistema di giustizia amministrativa sono idonee a seguire la direzione enunciata?

In un’analisi “a prima lettura” sulle disposizioni del decreto 90/2012 relative alla giustizia amministrativa e, in particolare, al rito appalti, ho avuto modo di rilevare che, oltre ad intervenire significativamente sulla disciplina processuale, la novella legislativa introduce importanti disposizioni sostanziali che mirano dichiaratamente a semplificare gli oneri formali relativi alle procedure di affidamento di commesse pubbliche (che trovano la loro massima espressione nelle modifiche all’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006, operate dall’art. 39).  Rispondo comunque alla domanda focalizzata sulle modifiche relative al sistema di giustizia amministrativa.

Le controversie in materia di affidamento di commesse pubbliche costituiscono una materia particolarmente complessa e delicata anche in quanto strettamente condizionata dall’ordinamento dell’Unione Europea.  

La riferita complessità determina, a mio avviso, l’alto rischio che ulteriori compressioni del rito, già speciale e accelerato, che caratterizza tale materia, si riflettano negativamente proprio sugli obiettivi di certezza giuridica, correttezza e trasparenza delle procedure che muovono la riforma.

2.    La maggior parte delle norme che intervengono sul sistema di giustizia amministrava riguardano la materia degli appalti pubblici. Tra le disposizioni che in merito hanno suscitato ampio dibattito vi è sicuramente quella dell’art. 40 del decreto legge in commento, il quale tra le “Misure per l’ulteriore accelerazione dei giudizi in materia di appalti pubblici” ha previsto la modifica del comma 6 dell’art. 120  dell’allegato 1 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Codice del processo amministrativo) stabilendo che il giudizio in materia di appalti pubblici debba essere definito con sentenza in forma semplificata. Data la peculiarità e la delicatezza della materia in questione la norma prescritta è a suo avviso funzionale all’obiettivo di una maggiore celerità del processo amministrativo? Sono fondati, a suo giudizio, i dubbi sollevati da chi ritiene invece di difficile attuazione una previsione di tal genere con il rischio di ottenere paradossalmente l’effetto opposto di un incremento del contenzioso?

A mio avviso la disposizione con cui il decreto prescrive che il giudizio nella materia de qua debba essere sempre definito con una sentenza in forma semplificata (ovvero nella forma di cui l’art. 74 c.p.a. consente l’utilizzazione soltanto nel caso in cui il giudice “ravvisi la manifesta fondatezza, ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso”), la cui motivazione  “può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, ad un precedente conforme” e che debba essere comunque definito “ad un’udienza fissata d’ufficio e da tenersi entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente” (sessanta giorni dalla notifica), rischia di produrre effetti distorsivi e, in ultima analisi, opposti a quelli voluti dal legislatore.

Pur auspicando che la disciplina sostanziale sull’affidamento delle commesse pubbliche possa approdare ad un livello di chiarezza e semplicità tale da consentire una facile soluzione delle controversie in materia, quantomeno allo stato della normazione, la prescrizione di definire il giudizio in forma semplificata appare di difficile attuazione e rischia di interferire pesantemente sulle esigenze di effettività della tutela che l’ordinamento europeo si è preoccupato ancor più specificatamente di garantire in materia di appalti pubblici. A ciò si aggiunga che tale tipo di decisione rischia, per un verso, di incrementare il contenzioso, inducendo  il soccombente, più facilmente insoddisfatto da una scarna motivazione sulle ragioni che hanno determinato il rigetto delle proprie tesi, a promuovere ulteriori gradi di giudizio e, per altro verso, di svilire il ruolo di indirizzo interpretativo e di conformazione dell’attività amministrativa che tradizionalmente costituisce il pregio dell’attuale sistema di giustizia amministrativa. Gli stessi e maggiori rischi sono legati alla previsione che tale “decisione semplificata” debba essere  assunta entro il riferito termine, che rischia, anche in relazione a quanto stabilito dal nuovo comma 9 dell’art. 120 c.p.a. (novellato dalla successiva lett. c dello stesso art. 40, comma 1 del decreto 90) sui termini per la pubblicazione del dispositivo e della sentenza, di produrre riflessi evidentemente negativi sulla piena cognizione che i giudici dovrebbero sempre avere della controversia, anche e soprattutto in una materia complessa e delicata come quella degli appalti pubblici (come testimonia anche il fenomeno della corruzione).  Dal momento che l’obiettivo più volte dichiarato della riforma (e al quale sono evidentemente rivolte le altre modifiche processuali introdotte dal decreto 90) è evitare che un uso improprio dei ricorsi giurisdizionali possa ostacolare il percorso verso l’affidamento di commesse pubbliche, è estremamente improbabile che in meno di quaranta giorni dal perfezionamento della notifica nei loro confronti, le Amministrazioni saranno effettivamente in grado di predisporre la documentazione e le difese adeguate per raggiungere il suddetto risultato di talché, in senso opposto alle finalità della novella legislativa, un’eccessiva accelerazione e semplificazione delle decisioni di merito, riducendo le possibilità di tutela dell’Amministrazione (parte resistente naturale), finirà per favorire i ricorrenti più arditi, portando più facilmente all’annullamento dei provvedimenti impugnati e a conseguenti rallentamenti dell’azione amministrativa. L’effetto rischia dunque di essere ben più grave di quello che può conseguire alla mera sospensione temporanea dell’efficacia degli atti impugnati, seguita (ed eventualmente corretta) da una sollecita, ma comunque più ponderata decisione del merito.

L’espressa previsione da parte dello stesso art. 40 del rinvio ad una successiva udienza, da tenersi entro trenta giorni dall’ordinanza che dispone gli adempimenti istruttori o l’integrazione del contraddittorio o il rinvio per l’esigenza di rispetto dei suddetti termini a difesa, dimostra peraltro la concreta difficoltà di rispetto dei termini (di complessivi sessanta giorni) indicati dal primo periodo del comma 6. Non vi è dubbio, tuttavia, che il termine di 30 giorni previsto dall’art. 40 per la celebrazione della seconda udienza risulta  del tutto inadeguato a garantire esigenze istruttorie o di integrazione del contraddittorio o difensive che giustificano il rinvio e si sostanzia in una evidente disparità di trattamento tra i controinteressati inizialmente intimati e quelli  chiamati in causa a seguito dell’ordine di integrazione del contraddittorio.

3.      In tema di misure cautelari nella materia degli appalti pubblici l’art. 40 del decreto legge in commento subordina l'efficacia delle misure cautelari eventualmente concesse alla prestazione, anche mediante fideiussione, di una cauzione, esclusa solo in caso di gravi ed eccezionali ragioni di cui il collegio dovrà render conto nella relativa ordinanza. E’ possibile secondo lei rilevare una mancata coordinazione con la generale norma di cui all’articolo 55 del c.p.a., dedicato alle misure cautelari collegiali, da cui si desume il carattere facoltativo e discrezionale del Collegio nella decisione sulla prestazione di cauzioni? Se sì, sono necessari sul punto degli interventi in sede di conversione del decreto legge?

Per rispondere a tale domanda occorre premettere che la disposizione desta non pochi problemi interpretativi e applicativi in quanto non è chiaro se, nel fare riferimento all’ “efficacia” della misura cautelare e non alla concessione o al diniego della medesima, senza peraltro intervenire sul richiamo generale all’art. 55, il Governo abbia inteso aggiungere un’ipotesi di cauzione (obbligatoria) ulteriore a quella, facoltativa, già prevista dall’art. 55 c.p.a. per  la concessione o il diniego di misure cautelari non attinenti a diritti fondamentali della persona o ad altri beni di primario rilievo costituzionale, che, a differenza di quest’ultima, inciderebbe soltanto sull’efficacia della misura cautelare senza condizionare l’adozione (con le conseguenze di cui si dirà subito infra), ovvero se, utilizzando atecnicamente il termine “efficacia” in luogo di quello “concessione”, abbia inteso sostituire, nel rito appalti, la disciplina generale della cauzione disegnata dall’art. 55, con un modello che, per un verso, sembra pretermettere o comunque fortemente ridurre la tutela dei predetti diritti, e, per l’altro, fa gravare l’onere della cauzione solo sul ricorrente, in un’ottica di estrema dissuasione dalla proposizione di istanze cautelari, che non può non destare perplessità alla luce dei principi costituzionali ed eurounitari sull’effettività della tutela e del ruolo che l’ordinamento dell’Unione Europea ha ripetutamente ed espressamente riconosciuto alle misure cautelari per la relativa garanzia.

Le riferite perplessità sono aggravate dalla circostanza che la legge non fissa alcun criterio per la determinazione della cauzione, né tantomeno limiti minimi e massimi del relativo importo, prestando il fianco a gravissime disparità di trattamento a seconda del giudice adito.

La disposizione pone tuttavia un’ulteriore problema in rapporto all’ordinamento sovra nazionale che, come chiarito, costituisce indefettibile parametro di valutazione del diritto interno in tale materia. Come noto, l’art. 2, co. 3 della direttiva 2007/66/CE, introducendo il c.d. standstill processuale, si preoccupa di garantire che la stazione appaltante non addivenga alla stipula di un contratto frutto di una procedura di cui sia stato denunciato il contrasto con le regole di evidenza pubblica fissate dalla stessa Unione, fin quando il giudice adito si sia pronunciato sulle istanze cautelari o sul merito del ricorso. Il d.lgs. n. 163 del 2006 s.m.i., ha recepito tale disposizione all’art. 11, co. 10-ter collegando l’operatività dello standstill alla richiesta della misura cautelare e non alla mera proposizione del ricorso. In tale panorama le nuove misure di dissuasione dalle richieste cautelari aprono un evidente problema di compatibilità con il diritto dell’Unione.

Un’ulteriore incertezza interpretativa e applicativa nasce dal secondo periodo del nuovo co. 8-bis dell’art. 120 il quale, come sopra riportato, stabilisce che le misure cautelari eventualmente concesse “sono disposte per una durata non superiore a sessanta giorni” dalla pubblicazione della relativa ordinanza “fermo restando quanto stabilito dal comma 3 dell’articolo 119”.

La particolare formulazione utilizzata dal legislatore fa sorgere il dubbio che si sia voluto attribuire al giudice un inedito potere di graduazione temporale dell’efficacia delle misure cautelari.

La lettura combinata delle disposizioni introdotte dall’art. 40 e l’evidenziata difficoltà di definire realisticamente il merito nei termini stabiliti dal nuovo art. 120, per ragioni certamente non imputabili al ricorrente, non consente in ogni caso di comprendere la ratio e la sostenibilità del previsto limite massimo di efficacia, che dovrebbe peraltro operare nonostante il versamento della cauzione.

4.   Gli interventi di semplificazione ed ammodernamento del processo amministrativo hanno anche toccato il cd. processo telematico con l'estensione della disciplina di cui agli artt. 136 e ss. del codice di procedura civile e la previsione di un raccordo consultivo con il Ministero della giustizia per la trasmissione dell'indirizzo di posta elettronica imposto dalla legge. Questi ultimi interventi sono in linea, a suo avviso, con le norme di matrice europea volte alla semplificazione e rapidità dei contenziosi giudiziari? Si può dire lo stesso per quelle disposizioni poc’anzi commentate che intervengono sulla materia degli appalti pubblici?

Con riferimento alle disposizioni relative al processo telematico, ritengo che siano da salutare con favore le disposizioni che impongono l’“informatizzazione” della P.A., (mi riferisco, in particolare, al richiamo  contenuto all’art. 42 del decreto 90, rubricato “Comunicazioni e notificazioni per via telematica nel processo amministrativo”, al comma  12 dell’art. 16 del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, al processo amministrativo, a norma del quale  “Al fine di favorire le comunicazioni e  notificazioni  per  via telematica  alle  pubbliche   amministrazioni,   le   amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo  30 marzo  2001,  n.  165,  e  successive  modificazioni,  comunicano  al Ministero della giustizia, con le regole tecniche adottate  ai  sensi dell'articolo 4, comma 1, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 febbraio 2010,  n.  24, entro il  30  novembre  2014 l'indirizzo  di  posta  elettronica certificata conforme a quanto previsto  dal  decreto  del  Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, e successive modificazioni, a cui ricevere le comunicazioni e notificazioni. L'elenco formato dal Ministero della giustizia e' consultabile esclusivamente dagli uffici giudiziari, dagli uffici  notificazioni.  esecuzioni  e  protesti,  e dagli avvocati”.   

Non ho ancor avuto modo di approfondire le altre disposizioni ma ritengo essenziale che, in sede di conversione, siano regolamentati gli orari per le notificazioni e comunicazioni a mezzo pec.

I tempi estremamente compressi del giudizio amministrativo e la circostanza che esso ha sempre come parte naturale almeno una pubblica amministrazione e spesso si svolge tra persone giuridiche, impongono di disciplinarli tenendo conto degli orari di apertura degli uffici pubblici.

In altri termini, per una indispensabile salvaguardia del diritto di difesa e del principio di parità delle armi, una comunicazione o una notifica trasmessa a mezzo pec (ma il discorso vale anche per il fax) dopo l'orario medio di chiusura degli uffici pubblici (e dunque anche nei giorni non lavorativi) deve valere come effettuata al momento della riapertura. Diversamente, un termine a difesa già molto ridotto (si pensi a quelli di cinque o di dieci giorni) rischia di diventare inaccettabile realizzando, ancora una volta, un grave vulnus al principio di effettività della tutela giurisdizionale.

I problemi sul campo sembrano molti, in ballo tra gli altri la tutela della certezza giuridica, della correttezza e della trasparenza delle procedure che ispirano la riforma. Al dibattito del prossimo 14 luglio l’ampia analisi su questi ed altri aspetti controversi in un’ottica costruttiva e di ampio confronto. Ringraziando la Prof.ssa Sandulli per la gentilissima disponibilità mostrata seguiremo con grande attenzione lo svolgersi del dibattito con l’auspicio di riportarvi altri illustri ed autorevoli interventi.

Ultima modifica il 01 Ottobre 2014