Pubblicato in Editoriale

Vizio dell’anonimato: il peccato originario

Correva l’anno 2007 ed in un test, molto similare a quello attuale, venivano adottate modalità di svolgimento della prova non sufficienti a garantire l’anonimato.

Nel test del 2007, pregno di brogli e procedimenti penali riuniti dalla Procura di Roma per le varie sedi universitarie della Repubblica, il problema nasceva dalla presenza all’interno della scheda anagrafica, oltre al nome e cognome del candidato, di un codice alfanumerico posto immediatamente sotto il codice a barre.

L’alto Commissario per l’Anticorruzione propose così l’eliminazione di detto codice: levando quella semplice riga dal test l’anonimato non sarebbe più stato leso. Come del resto accade in quasi tutti gli altri concorsi pubblici le cui prove preselettive iniziano col test.

Il codice a barre, infatti, rimane comunque leggibile, nel senso che dalla lettura ottica si evince proprio il codice segreto; basta un qualsiasi smartphone dotato di un’applicazione gratuita scaricabile da Google per leggere tali codici; proprio come accade quando si fa la spesa in un supermercato: su ogni prodotto vi è un codice a barre senza un “numero segreto”.

E, allora, per quale motivo con il rischio di perdere oltre 2000 ricorsi dopo la nota Adunanza Plenaria (Cons. Stato Ad. Plen. 20 novembre 2013 n. 26-27-28) il Ministero persevera nella scelta di mantenere il codice segreto? Si tratta, forse, di una scelta politica? Di un sintomo dell’inefficienza della Pubblica Amministrazione o semplicemente siamo dinanzi a colpa grave, o addirittura malafede e dolo come alcuni pensano?

Del resto i fatti di Tor Vergata del 2007 ci misero di fronte per la prima volta non all’astratta potenzialità della fuga di notizie e della lesione dell’anonimato nei concorsi universitari, ma all’effettiva “prova provata” della manomissione dei compiti di circa il 50% dei candidati, presumibilmente individuati proprio grazie a quel codice alfanumerico presente dalla stessa istituzione del test.

E così, dopo 7 anni dal 2007, si ritorna di nuovo al TAR del Lazio con gli stessi principi di diritto violati e con la stessa vicenda su Tor Vergata dove pare che quasi il 50% dei compiti possa essere stato alterato dal solito mercato parallelo delle scuole private che indirizzano i propri adepti sempre in determinati Atenei.

Ma cosa è successo di tanto grave da indurre il TAR del Lazio ad accogliere oltre 2000 ricorsi? E’ stata solo l’Adunanza Plenaria, tra l’altro già presente dallo scorso anno? Ad avviso del TAR il vizio dell’anonimato rileva a maggior ragione nell’anno accademico corrente in cui non un questionario è stato trafugato a Bari, ma ben quattro, oltre uno all’Università Bicocca di Milano.

In una prova nazionale con 60 domande uguali su tutto il territorio i plichi sottratti non possono non collegarsi con il vizio dell’anonimato.

Appare, dunque, ormai irrilevante che i plichi siano stati sottratti al Cineca, alla caserma dei Carabinieri, nel tragitto dalla caserma all’Ateneo o poco prima dell’arrivo in Ateneo.

E’ la stessa struttura del test con il codice alfanumerico ed il nome e cognome che rende, da un lato, trasmettibili le risposte e, dall’altro, identificabili determinati candidati da favorire. E se il tutto è condito con la Carta d’Identità in bella vista sul tavolo accanto al codice segreto, sembra evidente come al TAR del Lazio non sia rimasta altra scelta che l’accoglimento dei ricorsi; scelta coraggiosa che prende atto di diritti costituzionali calpestati e non annulla un concorso viziato, evitando un danno erariale allo Stato di natura risarcitoria ed economica (Vedi http://www.avvocatomichelebonetti.it/index.php/primo-piano/item/849-test-di-medicina-studenti-riammessi-e-universit%C3%A0-di-messina-condannata-a-risarcire-quasi-20000-euro-a-candidato ).

A ciò serviranno le ammissioni soprannumerarie: ad evitare, in un periodo di crisi non solo economica del Paese, l’annullamento di un concorso palesemente viziato dove, da un lato è sceso drasticamente il punteggio per l’accesso alla facoltà di Medicina, dall’altro il punteggio dei candidati pugliesi ha conosciuto un notevole incremento.

Nelle prime cento posizioni vi sono ben sei studenti che hanno sostenuto la prova a Bari (dove lo scorso anno uno studente si era collocato al 116° posto); il più bravo studente d’Italia ha sostenuto il test alla Statale di Torino ma dopo di lui i due “campioni” del test sono entrambi pugliesi.

Per la prima volta i risultati di Bari, all’interno di una graduatoria nazionale, superano quelli dell’Ateneo più grande d’Europa, con il maggior numero di posti a disposizione e con più concorrenti: La Sapienza di Roma che ha punteggi inferiori rispetto ai baresi.

Bari per poco non eguaglia Milano dove, a sua volta, pare sia scomparso un altro plico; raddoppia e triplica città del sud come Palermo e, a nostro avviso, quello che sino ad oggi è emerso è soltanto la punta dell’iceberg.

Le università ed il Ministero la finiscano di trincerarsi dietro l’attesa delle indagini e colgano l’occasione che oggi viene offerta dall’accoglimento delle richieste di questi ragazzi.

Nello stesso ateneo di Bari vi potrebbero essere forse dei disagi a causa dei nostri 700 ricorrenti che, a parità di strutture, verseranno comunque alcuni milioni di euro nelle casse dell’Ateneo.

Nella denunciata mala gestio concorsuale italiana, dove gli Atenei in una prova nazionale provvedono a gestire in modo diverso le prove, l’ammissione sovrannumeraria, in assenza del principio della legalità e del merito, appare veramente il minimo che potesse accadere.

                                                                                                                                                                                                                            Avv. Michele Bonetti

Ultima modifica il 29 Aprile 2017