E’ lampante ed ovvio che tali ultimi soggetti, in virtù della loro pregressa carriera universitaria, abbiano dimostrato in maniera inequivocabile di possedere le conoscenze e le competenze necessarie alla frequenza del corso di Medicina. Non si può contestare, infatti, la circostanza che la loro preparazione sia ben più consolidata ed approfondita rispetto a neo diplomati che per la prima volta si devono confrontare con materie particolarmente tecniche.
Ma ancor di più, riflettendo sull’aleatorietà che caratterizza un test a risposta multipla della durata di due ore, è alquanto inaccettabile il fatto che si tenda a privilegiare tale modalità di accesso, piuttosto che tenere in debita considerazione anni ed anni di studi in materie affini al corso di Medicina certificanti, senza margine di errore e senza percentuali di successo legate al caso, la piena conoscenza, da parte dello studente, di materie oggetto del corso di studi.
Dello stesso avviso sono i recentissimi provvedimenti emessi dai Tribunali amministrativi regionali nonché l’orientamento del Consiglio di Stato, che in maniera chiara ed inequivocabile hanno condannato le Università ad effettuare un riesame delle posizioni di tutti quei soggetti che nel corso del proprio percorso universitario abbiano conseguito almeno 25 CFU.
Detti provvedimenti ottenuti a seguito dei ricorsi dello studio legale Bonetti e Partners, da sempre difensori dei diritti degli studenti, hanno anche evidenziato come in molti Atenei italiani siano presenti cospicui posti liberi riservati agli extracomunitari e che pertanto non si comprende il motivo per cui non possano essere attribuiti in base a criteri meritocratici a quei soggetti gai laureati o laureandi.
Ritenendo infatti legittima e fondata la richiesta dei ricorrenti degli Avv.ti Bonetti e Delia, il T.A.R. dell’Abbruzzo – L’Aquila con le ordinanze n. 23/2018 e 24/2018 ed il T.A.R. del Molise con l’ordinanza 57/2018 in tema di posti liberi, riservati agli extracomunitari citati hanno disposti letteralmente che “va accolta l’istanza di sospensione dell’atto gravato nella sola parte in cui non viene ivi contemplata la riassegnazione degli eventuali posti rimasti liberi già destinati agli studenti extracomunitari, con conseguente obbligo della PA universitaria intimata di rivalutare la domanda di immatricolazione della ricorrente medesima, mediante l'utilizzo dei posti, riservati per gli studenti extracomunitari, eventualmente rimasti privi di copertura a seguito delle operazioni di immatricolazione e scorrimento”
Tra le plurime pronunce del G.A. emblematica appare quella con cui ha di recente ricordato che “se la prova stessa è volta ad accertare la ‘predisposizione per le discipline oggetto dei corsi’, è vieppiù chiaro che tale accertamento ha senso solo in relazione ai soggetti che si candidano ad entrare da discenti nel sistema universitario, mentre per quelli già inseriti nel sistema (e cioè già iscritti ad università italiane o straniere) non si tratta più di accertare, ad un livello di per sé presuntivo, l’esistenza di una “predisposizione” di tal fatta, quanto piuttosto, semmai, di valutarne l’impegno complessivo di apprendimento dimostrato dallo studente con l’acquisizione dei crediti corrispondenti alle attività formative compiute”.
Ma ancora, già in precedenza, sull’argomento si era pronunciato in maniera inequivocabile il T.A.R. Palermo affermando per la prima volta che, anche in ipotesi di trasferimenti ad anni successivi al primo, qualora fossero residuati posti vacanti destinati a cittadini non comunitari all’esito dell’originario bando di concorso, questi devono essere assegnati per soddisfare le esigenze di altri studenti che ne abbiano diritto. Tale pronuncia è l’ennesima conferma di come sia inspiegabile e contraria ai principi costituzionali sul diritto allo studio, la scelta degli Atenei di non assegnare i posti vacanti degli extracomunitari.
Anche il T.A.R. Lazio ha chiarito che “se è vero che la selezione imposta “ex lege” (…), tale valutazione di meritevolezza, in presenza di posti disponibili e quindi nel rispetto della programmazione, può anche essere verificata in virtù di specifici titoli detenuti da un aspirante e non solo ed esclusivamente attraverso test di ingresso idoneo a valutare capacità di base che l’interessato, nel caso di specifico, ha già dimostrato di possedere nel settore specifico”.
Al fine di dirimere la questione de qua si è pronunciata recentemente l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1/2015 disponendo che se i contenuti della prova di ammissione di cui all’art. 4 della legge 2 agosto 1999, n. 264 devono far riferimento ai “programmi della scuola secondaria superiore”, la prova non può che essere rivolta ai neo diplomati, ovvero a coloro i quali intendono iscriversi per la prima volta al corso di laurea, sulla base, quindi, del titolo di studio e delle conoscenze acquisite. Difatti, anche il D.M. 28 giugno 2017, n. 477 a ribadire, nell’allegato “A”, che “le conoscenze e le abilità richieste fanno comunque riferimento alla preparazione promossa dalle istituzioni scolastiche che organizzano attività educative e didattiche coerenti con i Programmi Ministeriali, soprattutto in vista degli Esami di Stato”, conferma che “il riferimento della norma ad un accertamento da eseguirsi al momento del passaggio dello studente dalla scuola superiore all’università e dunque la dichiarata funzione alla quale la prova risponde: verificare la sussistenza – nello studente che aspira ad essere ammesso al sistema universitario – di requisiti di cultura pre-universitaria”.
L’orientamento che si sta delineando su questa annosa questione è, quindi, sempre più favorevole a tali studenti che si auspica possano perseguire la loro aspirazione senza dover essere ostacolati dall’agognato test di ingresso.