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Bocciatura illegittima in mancanza di valutazione del contesto psicologico ed ambientale del ragazzo sottoposto a maltrattamenti a scuola: la nuova sentenza del Consiglio di Stato.
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Con il provvedimento n. 2423/2020 del 15.04.2020 il Giudice amministrativo d’appello torna ad occuparsi di un contenzioso afferente alla mancata ammissione di un alunno alla seconda classe della scuola secondaria di secondo grado. Trattasi, come noto, di situazioni sempre più frequentemente rimesse alla giustizia amministrativa e che richiedono uno scrutinio approfondito quanto lungimirante laddove rilevano irregolarità macroscopiche nell’applicazione della normativa vigente (a tal proposito si veda l’approfondimento reperibile al presente link) o soprattutto si fanno portavoce di un malessere, un turbamento dell’alunno, come avvenuto nel caso in argomento.

La situazione sottoposta al giudice, difatti, non atteneva unicamente alla bontà della valutazione operata dagli insegnanti, bensì si incardinava in un contesto ben più peculiare, contraddistinto, in base ai rilievi forniti dai genitori, da presunti reiterati maltrattamenti perpetrati da un professore a danno degli alunni. In considerazione degli stessi, i quali inevitabilmente si erano ripercossi negativamente sulla resa scolastica del ricorrente, i genitori avevano adito il TAR Basilicata chiedendo l’annullamento dei provvedimenti del Consiglio di classe che, tralasciando ogni valutazione sulla condotta del docente, si erano limitati a calcolare la media aritmetica dei voti del ragazzo senza considerare le variabili personali, temporali ed ambientali, e conseguentemente ne avevano disposto la bocciatura.

Il giudice di primo grado investito, però, aveva respinto le doglianze del ricorrente facendo leva sul rendimento scolastico insufficiente. Non veniva dunque presa in esame la peculiare situazione dell’alunno, le sevizie eventualmente subite e lo stato psicologico con cui lo stesso si sarebbe approcciato alla scuola proprio a seguito di quanto accaduto tra le mura dell’istituto. Anzi, tale situazione specifica passava del tutto in secondo piano, surclassata dalle risultanze del Consiglio di classe.

Secondo il TAR, la mera media aritmetica, oggettiva ed indefettibile, era l’unico dato rilevante ai fini della promozione o bocciatura dell’alunno, senza che le altre componenti psicologiche o ambientali potessero in alcun modo influire sulle prospettive future del ragazzo.

Avverso la sentenza di rigetto del giudice di prime cure si è adito il Consiglio di Stato che, con la pronuncia in argomento, ha ribaltato il punto di vista del TAR accordando al discente piena tutela.

Il giudice d’appello, difatti, ha preso le mosse proprio dalla situazione di turbamento e disagio paventata dal ricorrente e, anche in considerazione della denuncia querela formulata dai genitori e del successivo avviso di conclusione delle indagini preliminari (in base al quale il Tribunale di Matera ha proceduto nei confronti del professore per il delitto di cui agli arti. 81 cpv. e 572 c.p.), ha disposto un approfondimento istruttorio circa la consistenza dei fatti addebitati al docente.

Le vicissitudini richiamate all’interno della querela, invero, attenevano a condotte del professore particolarmente gravi, come punizioni fisiche agli alunni, reiterate mortificazioni degli stessi anche innanzi all’intera classe e addirittura episodi di maltrattamenti che terminavano con danni fisici ai ragazzi. Fatti che, laddove dovessero essere veritieri, non potrebbero non aver modificato, distorto, la percezione dell’adolescente sulla scuola, facendone plausibilmente un luogo di sofferenza e turbamento anziché uno di comprensione e formazione.

Non può tacersi, quindi, la portata degli episodi in trattazione che, in antitesi ai plurimi interventi di sensibilizzazione contro il bullismo ed il cyber bullismo dilagante negli istituti di istruzione, potrebbe aver costituito uno strumento di vero e proprio bullismo dell’insegnante sull’alunno.

Ebbene il giudice d’appello, sensibile ad una situazione tanto delicata, e nell’intento di approfondire quanto più possibile la veridicità degli episodi di maltrattamenti subiti dal ricorrente, disponeva un’ampia istruttoria, raccomandando all’amministrazione di fornire ogni elemento utile per chiarire i fatti ed altresì, d’ufficio, l'acquisizione di informazioni e documenti utili ai fini del decidere che fossero nella disponibilità della pubblica amministrazione.

A differenza di quanto avvenuto in primo grado, quindi, veniva accordata un’importanza imprescindibile alla situazione specifica patita dall’alunno, su cui si chiedeva all’amministrazione di approfondire.

Se il TAR si era dimostrato sordo alla contestualizzazione della resa scolastica del ragazzo, come inevitabilmente influenzata dalle vicissitudini evidenziate, il Consiglio di Stato si è invece concentrato proprio su di esse, manifestando una preoccupazione viva, umana, su quanto accaduto tra le mura scolastiche.

E proprio l’inerzia immotivata dell’amministrazione sulle richieste del Consesso è posta a fondamento della decisione d’appello. Il significativo inadempimento processuale perpetrato dalla PA, difatti, è stato valutato ai sensi dell’art. 64 cpa, sia in ottemperanza al principio di non contestazione sia in termini di contegno della parte processuale. Va da sé evidentemente che, in mancanza di depositi in grado di smontare la tesi del ricorrente, debba presumersi l’inesistenza stessa di documenti, dati, informazioni che possano controbattere alle doglianze dell’alunno, soprattutto in considerazione del fatto che l’omesso deposito non è in alcun modo motivato dall’amministrazione.

L’inerzia immotivata su rilievi irrinunciabili ai fini della definizione del contenzioso, ha condotto all’accoglimento dell’appello con conseguente ammissione dell’alunno alla classe successiva.

Ancora una volta il Consiglio di Stato manifesta il proprio orientamento a garanzia dei singoli, confermando la preoccupazione ad emettere pronunce che siano il risultato di uno scrutinio rigoroso ed approfondito, di una visione d’insieme a 360 gradi atta a valutare tutte le componenti del contenzioso e ad accordare tutela a coloro i quali sono lesi da operatori che, in spregio ai principi posti a fondamento dell’attività amministrativa, abusano dei poteri loro forniti.

Ciò emerge a maggior ragione nel nostro caso, ove trattasi di ragazzi in erba, individui alla scoperta della propria identità e del proprio futuro, lesi proprio nel luogo preposto alla loro cura e formazione.

Senza interventi giurisprudenziali quali quello in esame gli alunni farebbero le spese di un sistema inefficiente, della carenza nei controlli, della condotta abusiva di alcuni individui. Si possono forse comprendere in tal senso le posizioni di coloro che premono per la fruizione ordinaria della didattica online, strumento oggi posto al centro dell’attenzione in virtù dell’emergenza pandemica, ma anche protagonista di un ampio dibattito sul futuro dell’insegnamento, le cui sorti sono immancabilmente legate alla propria duttilità al cambiamento secondo seri correttivi.