Università private condannate a restituire 12 mila euro agli studenti che non iniziano la carriera
Il Consiglio di Stato dispone l’ammissione alla prova orale per la procedura concorsuale abilitante per l’assunzione di docenti per la classe di concorso EEEM.
Con ordinanza n. 3336 pubblicata in data 04.09.2024, per il giudizio avente n. 6418/2024 R.G., il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Settima, accoglie l’appello e, in riforma dell’ordinanza impugnata n. 3275 resa dal T.A.R. Lazio Sez. III bis nel procedimento n. 6006/2024 r.g., consente all’appellante di sottoporsi alla prova orale della procedura concorsuale abilitante, bandita con D.D. n. 1330 del 4 agosto 2023 “per titoli ed esami per l’accesso ai ruoli del personale docente relativi all'insegnamento dell'educazione motoria nella scuola primaria” primo concorso in assoluto per l’assunzione di docenti per la classe di concorso EEEM che consente a coloro che risulteranno vincitori di essere convocati per le immissioni in ruolo già a partire dall’anno scolastico 2024/2025.
Parte appellante, che aveva sostenuto la prova scritta computer based conseguendo un punteggio di 66 punti, poi rettificato in 68/70 a seguito di un intervento in via di autotutela del MIM sul quesito relativo all’ormone GH, e che mancava dell’attribuzione del punteggio di una sola domanda per rientrare nei posti disponibili per la regione Lazio, riscontrava numerose illegittimità e faceva richiesta di disporre CTU sui quesiti contestati, compreso quello sul fair play.
A seguito dell’udienza in camera di consiglio del 16 luglio 2024, il TAR del Lazio si era pronunciato con il provvedimento gravato respingendo la domanda cautelare di parte appellante, prendendo in considerazione i dati emersi a seguito di verificazione disposta nell’ambito di un ulteriore procedimento sul quesito del fair play, senza tuttavia considerare le deduzioni da parte appellante avanzate.
Ad oggi, i Giudici di Palazzo Spada, reputando “apprezzabile favorevolmente l’interesse all’assegnazione di un incarico per l’imminente anno scolastico”, dispongono l’ammissione di parte appellante alla prova orale della procedura concorsuale, accogliendo il ricorso in appello da noi patrocinato anche nel fumus.
Il TAR Lazio annulla il provvedimento del diniego di riconoscimento del titolo conseguito in Spagna.
Il ricorrente, docente abilitato all’insegnamento sulla classe di concorso AAAA (infanzia) e EEEE (primaria), conseguiva il titolo di abilitazione all’insegnamento sulla classe di concorso ADAA ed ADEE in Spagna e ne chiedeva il riconoscimento al Ministero Italiano.
L’Amministrazione inizialmente inoltrava al ricorrente una richiesta di integrazione documentale non completa e poi rigettava la domanda avanzata dall’insegnante senza che lo stesso fosse messo nelle condizioni di proporre osservazioni o allegare documentazione come espressamente previsto dalla L. n. 241/1990 e senza nemmeno subordinare il riconoscimento a misure compensative.
Con Ordinanza n. 3920/2024 reg. prov. caut. Il TAR Lazio accoglieva la domanda del ricorrente ravvedendo la sussistenza non solo del periculum in mora– “atteso che il ricorrente, a causa del diniego di riconoscimento del titolo di specializzazione conseguito all’estero non può essere inserito con riserva nelle GPS e stipulare i relativi contratti di supplenza” – ma altresì del c.d. fumus boni iuris precisando e chiarendo: “l’amministrazione non ha correttamente applicato i principi affermati in materia dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato in ordine alla necessità di una comparazione analitica tra il percorso svolto all’estero e quello previsto in Italia; in ragione di quanto dedotto in ricorso ed in assenza di contestazione da parte dell’amministrazione, la richiesta di integrazione documentale trasmessa dall’adozione del provvedimento era inidonea a consentire all’interessato di individuare i documenti mancanti”.
Di particolare rilevanza è che il TAR Lazio accoglie la domanda cautelare nonostante l’Amministrazione rilevava l’emanazione recente dell’art. 7 D.L. 71/2024, che prevede la possibilità per tutti coloro che sono in attesa del riconoscimento del titolo estero e per tutti coloro che hanno avuto un rigetto della richiesta di riconoscimento e lo abbiano impugnato, come il ricorrente, di poter partecipare ad appositi percorsi di formazione; il Collegio accoglie così la domanda cautelare precisando come ad oggi siamo ancora in attesa “dell’attivazione dei predetti percorsi”; difatti al ricorrente ad oggi era preclusa addirittura la possibilità di ottenere incarichi precari dalle GPS.
Il Consiglio di Stato dispone il riesame dell’istanza di visto per motivi di studio.
Il TAR Lazio rigettava la domanda della studentessa a cui l’Amministrazione aveva rifiutato il visto per motivi di studio in quanto considerava non applicabile al caso in concreto e alla materia del contendere il rimedio cautelare: “considerato che la eventuale sospensione dell’impugnato provvedimento di diniego non risulterebbe comunque suscettibile di determinare l’ingresso della parte ricorrente sul territorio nazionale, venendo in rilievo, nel caso di specie una utilità collegata all’esercizio di un potere amministrativo di carattere discrezionale”.
Il Consiglio di Stato (con provvedimento n. 3242/2024) analizzando il caso concreto della ricorrente che si era attivata per l’ottenimento del visto per motivi di studio, ma non era riuscita ad ottenerlo per fatti a lei non addebitabili, ne accoglieva le richieste ed in maniera diametralmente opposta al Giudice di primo grado disponeva: “dalla documentazione versata in atti risulta confermato che plurimi appuntamenti erano stati fissati e poi cancellati su iniziativa dell’Amministrazione, sicché la circostanza ostativa al rilascio del titolo (lo slittamento dell’appuntamento a data successiva al 30 novembre) non è in alcun modo riconducibile alla parte istante e determina un esito ingiusto e illegittimo del procedimento”; pertanto il Consiglio di stato reputava che “sussistono i presupposti per l’accoglimento dell’istanza si fini di un riesame da parte dell’Amministrazione (configurandosi questa misura come ammissibile sul piano processuale e satisfattiva dell’interesse azionato), con contestuale sospensione della esecutorietà dell’ordinanza appellata, in considerazione del pregiudizio grave ed irreparabile che, in difetto, potrebbe sortirne in danno della parte”.
Pertanto, i Giudici di Palazzo Spada hanno accolto l’appello cautelare ai fini di un riesame ad opera della P.A., con conseguente concessione della tutela interinale nei confronti del provvedimento di diniego impugnato.
Decisione n. 30 del 29 luglio 2024. Diritto di critica e di “opposizione”, funzione di vigilanza di un iscritto e di un consigliere dell’Ordine. Annullato il provvedimento disciplinare di un iscritto e Consigliere dell’Ordine.
Non si vedono ragioni che possano giustificare un procedimento disciplinare per chi, Consigliere di un Ordine territoriale, in fondo, non ha fatto altro che chiedere un colloquio col Presidente del Consiglio Nazionale, anche se questa iniziativa conteneva alcune critiche all'operato dell'Ordine locale.
La decisione del Consiglio di Disciplina Nazionale accoglieva il ricorso di un nostro assistito, commercialista e consigliere dell’ordine, ribaltando la decisione di orimo grado e disponendo: “D'altro canto, la funzione di vigilanza attribuita al CNDCEC può trovare anche nei rapporti coi Consiglieri "di minoranza" degli Ordini territoriali, e nelle loro segnalazioni, occasionale motivo per essere svolta; di tal che segnalazioni da parte di essi, sono attuate in forme che non contrastino col decoro della professione e le altre disposizioni del Codice deontologico, potrebbero apparire non solo tali da non ostacolare ma, addirittura, funzionali allo svolgimento della suddetta attività di vigilanza a da parte degli Organi nazionali professionali.
Buona parte degli argomenti del provvedimento impugnato (pretesi - ma del tutto non dimostrati, neppure sotto il profilo di un pericolo di danno - danni, finalità sleali e scorrette del ricorrente volte a perseguire ambizioni personali e discredito dei Colleghi che sono attribuite al ricorrente dai suoi detrattori) non risultano affatto dalla lettera che ha dato origine al procedimento disciplinare e che ne costituisce, in buona sostanza, l'unico oggetto. Agli atti non vi sono elementi di prova, neppure presuntivi e tanto meno questi elementi possono scorgersi nella richiesta di incontro al Presidente del CNDCEC - di atteggiamenti o di intenti intimidatori nei confronti del Consiglio dell'Ordine da parte del dott. Colantuono.
Parimenti non si vede perché, visto che l'oggetto dei disagi e preoccupazioni che il ricorrente avrebbe voluto manifestare al Presidente del CNDCEC, riguarda l'organo e non singoli componenti dallo stesso, l'avere inviato la missiva per conoscenza solo alla persona del Presidente, che quell'organo rappresenta, e non a tutti i consiglieri, costituirebbe indice di slealtà e di comportamento indecoroso.
Si ravvisa in sostanza la totale assenza di violazioni da parte del professionista nel contenuto della lettera trasmessa al presidente CNDCEC e in genere nei comportamenti oggetto del procedimento disciplinare.
Per far meglio comprendere la decisione resa nel caso di specie occorre necessariamente ripercorrere le tappe fondamentali del contenzioso in cui la pronuncia interviene.
Il ricorrente riveste il ruolo di Consigliere di un ordine Territoriale dell’Ordine dei Commercialisti e ha agito e si è difeso per il tramite della difesa tecnica dell’Avv. Michele Bonetti come semplice iscritto all’ordine, ma anche nella sua veste di Consigliere dell’Ordine.
Da sempre impegnato e professionalmente dedito all’esercizio delle sue funzioni, in vista dell’Assemblea generale degli iscritti, il nostro assistito presentava istanza per poter partecipare attivamente, e dunque intervenire, nella predetta adunanza. Tuttavia, lo stesso giorno dell’Assemblea, e senza alcun preavviso, tale diritto gli veniva negato tout court. Veniva riferito che non poteva intervenire in quanto non ricopriva un incarico istituzionale, sebbene sia indubbio che il diritto di partecipazione dovesse essere garantito già come iscritto all’Ordine; è ancor più palese che l’istituzionalità della carica risiede nel ruolo stesso che riveste, di Consigliere, componente di un organo amministrativo collegiale interno all’Ente pubblico di appartenenza.
Conseguentemente, l’appellante, in completa buona fede, inoltrava una comunicazione rispettivamente, al Presidente del Consiglio dell’Ordine Nazionale e, per conoscenza, alla Presidente del Consiglio Territoriale, in virtù della sua qualifica di rappresentante p.t.
Da tale missiva si apriva un procedimento disciplinare a carico del ricorrente che culminava con la notifica dell’irrogazione, da parte del Collegio Consiglio di Disciplina Territoriale, della sanzione della censura.
Tale provvedimento sanzionatorio veniva impugnato in secondo grado con il patrocinio dello scrivente legale, che si occupa da tempo di cause relative ai più svariati procedimenti disciplinari, tra cui quelli inerenti ai vari Ordini Professionali. Il Consiglio di Disciplina Territoriale per la condotta descritta riteneva applicabile gli articoli relativi alle violazioni deontologiche concernenti gli incarichi istituzionali, i rapporti con gli ordini, con i consigli di disciplina locali, con il consiglio nazionale e con i colleghi; il Collegio di primo grado, considerando che la violazione dell’art. 15 del codice deontologico comportasse l’applicazione della sanzione disciplinare dalla sospensione dell’esercizio della professione, ritenute assorbenti le sanzioni della censura per violazione dell’art, 28 e 29 e della sospensione fino a sei mesi, valutate le circostanze attenuanti, irrogava però il solo provvedimento di censura.
Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Commercialisti ed Esperti Contabili, confermava l’illegittimità paventata e accoglieva il ricorso con il provvedimento in commento n. 395/2024, il quale, a parere di chi scrive, toccava svariati tasti di particolare rilevanza di seguito trattati.
Da un lato, all’interno del provvedimento, si accennava al ruolo, non disarmato, che compete alla “minoranza” interna agli organi collegiali e consiliari e, dall’altro, tale ruolo viene riconnesso al potere di vigilanza che gli organi professionali, soprattutto nazionali, devono poter svolgere in virtù della loro funzione di autogoverno, con il fine di garantire la qualità delle attività svolte dai singoli professionisti e dagli organi costituiti al loro interno.
In generale, al fine di comporre le fila del Consiglio di un Ordine professionale, anche territoriale, o addivenire ad una carica al suo interno, quale quella di Presidente, bisogna venire eletti. Un candidato Presidente, come era l’incolpato, che non esce vittorioso dall’elezione ma diviene comunque Consigliere, per natura, è qualificabile come fautore della c.d. opposizione.
A tal proposito, la sentenza specifica che le segnalazioni all’Organo Nazionale sono “funzionali allo svolgimento della suddetta attività di vigilanza da parte degli Organi nazionali professionali” non facendo altro che ribadire una conquista della storia della democrazia che si esplica anche all’interno degli stessi Ordini.
La libertà di manifestazione di un pensiero fuori coro e la sua idoneitàad incidere in qualche modo in senso negativo su qualcuno o, come in tal caso, su qualcosa, si rivela dunque motivo di impulso, valutazione ed eventuale estrinsecazione di un potere di controllo legislativamente previsto.
È evidente che con tale dispositivo in diritto si arrivi non solo a legittimare, ma ad esaltare la manifestazione del dissenso e la critica politica, sempre che non sia contrastante con i canoni deontologici professionali o trasmodi in aggressione.
Difatti, tra le competenze del Consiglio Nazionale dell’Ordine rientra il dover vigilare sul regolare funzionamento dei Consigli dell'Ordine, compito che non potrebbe mai essere assolto qualora non si desse la possibilità ai singoli componenti, che ne sono direttamente coinvolti, di esporre gli eventuali sintomi di malamministrazione. Reprimendo una siffatta possibilità di dialettica sarebbe davvero complicato svolgere un corretto vaglio sull’operato di tutte le sue articolazioni decentrate territorialmente.
Per tale motivo, interpretando il dictum della sentenza, la critica effettuata tramite segnalazioni a organi che siano supervisori ex lege, diviene non solo assolutamente legittima e non costituente alcun ostacolo, ma addirittura direttamente funzionale e propulsiva del potere di vigilanza.
La prospettiva predisposta dalla sentenza, a parere di chi scrive, fa riferimento a una garanzia di maggiore costanza e prossimità dell’attenzione che il Consiglio Nazionale riserva agli Organi collocati nel distretto, non solamente in un’ottica di mero controllo, nella sua accezione più stringente, ma di promozione e rideterminazione dell’efficienza.
In poche e semplici parole, le segnalazioni degli appartenenti all’Ordine, e maggior ragione quelle di un Consigliere, sarebbero utili anche a permettere l’attivazione di meccanismi idonei a prevenire o risolvere situazioni di disservizio e disfunzionalità.
Peraltro, emerge con tutta evidenza che nessun procedimento, soprattutto qualora incida su profili di responsabilità professionali e che abbia anche dei risvolti sanzionatori di non poco conto, quale quello disciplinare, può azionarsi o concludersi senza che sia sostenuto da elementi probatori e argomentazioni fattuali o giuridiche. Di talché è chiaro il valore dato all’assolvimento dell’onere della prova.
Anche volendo affievolire tale onere, sino a farlo regredire ad una mera presunzione e pericolo di danno, nell’ambito di una tale procedura disciplinare, deve essere valutata la rilevanza non solo dei fatti costituenti la mancanza deontologica, ma anche del pregiudizio e eventuale danno che i medesimi sono idonei ad arrecare.
Decisione n. 30 del 29 luglio 2024. Diritto di critica e di “opposizione”, funzione di vigilanza di un iscritto e di un consigliere dell’Ordine. Annullato il provvedimento disciplinare di un iscritto e Consigliere dell’Ordine.
Non si vedono ragioni che possano giustificare un procedimento disciplinare per chi, Consigliere di un Ordine territoriale, in fondo, non ha fatto altro che chiedere un colloquio col Presidente del Consiglio Nazionale, anche se questa iniziativa conteneva alcune critiche all'operato dell'Ordine locale.
La decisione del Consiglio di Disciplina Nazionale accoglieva il ricorso di un nostro assistito, commercialista e consigliere dell’ordine, ribaltando la decisione di orimo grado e disponendo: “D'altro canto, la funzione di vigilanza attribuita al CNDCEC può trovare anche nei rapporti coi Consiglieri "di minoranza" degli Ordini territoriali, e nelle loro segnalazioni, occasionale motivo per essere svolta; di tal che segnalazioni da parte di essi, sono attuate in forme che non contrastino col decoro della professione e le altre disposizioni del Codice deontologico, potrebbero apparire non solo tali da non ostacolare ma, addirittura, funzionali allo svolgimento della suddetta attività di vigilanza a da parte degli Organi nazionali professionali.
Buona parte degli argomenti del provvedimento impugnato (pretesi - ma del tutto non dimostrati, neppure sotto il profilo di un pericolo di danno - danni, finalità sleali e scorrette del ricorrente volte a perseguire ambizioni personali e discredito dei Colleghi che sono attribuite al ricorrente dai suoi detrattori) non risultano affatto dalla lettera che ha dato origine al procedimento disciplinare e che ne costituisce, in buona sostanza, l'unico oggetto. Agli atti non vi sono elementi di prova, neppure presuntivi e tanto meno questi elementi possono scorgersi nella richiesta di incontro al Presidente del CNDCEC - di atteggiamenti o di intenti intimidatori nei confronti del Consiglio dell'Ordine da parte del dott. Colantuono.
Parimenti non si vede perché, visto che l'oggetto dei disagi e preoccupazioni che il ricorrente avrebbe voluto manifestare al Presidente del CNDCEC, riguarda l'organo e non singoli componenti dallo stesso, l'avere inviato la missiva per conoscenza solo alla persona del Presidente, che quell'organo rappresenta, e non a tutti i consiglieri, costituirebbe indice di slealtà e di comportamento indecoroso.
Si ravvisa in sostanza la totale assenza di violazioni da parte del professionista nel contenuto della lettera trasmessa al presidente CNDCEC e in genere nei comportamenti oggetto del procedimento disciplinare.
Per far meglio comprendere la decisione resa nel caso di specie occorre necessariamente ripercorrere le tappe fondamentali del contenzioso in cui la pronuncia interviene.
Il ricorrente riveste il ruolo di Consigliere di un ordine Territoriale dell’Ordine dei Commercialisti e ha agito e si è difeso per il tramite della difesa tecnica dell’Avv. Michele Bonetti come semplice iscritto all’ordine, ma anche nella sua veste di Consigliere dell’Ordine.
Da sempre impegnato e professionalmente dedito all’esercizio delle sue funzioni, in vista dell’Assemblea generale degli iscritti, il nostro assistito presentava istanza per poter partecipare attivamente, e dunque intervenire, nella predetta adunanza. Tuttavia, lo stesso giorno dell’Assemblea, e senza alcun preavviso, tale diritto gli veniva negato tout court. Veniva riferito che non poteva intervenire in quanto non ricopriva un incarico istituzionale, sebbene sia indubbio che il diritto di partecipazione dovesse essere garantito già come iscritto all’Ordine; è ancor più palese che l’istituzionalità della carica risiede nel ruolo stesso che riveste, di Consigliere, componente di un organo amministrativo collegiale interno all’Ente pubblico di appartenenza.
Conseguentemente, l’appellante, in completa buona fede, inoltrava una comunicazione rispettivamente, al Presidente del Consiglio dell’Ordine Nazionale e, per conoscenza, alla Presidente del Consiglio Territoriale, in virtù della sua qualifica di rappresentante p.t.
Da tale missiva si apriva un procedimento disciplinare a carico del ricorrente che culminava con la notifica dell’irrogazione, da parte del Collegio Consiglio di Disciplina Territoriale, della sanzione della censura.
Tale provvedimento sanzionatorio veniva impugnato in secondo grado con il patrocinio dello scrivente legale, che si occupa da tempo di cause relative ai più svariati procedimenti disciplinari, tra cui quelli inerenti ai vari Ordini Professionali. Il Consiglio di Disciplina Territoriale per la condotta descritta riteneva applicabile gli articoli relativi alle violazioni deontologiche concernenti gli incarichi istituzionali, i rapporti con gli ordini, con i consigli di disciplina locali, con il consiglio nazionale e con i colleghi; il Collegio di primo grado, considerando che la violazione dell’art. 15 del codice deontologico comportasse l’applicazione della sanzione disciplinare dalla sospensione dell’esercizio della professione, ritenute assorbenti le sanzioni della censura per violazione dell’art, 28 e 29 e della sospensione fino a sei mesi, valutate le circostanze attenuanti, irrogava però il solo provvedimento di censura.
Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Commercialisti ed Esperti Contabili, confermava l’illegittimità paventata e accoglieva il ricorso con il provvedimento in commento n. 395/2024, il quale, a parere di chi scrive, toccava svariati tasti di particolare rilevanza di seguito trattati.
Da un lato, all’interno del provvedimento, si accennava al ruolo, non disarmato, che compete alla “minoranza” interna agli organi collegiali e consiliari e, dall’altro, tale ruolo viene riconnesso al potere di vigilanza che gli organi professionali, soprattutto nazionali, devono poter svolgere in virtù della loro funzione di autogoverno, con il fine di garantire la qualità delle attività svolte dai singoli professionisti e dagli organi costituiti al loro interno.
In generale, al fine di comporre le fila del Consiglio di un Ordine professionale, anche territoriale, o addivenire ad una carica al suo interno, quale quella di Presidente, bisogna venire eletti. Un candidato Presidente, come era l’incolpato, che non esce vittorioso dall’elezione ma diviene comunque Consigliere, per natura, è qualificabile come fautore della c.d. opposizione.
A tal proposito, la sentenza specifica che le segnalazioni all’Organo Nazionale sono “funzionali allo svolgimento della suddetta attività di vigilanza da parte degli Organi nazionali professionali” non facendo altro che ribadire una conquista della storia della democrazia che si esplica anche all’interno degli stessi Ordini.
La libertà di manifestazione di un pensiero fuori coro e la sua idoneitàad incidere in qualche modo in senso negativo su qualcuno o, come in tal caso, su qualcosa, si rivela dunque motivo di impulso, valutazione ed eventuale estrinsecazione di un potere di controllo legislativamente previsto.
È evidente che con tale dispositivo in diritto si arrivi non solo a legittimare, ma ad esaltare la manifestazione del dissenso e la critica politica, sempre che non sia contrastante con i canoni deontologici professionali o trasmodi in aggressione.
Difatti, tra le competenze del Consiglio Nazionale dell’Ordine rientra il dover vigilare sul regolare funzionamento dei Consigli dell'Ordine, compito che non potrebbe mai essere assolto qualora non si desse la possibilità ai singoli componenti, che ne sono direttamente coinvolti, di esporre gli eventuali sintomi di malamministrazione. Reprimendo una siffatta possibilità di dialettica sarebbe davvero complicato svolgere un corretto vaglio sull’operato di tutte le sue articolazioni decentrate territorialmente.
Per tale motivo, interpretando il dictum della sentenza, la critica effettuata tramite segnalazioni a organi che siano supervisori ex lege, diviene non solo assolutamente legittima e non costituente alcun ostacolo, ma addirittura direttamente funzionale e propulsiva del potere di vigilanza.
La prospettiva predisposta dalla sentenza, a parere di chi scrive, fa riferimento a una garanzia di maggiore costanza e prossimità dell’attenzione che il Consiglio Nazionale riserva agli Organi collocati nel distretto, non solamente in un’ottica di mero controllo, nella sua accezione più stringente, ma di promozione e rideterminazione dell’efficienza.
In poche e semplici parole, le segnalazioni degli appartenenti all’Ordine, e maggior ragione quelle di un Consigliere, sarebbero utili anche a permettere l’attivazione di meccanismi idonei a prevenire o risolvere situazioni di disservizio e disfunzionalità.
Peraltro, emerge con tutta evidenza che nessun procedimento, soprattutto qualora incida su profili di responsabilità professionali e che abbia anche dei risvolti sanzionatori di non poco conto, quale quello disciplinare, può azionarsi o concludersi senza che sia sostenuto da elementi probatori e argomentazioni fattuali o giuridiche. Di talché è chiaro il valore dato all’assolvimento dell’onere della prova.
Anche volendo affievolire tale onere, sino a farlo regredire ad una mera presunzione e pericolo di danno, nell’ambito di una tale procedura disciplinare, deve essere valutata la rilevanza non solo dei fatti costituenti la mancanza deontologica, ma anche del pregiudizio e eventuale danno che i medesimi sono idonei ad arrecare.
Il TAR Lazio annulla il bando predisposto per l’accesso al corso di laurea magistrale di Psicologia: accertata la violazione dell’art. 4 della L. 264/99.
La legge n. 264 del 2 agosto 1999 individua la normativa in materia di accesso ai corsi universitari prevedendo che questi possano essere programmati sia a livello nazionale che locale.
In tale ultimo caso, tuttavia, il combinato disposto degli articoli 33 e 34 Cost. conferisce una specifica responsabilità al legislatore statale, “di cerniera”, ossia quella di predisporre precisi limiti alla libertà ordinamentale data alle università nel contingentare l’accesso alle prestazioni che offre.
Infatti, le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno, sì, il diritto di darsi ordinamenti autonomi ma sempre nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato in quanto "la scuola è aperta a tutti" e, infatti, si garantisce e riconosce ai "capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi" il diritto "di raggiungere i gradi più alti degli studi”.
La legge n. 264/99 specifica i vincoli imposti all'autonomia universitaria, relativi tanto all’organizzazione in senso stretto, quanto al vero e proprio diritto di accedere all'istruzione approntata dai diversi atenei.
Infatti, le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno, sì, il diritto di darsi ordinamenti autonomi ma sempre nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato in quanto "la scuola è aperta a tutti" e, infatti, si garantisce e riconosce ai "capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi" il diritto "di raggiungere i gradi più alti degli studi”.
La legge n. 264/99 specifica i vincoli imposti all'autonomia universitaria, relativi tanto all’organizzazione in senso stretto, quanto al vero e proprio diritto di accedere all'istruzione approntata dai diversi atenei.
Nel caso sottoposto al vaglio del Collegio la valutazione comparativa dei candidati avveniva in base al pregresso curriculum studiorum, nonché in relazione alla velocità di conseguimento della laurea triennale, risultando evidente che “che la tipologia di selezione messa in atto dall’Ateneo resistente non si inserisce in nessun modo nel paradigma legislativo, né può assumere alcuna rilevanza l’astratta ragionevolezza dei criteri che ne sono alla base alla luce dei principi costituzionali che presiedono all’attuazione del diritto allo studio.”
In merito - continua il Collegio - occorre ricordare, seguendo l’insegnamento della Corte costituzionale (sent. 27.11.1998, n. 383), che “Secondo la Costituzione, l'ordinamento della pubblica istruzione è […] unitario ma l'unità è assicurata, per il sistema scolastico in genere, da "norme generali" dettate dalla Repubblica; in specie, per il sistema universitario, in quanto costituito da "ordinamenti autonomi", da "limiti stabiliti dalle leggi dello Stato".
Gli "ordinamenti autonomi" delle università, cui la legge, secondo l'art. 33 della Costituzione, deve fare da cornice, non possono considerarsi soltanto sotto l'aspetto organizzativo interno, manifestantesi in amministrazione e in normazione statutaria e regolamentare. Per l'anzidetto rapporto di necessaria reciproca implicazione, l'organizzazione deve considerarsi anche sul suo lato funzionale esterno, coinvolgente i diritti e incidente su di essi. La necessità di leggi dello Stato, quali limiti dell'autonomia ordinamentale universitaria, vale pertanto sia per l'aspetto organizzativo, sia, a maggior ragione, per l'aspetto funzionale che coinvolge i diritti di accesso alle prestazioni. […]”
Accogliendo in parte qua il nostro ricorso, il TAR concludeva che, “l’autonomia universitaria non può porsi all’origine di fattispecie di corsi a numero programmato diverse da quelle consentite dalla legge, neppure essa può giustificare la previsione di modalità di accesso diverse a quelle legislativamente contemplate, che peraltro non si prestano, come sopra dimostrato, a nessun tipo di interpretazione atta a legittimare la selezione come operata dall’Ateneo resistente.”
Concorso docenti 2016: gli ammessi con riserva potranno stabilizzare la propria posizione professionale. Possibilità di stabilizzazione anche per coloro che hanno avuto la revoca del ruolo.
Il decreto Legge n. 71 del 31 maggio 2024, all’art.10, rubricato “Disposizioni in materia di reclutamento del personale docente per l’anno scolastico 2024/25”, è intervenuto sulle posizioni ancora pendenti dei docenti che avevano partecipato con riserva processuale al concorso ordinario del 2016.
La norma, nella sostanza, si pone la finalità di chiudere le posizioni dei docenti che hanno partecipato con riserva al concorso e che non sono ancora definite dinanzi al G.A., ma non solo.
Si tratta di docenti che hanno svolto tutte le prove concorsuali (preselettiva, scritta e orale), sono stati inseriti in graduatoria di merito, sono stati immessi in ruolo, hanno superato l’anno di prova e hanno svolto servizio in tale ruolo per almeno tre anni, tutto “con riserva”.
Tali docenti, in virtù della novazione normativa, saranno ammessi a partecipare ad un percorso universitario di 30 CFU, all’esito del quale, per effetto del conseguimento della specifica abilitazione, si vedranno sciolta ogni riserva pendente.
L’intervento normativo, tuttavia, va oltre e comprende anche i docenti che, nelle more, hanno subito la revoca della nomina in ruolo del contratto, ad esempio, a causa di una sentenza negativa emessa dal TAR o dal Consiglio di Stato.
A tali docenti sarà possibile stipulare contratti annuali su posti vacanti e disponibili già a partire dall’anno scolastico 2024/2025.
Durante tale annualità i docenti dovranno partecipare ai suddetti percorsi universitari all’esito dei quali conseguiranno l’abilitazione. Una volta conseguita l’abilitazione i docenti saranno immessi in ruolo con decorrenza giuridica ed economica dal 1° settembre 2025, mentre il mancato conseguimento dell'abilitazione entro il 30 giugno 2025 determinerà la cancellazione definitiva dalla relativa graduatoria di merito.
Titoli esteri: nuovi percorsi di specializzazione sul sostegno per porre rimedio ai ritardi del Ministero.
Con decreto legge n. 71 del 31 maggio 2024, G.U. n. 126, concernente “Disposizioni urgenti in materia di sport, di sostegno didattico agli alunni con disabilità e per il regolare avvio dell’anno scolastico 2024/2025 e in materia di Università e ricerca”, sono state introdotte alcune novità per i possessori di titoli conseguiti all’estero per l’insegnamento sul sostegno.
In particolare, con l’art. 7 è stato previsto che i docenti che, alla data del 1° giugno 2024 abbiano conseguito una qualifica professionale o un titolo di formazione all’estero, e siano in attesa di riconoscimento del titolo, oppure abbiano ancora pendente un contenzioso dinnanzi al Giudice amministrativo per la mancata tempestiva conclusione del suddetto procedimento, al fine di sanare tale situazione, possono iscriversi ai percorsi di formazione erogati dall’INDIRE.
Ciò significa che chi ha presentato da oltre quattro mesi domanda di riconoscimento dei propri titoli conseguiti all’estero o ha un ricorso pendente avverso il silenzio della P.A., potrà regolarizzare la validità del titolo partecipando a questi nuovi percorsi indetti dal Ministero; ciò a condizione che rinunci all’istanza di riconoscimento del titolo.
Il superamento dei percorsi di formazione determina il conseguimento di un titolo di specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità. Il docente, tuttavia, si potrà iscrivere unicamente al percorso relativo ad un solo grado di istruzione.
Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore di tale disposizione normativa, il Ministro dell’Istruzione e del Merito, di concerto con il Ministro dell’Università e della Ricerca, dovrà emanare i relativi decreti attuativi.
In poche e semplici parole, gli insegnanti, sebbene provvisti di tutti i requisiti necessari ai fini del riconoscimento dei titoli posseduto, a causa dell’inerzia della P.A., dovranno sobbarcarsi dei costi di un ulteriore percorso di formazione, con evidente aggravio della loro posizione, al fine di vedere conclusa, una volta per tutte, la vicenda.
Si auspica, comunque, che il Ministero rispetti il termine di sessanta giorni sopra menzionato per l’emanazione del decreto attuativo, in modo tale da consentire finalmente ai docenti di poter sciogliere ogni riserva, almeno per il prossimo a.a. 2025/2026. Lo studio valuterà eventuali ipotesi di contenzioso sulla base dei contenuti dei decreti attuativi.
Tale nuovo strumento messo a disposizione dal legislatore è altresì ancor più di interesse, se si considera che la questione del riconoscimento dei titoli esteri è ancora dibattuta, nonostante il noto intervento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 2022. È del 5 maggio 2024, difatti, l’ordinanza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, Sezione Quarta ter, che, rilevando questioni interpretative non risolte tra la normativa interna e la normativa europea, ha rimesso la risoluzione delle medesimealla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Sul riconoscimento dei titoli conseguiti all’estero, dunque, ci potrebbero essere ancora ulteriori mutamenti nel quadro interpretativo d’insieme. La vicenda, dopo anni e anni di contenziosi, non può dirsi ancora chiusa.
Di seguito si rimette la norma di cui trattasi:
“Art. 7
Percorsi di specializzazione per le attivita' di sostegno didattico agli alunni con disabilita' per i possessori di titolo conseguito all'estero, in attesa di riconoscimento
1. In sede di prima applicazione, coloro che, alla data di entrata in vigore del presente decreto, hanno conseguito, presso una universita' estera legalmente accreditata nel Paese di origine o altro organismo abilitato all'interno dello stesso, secondo specifiche disposizioni che certificano il possesso di una formazione professionale acquisita in maniera prevalente sul territorio dell'Unione europea, una qualifica professionale o un titolo di formazione di cui all'articolo 4, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, ammissibile in base ai criteri stabiliti dal decreto di cui al comma 3, e hanno pendente, oltre i termini di legge, il procedimento di riconoscimento del titolo di formazione ovvero hanno in essere un contenzioso amministrativo per mancata conclusione, entro i termini di legge, del procedimento possono iscriversi ai percorsi di formazione, riferiti a un solo grado di istruzione, attivati dall'INDIRE e definiti dal decreto di cui al comma 3, se, contestualmente all'iscrizione, presentano rinuncia ad ogni istanza di riconoscimento sul sostegno.
2. Con il superamento dei percorsi di formazione attivati ai sensi del presente articolo si consegue un solo titolo di specializzazione per le attivita' di sostegno didattico agli alunni con disabilita', relativo al grado di istruzione del percorso di formazione scelto.
3. Con decreto del Ministro dell'istruzione e del merito, di concerto con il Ministro dell' universita' e della ricerca, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono definiti i criteri di ammissibilita' dei titoli di cui al comma 1 e i corrispondenti requisiti di qualita', nonche' i contenuti formativi dei percorsi di cui al presente articolo, riferiti ai diversi gradi di istruzione e alle distinte tipologie dei medesimi titoli. Con il decreto di cui al presente comma sono definiti le modalita' di attivazione dei percorsi di cui al comma 1, i costi massimi, le modalita' e i termini di presentazione delle domande di partecipazione, l'esame finale dei percorsi e la composizione della commissione esaminatrice dell'esame finale, alla quale partecipa un rappresentante designato dall'Ufficio scolastico regionale scelto fra i dirigenti tecnici, scolastici o amministrativi nell'ambito dell'esercizio delle proprie funzioni. Gli oneri connessi all'attuazione del presente articolo sono a carico dei partecipanti.
4. All'attuazione del presente articolo si provvede con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.”
Concorso Dirigenti Scolastici: quesiti errati, riunione online venerdì alle ore 19.
In data 6 maggio 2024 si è svolta la prova scritta della procedura concorsuale riservata per l’ammissione al corso-concorso per i Dirigenti Scolastici, bandita con D.M. n. 107 dell’8 giugno 2023.
La procedura come noto, è stata bandita per porre rimedio al contenzioso generato a seguito delle irregolarità verificatesi nel concorso ordinario del 2017.
Il Legislatore ha riservato tale nuova procedura a coloro che, non avendo superato la prova scritta o la prova orale del concorso svoltosi nel 2017, avevano impugnato gli atti di esclusione e che avevano un ricorso pendente alla data di entrata in vigore della “sanatoria”.
Ebbene, dopo l’espletamento della prova scritta del nuovo corso-concorso, svoltasi il 6 maggio, le notizie che giungono lasciano forti dubbi sulla regolarità della procedura.
Numerose sono le segnalazioni che giungono allo Studio Legale rispetto a quanto accaduto durante il concorso. Oltre alle condizioni inappropriate delle aule e le lunghe attese, emerge un dato ancora più preoccupante, ovverosia la presenza di quesiti errati e una procedura di somministrazione non in linea con le indicazioni fornite dal Ministero ai candidati.
Le criticità si sono registrate anche nella fase finale della prova.
I candidati, difatti, avrebbero dovuto conoscere immediatamente l’esito della loro prova, tuttavia tale dato è stato diffuso soltanto in un secondo momento, generando nei docenti uno stato di sfiducia e incredulità.
Quella che doveva essere una giornata di riscatto per circa 2000 professori che hanno subita gravi illegittimità nel concorso del 2017, è stata macchiata da un problematiche che hanno riguardato sia la formulazione dei quesiti che la gestione dell’intera procedura di svolgimento della prova.
Per tali ragioni, stiamo procedendo ad effettuare istanze di accesso agli atti per tutti i candidati che si rivolgono al nostro Studio Legale, al fine di garantire chiarezza e trasparenza relativamente alla prova e alla procedura.
Vi informiamo, altresì, che il nostro Studio Legale sta programmando una riunione online, aperta a tutti gli interessati, per discutere di quanto accaduto e rispondere in modo accurato a tutte le Vostre domande.
Vi invitiamo altresì a contattare lo Studio al fine di meglio comprendere le azioni (stragiudiziali o giudiziali) esperibili a tutela della Vostra posizione specifica ed individuale.
Quanto predetto rileva per i candidati esclusi, ma anche per gli ammessi che sostengono la prova finale previo inserimento in un elenco graduato sulla base del punteggio ottenuto nella prova di accesso al corso intensivo di formazione, dei titoli valutabili posseduti alla data del 29 dicembre 2017, e dei titoli di precedenza.