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L’accertamento dell’idoneità fisica dell’insegnante può essere avviato prima del superamento dell’anno di prova.
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Il Tribunale Ordinario di Lanciano, in veste del Giudice del Lavoro, ha dichiarato illegittimo il licenziamento disciplinare dell’insegnante per essere rimasta assente dall’attività di lavoro stante l’inidoneità lavorativa. In esecuzione della sentenza ad oggi la nostra ricorrente non solo è stata sottoposta a nuova visita medica collegiale con esito positivo, ma ha ottenuto la reintegra sul posto di lavoro e l’assegnazione alle differenti mansioni amministrative sino a nuovo accertamento medico.

La ricorrente dopo aver sottoscritto il contratto di assunzione a tempo indeterminato ed essere stata sottoposta a visita di accertamento medica veniva assegnata a mansioni alternative per due anni. Allo scadere del periodo indicato dalla Commissione medica, nonostante le numerose richieste, la dirigente scolastica reputava di non dover richiedere nuovo accertamento medico e chiedeva la prestazione lavorativa all’insegnate nonostante la non verifica delle idoneità fisica e nonostante le note condizioni di salute della stessa. L’insegnante veniva licenziata per non aver prestato servizio.

In giudizio il Ministero difendeva l’operato del Dirigente scolastico in forza del dato letterale dell’articolo 3 del DPR 171/2011 e di precedenti giurisprudenziali, secondo cui la verifica dell’idoneità al servizio può essere attivata solo al termine del superamento del periodo di prova; per il Ministero quindi non sussisteva alcun obbligo per il dirigente scolastico di recepire le istanze avanzate dall’insegnante, ossia di procedere al giudizio di revisione della inidoneità della predetta.

Il Giudice del Lavoro di Lanciano accogliendo la tesi del nostro studio legale proponeva una interpretazione sistematica della richiamata disposizione: “a fronte di tale argomento testuale ben possono opporsi, però, alcune considerazioni derivanti da una lettura sistematica della normativa in questione con le altre preesistenti e sopravvenute. Invero, nonostante l’art 3 citato preveda un obbligo per il datore di lavoro di avviare la procedura di accertamento dell’inidoneità del dipendente che abbia superato il periodo di prova, esso non prevede contestualmente un divieto di avviare tale procedura per i lavoratori che tale periodo non abbiano compiuto. Ne discende che per tali lavoratori il datore di lavoro ha sicuramente facoltà di avviare siffatto accertamento, come del resto è stato fatto, nel caso di specie, sia nel 2017 che nel 2018, dai precedenti dirigenti scolastici”.

Ed ancora si legge nella decisione: “Peraltro, la normativa richiamata dal Ministero resistente a sostegno della propria tesi deve necessariamente armonizzarsi con il principio fondamentale sancito dall’art. 2087 (esteso alle pubbliche amministrazioni dall’art. 2093 c.c.) per cui il datore di lavoro, pubblico o privato, deve adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità psicofisica dei dipendenti. Le stesse considerazioni devono svolgersi in relazione alla possibilità di proroga del periodo di prova, che deve ritenersi consentita al dirigente scolastico sia in base al disposto dell’art. 438 D.Lvo 297/94, sia in forza dei pregressi provvedimenti adottati dai dirigenti scolastici che l’avevano preceduta, che in considerazione delle persistenti condizioni di salute della ricorrente”.

Il comportamento tenuto dal dirigente scolastico, a detta del Giudice del Lavoro, non può che configurare un vero e proprio inadempimento ai doveri di verifica ed accertamento delle condizioni di salute di parte ricorrente.

L’accertamento dell’idoneità fisica dell’insegnante può essere avviato prima del superamento dell’anno di prova.
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Il Tribunale Ordinario di Lanciano, in veste del Giudice del Lavoro, ha dichiarato illegittimo il licenziamento disciplinare dell’insegnante per essere rimasta assente dall’attività di lavoro stante l’inidoneità lavorativa. In esecuzione della sentenza ad oggi la nostra ricorrente non solo è stata sottoposta a nuova visita medica collegiale con esito positivo, ma ha ottenuto la reintegra sul posto di lavoro e l’assegnazione alle differenti mansioni amministrative sino a nuovo accertamento medico.

La ricorrente dopo aver sottoscritto il contratto di assunzione a tempo indeterminato ed essere stata sottoposta a visita di accertamento medica veniva assegnata a mansioni alternative per due anni. Allo scadere del periodo indicato dalla Commissione medica, nonostante le numerose richieste, la dirigente scolastica reputava di non dover richiedere nuovo accertamento medico e chiedeva la prestazione lavorativa all’insegnate nonostante la non verifica delle idoneità fisica e nonostante le note condizioni di salute della stessa. L’insegnante veniva licenziata per non aver prestato servizio.

In giudizio il Ministero difendeva l’operato del Dirigente scolastico in forza del dato letterale dell’articolo 3 del DPR 171/2011 e di precedenti giurisprudenziali, secondo cui la verifica dell’idoneità al servizio può essere attivata solo al termine del superamento del periodo di prova; per il Ministero quindi non sussisteva alcun obbligo per il dirigente scolastico di recepire le istanze avanzate dall’insegnante, ossia di procedere al giudizio di revisione della inidoneità della predetta.

Il Giudice del Lavoro di Lanciano accogliendo la tesi del nostro studio legale proponeva una interpretazione sistematica della richiamata disposizione: “a fronte di tale argomento testuale ben possono opporsi, però, alcune considerazioni derivanti da una lettura sistematica della normativa in questione con le altre preesistenti e sopravvenute. Invero, nonostante l’art 3 citato preveda un obbligo per il datore di lavoro di avviare la procedura di accertamento dell’inidoneità del dipendente che abbia superato il periodo di prova, esso non prevede contestualmente un divieto di avviare tale procedura per i lavoratori che tale periodo non abbiano compiuto. Ne discende che per tali lavoratori il datore di lavoro ha sicuramente facoltà di avviare siffatto accertamento, come del resto è stato fatto, nel caso di specie, sia nel 2017 che nel 2018, dai precedenti dirigenti scolastici”.

Ed ancora si legge nella decisione: “Peraltro, la normativa richiamata dal Ministero resistente a sostegno della propria tesi deve necessariamente armonizzarsi con il principio fondamentale sancito dall’art. 2087 (esteso alle pubbliche amministrazioni dall’art. 2093 c.c.) per cui il datore di lavoro, pubblico o privato, deve adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità psicofisica dei dipendenti. Le stesse considerazioni devono svolgersi in relazione alla possibilità di proroga del periodo di prova, che deve ritenersi consentita al dirigente scolastico sia in base al disposto dell’art. 438 D.Lvo 297/94, sia in forza dei pregressi provvedimenti adottati dai dirigenti scolastici che l’avevano preceduta, che in considerazione delle persistenti condizioni di salute della ricorrente”.

Il comportamento tenuto dal dirigente scolastico, a detta del Giudice del Lavoro, non può che configurare un vero e proprio inadempimento ai doveri di verifica ed accertamento delle condizioni di salute di parte ricorrente.

TAR Lazio: sussiste il diritto all’accesso di esposti alla base di attività di indagine della P.A.
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Con sentenza del 16 maggio 2022, la sez. V del TAR del Lazio si è pronunciata su un ricorso, patrocinato dallo studio legale Bonetti & Delia, volto all’annullamentodel diniego di ostensione opposto dall’Amministrazione all’istanza di accesso agli atti formulata da un privato ai sensi dell’art. 22 e ss. della L. n. 241 del 1990.

La vicenda traeva origine da un procedimento di restituzione di somme asseritamente percepita a titolo di indebito da parte del cittadino. L’Amministrazione evadeva una prima istanza di accesso agli atti formulata dal cittadino e dall’analisi della documentazione fornita emergeva come l’indagine istruttoria a carico del privato fosse stata avviata dalla P.A. soltanto a seguito di una segnalazione anonima.

Pertanto, il cittadino inoltrava un’ulteriore istanza di accesso agli atti al fine di conoscere tale segnalazione, costituendo la stessa presupposto logico e giuridico della richiesta di restituzione delle somme richieste.

L’Amministrazione non consentiva l’accesso a quanto richiesto, in quanto non riteneva sussistente un interesse diretto, attuale e concreto all’accesso dei documenti, avendo l’interessato, sia con diverse note difensive sia con autonomo ricorso al TAR con cui veniva impugnata la richiesta restitutoria, dimostrato di essere in piena cognizione delle motivazioni sulla base delle quali si procedeva alla revisione delle somme erogate.

Il privato cittadino adiva così il TAR del Lazio, lamentando l’impossibilità di far valere le proprie ragioni in contraddittorio senza la piena conoscenza di tutti gli atti in possesso dell’Amministrazione, con ciò subendo una lesione del proprio diritto di difesa costituzionalmente garantito.

L’Amministrazione, dall’altro lato, insisteva sul difetto di interesse del ricorrente all’accesso poiché la segnalazione anonima si configurava come elemento fattuale esterno al procedimento, risultando del tutto irrilevante conoscerne l’esistenza (Cons. Stato, Sez. III, n. 1717/2021).

Ebbene il TAR del Lazio ha accolto il ricorso patrocinato dallo studio Bonetti & Delia, ordinando l’ostensione della segnalazione anonima.

Nel percorso logico-giuridico operato dal Giudice Amministrativo, si è partiti dal principio, più volte sancito dal Consiglio di Stato, secondo cui la legittimazione all’accesso “ha consistenza autonoma, indifferente allo scopo ultimo per cui viene esercitata, sicché, una volta accertato il collegamento tra l'interesse e il documento, ogni ulteriore indagine sull'utilità ed efficacia del documento stesso in prospettiva di tutela giurisdizionale ovvero sull'esistenza di altri strumenti di tutela eventualmente utilizzabili è del tutto ultronea” (Cons. Stato, Sez. V, 9 marzo 2020, n. 1664).

Alla luce di tale principio, il TAR del Lazio riteneva che le finalità difensive addotte dal ricorrente fossero meritevoli di tutela, in quanto la conoscenza del contenuto della segnalazione anonima poteva rivelarsi utile per valutare l’attendibilità e la coerenza di quanto richiesto dall’Amministrazione.

Né d’altronde la pendenza dell’autonomo giudizio, mediante cui il ricorrente impugnava la richiesta restitutoria sempre dinanzi al TAR, poteva essere addotto quale motivo per negare l’accesso. Sul punto, ribadendo quanto sancito dall’Adunanza Plenaria n. 4/2011, il Collegio del TAR del Lazio precisava che“la pubblica amministrazione detentrice del documento e il giudice amministrativo adito nel giudizio di accesso ai sensi dell’art. 116 c.p.a. non devono svolgere ex ante alcuna ultronea valutazione sull’influenza o sulla decisività del documento richiesto nell’eventuale giudizio instaurato, poiché un simile apprezzamento compete, se del caso, solo all’autorità giudiziaria investita della questione e non certo alla pubblica amministrazione detentrice del documento o al giudice amministrativo nel giudizio sull’accesso, salvo il caso di una evidente, assoluta, mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze difensive e, quindi, in ipotesi di esercizio pretestuoso o temerario dell’accesso difensivo stesso per la radicale assenza dei presupposti legittimanti previsti dalla l. n. 241 del 1990”.

Solamente in particolari ipotesi in cui il denunciante potrebbe essere esposto, in ragioni dei rapporti con il denunciato, ad azioni discriminatorie o indebite pressioni, il principio di trasparenza deve ritenersi soccombente rispetto a quello alla riservatezza, ipotesi non ravvisabile, secondo il TAR, nel caso di specie.

In conclusione il TAR del Lazio, annullando il diniego all’accesso, si pronunciava conformemente alla giurisprudenza amministrativa che ritiene che“nell’ambito di un procedimento ispettivo, o comunque di controllo, al privato è riconosciuta la titolarità di un interesse qualificato a conoscere i documenti utilizzati per l’iniziativa di vigilanza che lo riguarda, inclusi gli esposti o denunce suscettibili, per la loro valenza probatoria, di concorrere all’accertamento di fatti pregiudizievoli per il denunciato” (ex multis cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. II-ter, 26 maggio 2020. n. 5955; TAR Toscana, Sez. I, 3 luglio 2017, n. 898; TAR. Lombardia, Brescia, Sez. I, 12 luglio 2016, n. 980; TAR Lazio, Roma, Sez. III, 1 giugno 2011, n. 4989; Cons. Stato, Sez. V, 19 maggio 2009, n. 3081).

 

Il Tar del Lazio accoglie le tesi del militare in materia di sanzioni disciplinari e detta i criteri da applicarsi per l’irrogazione delle stesse
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Con ricorso depositato, dallo studio Bonetti – Delia & Partners, innanzi il TAR Lazio, sede di Roma, si impugnava l’irrogazione della sanzione disciplinare di tre giorni di consegna per il militare per la presunta violazione dell’articolo 1517 del Codice dell’Ordinamento Militare (COM).

Il TAR adito motiva l’annullamento della sanzione impugnata ripercorrendo i criteri che l’Amministrazione deve adottare in materia disciplinare.

In primis il ricorrente deduceva la violazione del principio di tempestività dell’azione amministrativa.

L’articolo 1398 cod. ord. mil. stabilisce che “Il procedimento disciplinare deve essere instaurato senza ritardo (...) a) dalla conoscenza dell’infrazione (...)”.

Il Collegio precisa che “La concreta portata della locuzione “senza ritardo” è stata chiarita dalla giurisprudenza, la quale ha avuto modo di affermare che il lasso di tempo intercorrente tra il fatto e la contestazione deve essere valutato in concreto, tenuto conto degli elementi caratterizzanti le singole fattispecie, nel rispetto della regola di ragionevole prontezza nella contestazione degli addebiti, da valutarsi in relazione alla gravità della violazione e complessità degli accertamenti preliminari e dell’intera procedura (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 20 febbraio 2020, n. 1296). Tale N. 02838/2021 REG.RIC. regola “postula il contemperamento dell’esigenza dell’Amministrazione ‘di valutare con ponderazione il comportamento dell’incolpato sotto il profilo disciplinare’ con quella di evitare che ‘un’eccessiva distanza di tempo dai fatti possa rendere più difficile per l’inquisito l’esercizio del diritto di difesa’ (Cons. Stato, sez. IV, 26 marzo 2010, n. 1779)” (così Cons. Stato, Sez. II, 12 ottobre 2020 n. 6058)”.

Per giustificare l’apertura del procedimento disciplinare dopo un lungo lasso temporale l’Amministrazione avrebbe avuto l’onere di indicare il momento in cui ha conosciuto il comportamento ascritto al ricorrente, ma nel caso analizzato è stato provato come la conoscenza dello stesso è stata immediata e quindi alcuna giustificazione può esserci nel lungo lasso temporale decorso: “D’altro canto, i principi posti a fondamento delle discipline sanzionatorie, penale e disciplinare, poggiano anche sulla valutazione del fattore temporale: maggiore è la distanza tra il fatto contestato e l’irrogazione della sanzione, meno incisiva sarà la valenza della stessa, sia dal punto di vista dell’autore del fatto che dei consociati, con affievolimento delle finalità special-preventive e general-preventive che le sanzioni mirano a perseguire”.

Anche le ulteriori censure inerenti il procedimento posto in essere dall’Amministrazione sono state accolte dal TAR Lazio che ha statuito non solo che la sanzione disciplinare irrogata fosse sproporzionata, ma che l’Amministrazione nell’applicazione dell’istituto c.d. della recidiva (facendo riferimento alla sanzione del rimprovero irrogata nell’anno 2015) non abbia agito legittimamente omettendo addirittura di considerare l’ottimo comportamento tenuto dal militare nel decorso del tempo; l’applicazione dell’istituto della recidiva non deve essere automatica, ma deve contemperare il caso concreto.

Tanto si legge nella motivazione della decisione.

Secondo l’avviso del Collegio, la motivazione sopra richiamata non può ritenersi adeguata, in quanto l’Amministrazione ha omesso di approfondire le specifiche circostanze della condotta del ricorrente, valorizzando il profilo della sola ritenuta violazione formale, il quale non appare di per sé sufficiente a giustificare la N. 02838/2021 REG.RIC. sanzione irrogata. 7.3. Un ulteriore profilo di difetto di istruttoria e di motivazione emerge con riguardo al profilo della ritenuta recidiva rispetto a un precedente episodio analogo, sanzionato nel 2015 con il rimprovero. 7.3.1. Al riguardo, occorre rilevare che l’articolo 1355, comma 3, lett. d), prevede che siano punite con maggior rigore le infrazioni ricorrenti con carattere di recidività e che l’articolo 1361, comma 1, lett. b), contempla effettivamente la sanzione della consegna in caso di recidiva nelle mancanze già sanzionate con il rimprovero.

Occorre tuttavia osservare che l’applicazione delle disposizioni in tema di recidiva non deve avvenire in modo meccanico, irrogando automaticamente la sanzione della consegna in qualunque caso di reiterazione di un comportamento precedentemente punito con il rimprovero, in quanto l’Amministrazione non può esimersi dalla considerazione delle circostanze del caso concreto.

Nella fattispecie in esame, l’Amministrazione avrebbe dovuto valutare attentamente se ritenere sussistente in punto di fatto una “infrazione ricorrente con carattere di recidività”, ai sensi dell’articolo 1355, comma 1, lett. d), considerando che il secondo comportamento censurato risale a circa tre anni dopo il primo, che la nuova sanzione è stata irrogata a cinque anni di distanza dalla prima e che, nel frattempo, il ricorrente – secondo quanto dallo stesso affermato e non contestato dall’Amministrazione – ha chiesto e ottenuto più volte l’autorizzazione per lo svolgimento di analoghe esibizioni; circostanze, queste, che non risultano essere state prese in considerazione”.

La sentenza ottenuta ripercorrendo i precedenti giurisprudenziali in materia, riporta i principi cardini in materia di procedimenti disciplinari che non possono essere disattesi neanche dall’Amministrazione e soprattutto quando ad un ufficiale viene irrogata una delle più gravi sanzioni di corpo che ne ha inficiato addirittura la credibilità nei confronti dei superiori e dei sottoposti.

IL CONSIGLIO DI STATO ACCOGLIE IL RICORSO IN APPELLO E CONDANNA IL MINISTERO A SVELARE I DOCUMENTI SUL CONCORSO TEST DI MEDICINA
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Il T.A.R. Lazio si è pronunciato in merito ai quiz somministrati ai 60.000 aspiranti ai corsi di Medicina e Odontoiatria del settembre 2021 statuendone la correttezza. Pertanto gli appellanti agivano in giudizio contro il MUR per l’accesso ai documenti relativi ai procedimenti di determinazione dell’offerta normativa al predetto corso di laurea.

Il giudice di prime cure si pronunciava negativamente in merito alla richiesta di ostensione avanzata dagli allora ricorrenti fondando la propria statuizione sulla mancata dimostrazione del «nesso di “strumentalità” necessario affinché si configuri l’interesse conoscitivo che sta alla base degli artt. 22 e ss. L. n. 241/1990»; più nello specifico, ad avviso del giudice amministrativo non era evincibile «la necessaria corrispondenza» tra l’«ampia documentazione richiesta» e l’«esigenza difensiva» ad essa relativa, prospettata dai ricorrenti in modo generico». In riferimento al citato “nesso di strumentalità” v’è da considerare che debba accettarsi una nozione ampia di strumentalità, volta alla finalizzazione della domanda ostensiva alla cura di un interesse diretto, concreto, attuale e non meramente emulativo o potenziale, connesso alla disponibilità dell'atto o del documento del quale si richiede l'accesso, non imponendosi che l'accesso al documento sia unicamente e necessariamente strumentale all'esercizio del diritto di difesa in giudizio, ma ammettendo che la richiamata "strumentalità" va intesa in senso ampio in termini di utilità per la difesa di un interesse giuridicamente rilevante.

Ebbene, i Giudici di Palazzo Spada, nella sentenza di accoglimento, riconoscono la circostanza secondo la quale i ricorrenti avevano esposto chiaramente il loro interesse alla loro istanza di accesso. Invero i giudici di secondo grado rinvengono nelle aspiranti matricole la presenza del requisito essenziale sotteso all’attivazione della procedura di cui all’art. 22 e ss. della L. 241/1990 cioè un interesse immediato diretto e specifico rispetto all’ostensione della documentazione richiesta, andando pertanto a smantellare quanto a fondamento della tesi del TAR che invece, faceva leva su una prospettazione generica dell’interesse conoscitivo a base delle istanze di accesso agli atti.

 

Il Consiglio di Stato, accogliendo l’appello proposto dagli Avvocati Michele Bonetti e Santi Delia, founders dello Studio Legale Bonetti & Delia, ha invece riformato la sentenza del T.A.R. Lazio condannando il Ministero all’ostensione della documentazione richiesta sottolineando che “non può essere negata la necessità di acquisire i documenti relativi al procedimento di predisposizione della prova di ingresso da loro sostenuta senza esito, in relazione alla evidente strumentalità di tale documentazione rispetto i motivi di impugnazione già svolti da ciascuno nei rispettivi contenziosi promosse contro la medesima prova. Per altro verso non può essere addossata agli stessi ricorrenti, in funzione impeditiva dell’accesso, l’alea dei contenziosi da essi promossi e consistente nell’idoneità della documentazione amministrativa richiesta a consentire loro di dimostrare l’ammissibilità e la fondatezza dei motivi di impugnazione dedotti, ai fini dell’utile collocazione in graduatoria”.

ASN: Tar Lazio, criterio del primo ultimo nome non sempre sufficiente a motivare apporto individuale del candidato
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Cade uno dei criteri più noti alla comunità scientifica per la verifica dell’apporto individuale nelle pubblicazioni con più autori.

Come è noto, e come anche nella procedura di abilitazione scientifica nazionale per Professore di prima fascia sottoposta al T.A.R. Lazio era avvenuto, “ai fini della valutazione verrà tenuto conto del criterio della proprietà intellettuale dei lavori presentati (authorship) basata sulla posizione del nome del candidato fra gli autori della pubblicazione; in particolare primo, ultimo (o co-primo dichiarato nel lavoro) o autore corrispondente”.

In ricorso, tuttavia, si era sostenuto che non sempre tale criterio rappresenta una corretta bussola di sistema giacché, anche attraverso altri indici, l’autore può dimostrare il suo contributo rilevante smentendo quello ordinariamente utilizzato.

Il T.A.R. ha aderito a tale tesi. “Orbene, pur ammettendosi che il “posizionamento” del contributo possa assumere, nei giudizi della Commissione, valenza sintomatica dell’apporto dell’autore nei lavori in collaborazione, ai sensi dell’articolo 4 lettera b) del regolamento, deve tuttavia escludersi che la Commissione possa addivenire ad un giudizio complessivo sfavorevole sulle pubblicazioni sulla base di quest’unico parametro, specie se il contributo dell’autore è comunque individuabile attraverso diversi criteri”.

Se, come siamo riusciti a dimostrare in giudizio, “il contributo individuale del ricorrente è oggettivamente accertabile anche in quelle pubblicazioni nelle quali lo stesso non risulta collocato secondo l’ordine previsto nel criterio elaborato” dalla Commissione, ben può il Giudice Amministrativo annullare tale valutazione.

Rileva al riguardo che se «il primo nome, l’ultimo nome e il c.d. “corrisponding” costituiscono di norma i soggetti che contribuiscono in modo preponderante alla stesura di un lavoro scientifico è però anche vero che, in certi casi, l’anzidetta suddivisione non rispecchia effettivamente l’apporto di ogni autore»; in queste ipotesi particolari la “stessa pubblicazione scientifica – che com’è noto è sempre sottoposta a referaggio da parte di soggetti terzi – si preoccupa di precisare il ruolo che ogni autore ha avuto nel lavoro in collaborazione”. Ne consegue che, per lo meno in tali casi, per valutare il rilievo del contributo di ogni autore, non avrebbe significato la “collocazione” dello stesso all’interno dei lavori in collaborazione.

T.A.R. Lazio, Sez. IV, 27 aprile 2022.

Concorso per titoli ed esami per il reclutamento di n. 1409 allievi finanzieri. Il TAR del Lazio riammette il candidato vincitore.
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L’Amministrazione aveva disposto l’esclusione del ricorrente (che aveva superato tutte le fasi concorsuali) dal concorso per non aver rispettato “la tempistica stabilita dal Centro di Reclutamento” per l’inoltro della documentazione medica integrativa.

Nonostante il candidato si fosse attivato in tempo utile per l’inoltro della documentazione medica richiesta dal Centro di Reclutamento, questa veniva consegnata il giorno successivo a quello indicato sulla lettera di richiesta.

L’Amministrazione procedeva con l’esclusione del candidato senza alcuna preventiva comunicazione limitandosi a rilevare l’arrivo fuori termine e ciò nonostante il giorno in cui si riuniva la Commissione per la verifica della detta documentazione questa fosse in suo possesso.

Il TAR accoglieva il ricorso rilevando in primis che al ricorrente non veniva contestata la mancanza dei requisiti medici e che non possono pesare sullo stesso difficoltà dell’Amministrazione.

Il candidato difatti, una volta ricevuta la richiesta del Centro di Reclutamento si attivava immediatamente per ottenere il certificato ed inoltrava ben due raccomandate (consegnate con ritardo) ed una pec non pervenuta per motivi tecnici dell’Amministrazione.

Nella sentenza del TAR si legge testualmente: “È, pertanto, illegittimo ed illogico che il ricorrente debba subire le conseguenze negative di un’attività rimessa al gestore del servizio postale: un principio ribadito dalla Corte Costituzionale, ad avviso della quale “sebbene sia sempre possibile delineare, in materia di responsabilità per danni causati agli utenti del servizio postale, una disciplina speciale ispirata a criteri più restrittivi di quella ordinaria, in rapporto alla complessità tecnica della gestione del servizio ed all’esigenza del contenimento dei costi, tuttavia la carenza di siffatta disciplina della responsabilità del gestore del servizio è in grado di tradursi in un privilegio, privo di connessione con obiettive caratteristiche del servizio e, perciò, lesivo, al tempo stesso, del canone di ragionevolezza e del principio di eguaglianza garantiti dall’articolo 3 della Costituzione (sentenza n. 254 del 2002)” (cfr. sentenza 11 febbraio 2011, n. 46)”.

Rilevava la difesa come ad essere violati siano stati i principi di buona amministrazione e buona andamento e nonché i principi costituzionali di cui  agli art.li 1, 2 e 97 della Costituzione che si concretizzano non solo nel principio c.d. del principio di favor partecipationis, ma anche in quello della tassatività delle cause di esclusione e di ragionevolezza.