Dal punto di vista sostanziale, circa l’attuale quadro sanzionatorio si fa riferimento, per espresso rinvio operato e dall’art. 12 della Legge 18 marzo 1958, n. 311[2] e dall’art. 10, comma 2 della cd legge Gelmini, agli artt. 87 e ss del r.d. 31 agosto 1933, n. 1592. Si appalesano, pertanto, dal punto di vista funzionale tre tipologie di sanzioni: 1) la censura; 2) le sanzioni con efficacia sospensiva, cui vanno ascritte la sospensione dall’ufficio e dallo stipendio fino ad un anno; 3) le sanzioni con efficacia espulsiva della revocazione e della destinazione senza perdita del diritto a pensione e assegni. Due precisazioni: accessoria all’irrogazione di una sanzione con efficacia sospensiva e ad applicazione automatica è quella prevista dall’art. 89, comma 2, del r.d. 1592 del 1933, come modificato dall’art. 5 della legge 16 gennaio 2006, 18, in forza della quale il docente universitario sanzionato non può per dieci anni solari essere nominato Rettore di Università o direttore di Istituzione universitaria; circa la sanzione della destituzione con perdita del diritto a pensione o ad assegni, prevista dal n. 5 dell’art. 87 r.d. del 31 agosto 1933, n. 1592, si ritiene che la stessa non sia più irrogabile per effetto dell’abrogazione operata dall’art. 1 della Legge 8 giugno 1966, n. 494[3].
Proceduralmente, la cd legge Gelmini ha determinato un decentramento del procedimento sanzionatorio a livello di singolo Ateneo, rispetto al precedente regime, laddove la funzione disciplinare risultava allocata presso il C.U.N. I commi 1° e 2° dell’art. 10 della legge 240/2010 s.m.i. prevedono, infatti, per l’irrogazione della censura (art. 88 del citato t.u. del 1933) una competenza esclusiva del Rettore dall’istruttoria alla conclusione del procedimento; per contro, circa l’irrogazione di sanzioni con efficacia sospensiva o espulsiva, è prevista la costituzione di un Collegio di disciplina presso ogni Ateneo, secondo modalità definite dallo statuto, competente a svolgere la fase istruttoria dei procedimenti disciplinari e ad esprimere in merito parere conclusivo. Nel dettaglio al Rettore spetta l’avvio del procedimento disciplinare e la conseguente istruttoria, sulla base della quale qualificare la natura e l’entità dell’illecito disciplinare, ai fini della trasmissione o meno di una proposta motivata al Collegio di disciplina. Come efficacemente illustrato in dottrina[4], il Rettore nei rapporti con il Collegio di disciplina assumerebbe il ruolo di accusa con conseguente obbligatorietà dell’esercizio dell’azione disciplinare. Sotto questo aspetto e visto il ruolo di parte del Rettore nel procedimento disciplinare, potrebbero avere un fondamento le critiche avanzate in merito alla concentrazione della funzione istruttoria e decisoria in capo al Rettore nei procedimenti volti all’irrogazione della censura[5]. Ai sensi dell’art. 10, commi 3 e 4, della Legge 240/2010 s.m.i. spetta, infine, al Consiglio di Amministrazione infliggere la pena o decidere per l’archiviazione del procedimento, conformemente al parere vincolante del Collegio di disciplina.
Circa i termini procedimentali il TAR Bologna con sentenza n. 268/14 ha precisato che l’onere di contestazione degli addebiti, espressione del generale principio del rispetto del contradittorio di cui al comma 1 dell’art. 10 della Legge 240/2010 s.m.i., che contiene un’informativa sui fatti ritenuti rilevanti e che costituiscono oggetto dell’accertamento disciplinare, salva e riservata loro successiva qualificazione e sanzione, debba, inderogabilmente, avvenire entro il termine di 30 giorni dalla conoscenza dei fatti (art. 10, comma 2, Legge 240/1990 s.m.i.)[6]. Il giudicante ha, dunque, aderito alla tesi[7] che riporta la contestazione degli addebiti e la conseguente assegnazione dei termini a difesa alla fase dell’istruttoria preliminare svolta dal Rettore. L’art. 10, 3° comma, Legge 240/1990 s.m.i. dispone un termine di 30 giorni, affinché il Collegio di disciplina possa esprimersi sulla proposta avanzata dal Rettore. L'articolo 10, 4° comma, Legge 240/1990 s.m.i. individua un termine di 30 giorni, affinché il Consiglio d’Amministrazione, ricevuto il parere dal Collegio di disciplina, infligga la sanzione o disponga l’archiviazione. L’articolo 10, 5° comma, Legge 240/1990 s.m.i. individua un termine finale di 180 giorni, entro il quale deve essere concluso il procedimento disciplinare. Orbene, secondo l’A.G.A. di Bologna (si veda anche TAR Bologna sentenza n. 965/2014) i termini di cui ai commi 3 e 4, art. 10 della legge 240/2010 s.m.i. sono da considerare infraprocedimentali e, quindi, ordinatori, mentre i soli termini per la contestazione degli addebiti (30 giorni dalla conoscenza dei fatti) e per la conclusione del procedimento (180 giorni dall’avvio del procedimento, ai sensi dell’art. 10, comma 5, della Legge 240/1990 s.m.i.) sono perentori, la cui inosservanza determina l’illegittimità dell’intero procedimento sanzionatorio. Conti alla mano per il giudice amministrativo, considerati i soli termini perentori, il limite temporale complessivo, fissato per la conclusione del procedimento, è dato dalla somma di quello previsto per il suo inizio con il termine massimo della sua durata, nella fattispecie giorni 30+180=210. Bisogna, tuttavia, tener conto (art. 10, comma 5, della Legge 240/2010 s.m.i.) che il termine massimo di durata del procedimento sanzionatorio può essere sospeso o nell’ipotesi in cui il Collegio di disciplina o il Consiglio di Amministrazione siano in corso di formazione o rinnovo (nel qual caso i termini sono sospesi fino alla ricostituzione degli organi), o nel caso in cui per esigenze istruttorie del Collegio di disciplina, alle cui richieste il Rettore deve dare esecuzione, è necessario acquisire ulteriori atti e documenti; nella fattispecie all’interno di un medesimo procedimento sanzionatorio non possono esserci più di due sospensioni, ciascuna delle quali non può durare più di 60 giorni. Orbene, gli effettivi giorni di sospensione vanno, infine, sommati al termine finale di 210 giorni.
Circa l’obbligo di sospensione del procedimento disciplinare in pendenza di quello penale, vige il principio della cd pregiudiziale penale; l’A.G.A. (TAR Bologna n. 268/14) ritiene che tale eventualità si concretizzi solo allorché ci sia un rinvio a giudizio, momento a partire dal quale il soggetto sottoposto alle indagini preliminari acquista la qualità d’imputato.
Quanto all’esercizio del potere di sospensione cautelare dei docenti universitari, a seguito dell’abrogazione, ad opera del 6° comma dell’art. 10 della legge cd Gelmini, dell’art. 3 della legge 16 giugno 2006, n. 18, che nel quarto comma attribuiva al Rettore la potestà di sospendere cautelarmente dall’ufficio il docente interessato, si ravvisa in dottrina[8] il suo fondamento nell’art. 12 della legge 18 marzo 1958, n. 311, che rinvia per la sospensione cautelare in pendenza di procedimento disciplinare all’art. 90 del r.d. 31 agosto 1933, n. 1592; nonché agli artt. 91, 96, 97 e 98 del t.u. del t.u. 10 gennaio 1957, n. 3 per la sospensione cautelare in pendenza di procedimento penale.
[1] Sull’argomento si veda VIOLA Luigi, Il procedimento disciplinare dei docenti universitari dopo la riforma Gelmini, in Federalismi.it, n.3/2011; PORTALURI Pier Luigi, Note de iure condendosul procedimento disciplinare nei confronti dei docenti universitari, in Federalismi.it, n. 1/2013.
[2] “Ferma restando la composizione della Corte di disciplina stabilita dall'art. 6 della legge 30 dicembre 1947, n. 1477, ai professori universitari di ruolo continuano ad applicarsi le disposizioni degli articoli 87, 88, 89, 90 e 91 del testo unico delle leggi sull'istruzione superiore, approvato con regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592. Ad essi si applicano, inoltre, in quanto non contrastino con quelle del citato testo unico, le norme contenute negli articoli 85, 91, 96, 97 e 98 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3”.
[3] “Sono abrogate le disposizioni che prevedono, a seguito di condanna penale o di provvedimento disciplinare, la perdita, la riduzione o la sospensione del diritto del dipendente dello Stato o di altro Ente pubblico al conseguimento e al godimento della pensione e di ogni altro assegno od indennità da liquidarsi in conseguenza della cessazione del rapporto di dipendenza”.
[4] VIOLA, op. cit., pag. 13.
[5] PORTALURI, op. cit., pp. 5-6.
[6] Consiglio di Stato, sez. VI, 30 maggio 2008, n. 2599: “…l'inizio dell'azione disciplinare deve collegarsi non a qualsivoglia e generica conoscenza di fatti che possano essere in astratto qualificati come illeciti disciplinari, ma richiede una completa ed esauriente cognizione delle condizioni di ambiente e di lavoro in cui si è verificata la condotta suscettibile di sanzione, nonché un preliminare "iter" valutativo sulla sua riconduzione in talune delle numerose ipotesi di illecito prefigurate dal codice disciplinare. Si tratta di regola di garanzia non solo dell'ufficio che esercita l'azione disciplinare - che non deve essere esposto a contestazione per la genericità degli addebiti ascritti - ma dello stesso inquisito che deve essere posto in condizione di esercitare il diritto di difesa su un ben definito quadro accusatorio”.
[7] VIOLA, op. cit., p. 14.
[8] VIOLA, op. cit., pp. 22-26.