Non si vedono ragioni che possano giustificare un procedimento disciplinare per chi, Consigliere di un Ordine territoriale, in fondo, non ha fatto altro che chiedere un colloquio col Presidente del Consiglio Nazionale, anche se questa iniziativa conteneva alcune critiche all'operato dell'Ordine locale.
La decisione del Consiglio di Disciplina Nazionale accoglieva il ricorso di un nostro assistito, commercialista e consigliere dell’ordine, ribaltando la decisione di orimo grado e disponendo: “D'altro canto, la funzione di vigilanza attribuita al CNDCEC può trovare anche nei rapporti coi Consiglieri "di minoranza" degli Ordini territoriali, e nelle loro segnalazioni, occasionale motivo per essere svolta; di tal che segnalazioni da parte di essi, sono attuate in forme che non contrastino col decoro della professione e le altre disposizioni del Codice deontologico, potrebbero apparire non solo tali da non ostacolare ma, addirittura, funzionali allo svolgimento della suddetta attività di vigilanza a da parte degli Organi nazionali professionali.
Buona parte degli argomenti del provvedimento impugnato (pretesi - ma del tutto non dimostrati, neppure sotto il profilo di un pericolo di danno - danni, finalità sleali e scorrette del ricorrente volte a perseguire ambizioni personali e discredito dei Colleghi che sono attribuite al ricorrente dai suoi detrattori) non risultano affatto dalla lettera che ha dato origine al procedimento disciplinare e che ne costituisce, in buona sostanza, l'unico oggetto. Agli atti non vi sono elementi di prova, neppure presuntivi e tanto meno questi elementi possono scorgersi nella richiesta di incontro al Presidente del CNDCEC - di atteggiamenti o di intenti intimidatori nei confronti del Consiglio dell'Ordine da parte del dott. Colantuono.
Parimenti non si vede perché, visto che l'oggetto dei disagi e preoccupazioni che il ricorrente avrebbe voluto manifestare al Presidente del CNDCEC, riguarda l'organo e non singoli componenti dallo stesso, l'avere inviato la missiva per conoscenza solo alla persona del Presidente, che quell'organo rappresenta, e non a tutti i consiglieri, costituirebbe indice di slealtà e di comportamento indecoroso.
Si ravvisa in sostanza la totale assenza di violazioni da parte del professionista nel contenuto della lettera trasmessa al presidente CNDCEC e in genere nei comportamenti oggetto del procedimento disciplinare.
Per far meglio comprendere la decisione resa nel caso di specie occorre necessariamente ripercorrere le tappe fondamentali del contenzioso in cui la pronuncia interviene.
Il ricorrente riveste il ruolo di Consigliere di un ordine Territoriale dell’Ordine dei Commercialisti e ha agito e si è difeso per il tramite della difesa tecnica dell’Avv. Michele Bonetti come semplice iscritto all’ordine, ma anche nella sua veste di Consigliere dell’Ordine.
Da sempre impegnato e professionalmente dedito all’esercizio delle sue funzioni, in vista dell’Assemblea generale degli iscritti, il nostro assistito presentava istanza per poter partecipare attivamente, e dunque intervenire, nella predetta adunanza. Tuttavia, lo stesso giorno dell’Assemblea, e senza alcun preavviso, tale diritto gli veniva negato tout court. Veniva riferito che non poteva intervenire in quanto non ricopriva un incarico istituzionale, sebbene sia indubbio che il diritto di partecipazione dovesse essere garantito già come iscritto all’Ordine; è ancor più palese che l’istituzionalità della carica risiede nel ruolo stesso che riveste, di Consigliere, componente di un organo amministrativo collegiale interno all’Ente pubblico di appartenenza.
Conseguentemente, l’appellante, in completa buona fede, inoltrava una comunicazione rispettivamente, al Presidente del Consiglio dell’Ordine Nazionale e, per conoscenza, alla Presidente del Consiglio Territoriale, in virtù della sua qualifica di rappresentante p.t.
Da tale missiva si apriva un procedimento disciplinare a carico del ricorrente che culminava con la notifica dell’irrogazione, da parte del Collegio Consiglio di Disciplina Territoriale, della sanzione della censura.
Tale provvedimento sanzionatorio veniva impugnato in secondo grado con il patrocinio dello scrivente legale, che si occupa da tempo di cause relative ai più svariati procedimenti disciplinari, tra cui quelli inerenti ai vari Ordini Professionali. Il Consiglio di Disciplina Territoriale per la condotta descritta riteneva applicabile gli articoli relativi alle violazioni deontologiche concernenti gli incarichi istituzionali, i rapporti con gli ordini, con i consigli di disciplina locali, con il consiglio nazionale e con i colleghi; il Collegio di primo grado, considerando che la violazione dell’art. 15 del codice deontologico comportasse l’applicazione della sanzione disciplinare dalla sospensione dell’esercizio della professione, ritenute assorbenti le sanzioni della censura per violazione dell’art, 28 e 29 e della sospensione fino a sei mesi, valutate le circostanze attenuanti, irrogava però il solo provvedimento di censura.
Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Commercialisti ed Esperti Contabili, confermava l’illegittimità paventata e accoglieva il ricorso con il provvedimento in commento n. 395/2024, il quale, a parere di chi scrive, toccava svariati tasti di particolare rilevanza di seguito trattati.
Da un lato, all’interno del provvedimento, si accennava al ruolo, non disarmato, che compete alla “minoranza” interna agli organi collegiali e consiliari e, dall’altro, tale ruolo viene riconnesso al potere di vigilanza che gli organi professionali, soprattutto nazionali, devono poter svolgere in virtù della loro funzione di autogoverno, con il fine di garantire la qualità delle attività svolte dai singoli professionisti e dagli organi costituiti al loro interno.
In generale, al fine di comporre le fila del Consiglio di un Ordine professionale, anche territoriale, o addivenire ad una carica al suo interno, quale quella di Presidente, bisogna venire eletti. Un candidato Presidente, come era l’incolpato, che non esce vittorioso dall’elezione ma diviene comunque Consigliere, per natura, è qualificabile come fautore della c.d. opposizione.
A tal proposito, la sentenza specifica che le segnalazioni all’Organo Nazionale sono “funzionali allo svolgimento della suddetta attività di vigilanza da parte degli Organi nazionali professionali” non facendo altro che ribadire una conquista della storia della democrazia che si esplica anche all’interno degli stessi Ordini.
La libertà di manifestazione di un pensiero fuori coro e la sua idoneitàad incidere in qualche modo in senso negativo su qualcuno o, come in tal caso, su qualcosa, si rivela dunque motivo di impulso, valutazione ed eventuale estrinsecazione di un potere di controllo legislativamente previsto.
È evidente che con tale dispositivo in diritto si arrivi non solo a legittimare, ma ad esaltare la manifestazione del dissenso e la critica politica, sempre che non sia contrastante con i canoni deontologici professionali o trasmodi in aggressione.
Difatti, tra le competenze del Consiglio Nazionale dell’Ordine rientra il dover vigilare sul regolare funzionamento dei Consigli dell'Ordine, compito che non potrebbe mai essere assolto qualora non si desse la possibilità ai singoli componenti, che ne sono direttamente coinvolti, di esporre gli eventuali sintomi di malamministrazione. Reprimendo una siffatta possibilità di dialettica sarebbe davvero complicato svolgere un corretto vaglio sull’operato di tutte le sue articolazioni decentrate territorialmente.
Per tale motivo, interpretando il dictum della sentenza, la critica effettuata tramite segnalazioni a organi che siano supervisori ex lege, diviene non solo assolutamente legittima e non costituente alcun ostacolo, ma addirittura direttamente funzionale e propulsiva del potere di vigilanza.
La prospettiva predisposta dalla sentenza, a parere di chi scrive, fa riferimento a una garanzia di maggiore costanza e prossimità dell’attenzione che il Consiglio Nazionale riserva agli Organi collocati nel distretto, non solamente in un’ottica di mero controllo, nella sua accezione più stringente, ma di promozione e rideterminazione dell’efficienza.
In poche e semplici parole, le segnalazioni degli appartenenti all’Ordine, e maggior ragione quelle di un Consigliere, sarebbero utili anche a permettere l’attivazione di meccanismi idonei a prevenire o risolvere situazioni di disservizio e disfunzionalità.
Peraltro, emerge con tutta evidenza che nessun procedimento, soprattutto qualora incida su profili di responsabilità professionali e che abbia anche dei risvolti sanzionatori di non poco conto, quale quello disciplinare, può azionarsi o concludersi senza che sia sostenuto da elementi probatori e argomentazioni fattuali o giuridiche. Di talché è chiaro il valore dato all’assolvimento dell’onere della prova.
Anche volendo affievolire tale onere, sino a farlo regredire ad una mera presunzione e pericolo di danno, nell’ambito di una tale procedura disciplinare, deve essere valutata la rilevanza non solo dei fatti costituenti la mancanza deontologica, ma anche del pregiudizio e eventuale danno che i medesimi sono idonei ad arrecare.
Non si vedono ragioni che possano giustificare un procedimento disciplinare per chi, Consigliere di un Ordine territoriale, in fondo, non ha fatto altro che chiedere un colloquio col Presidente del Consiglio Nazionale, anche se questa iniziativa conteneva alcune critiche all'operato dell'Ordine locale.
La decisione del Consiglio di Disciplina Nazionale accoglieva il ricorso di un nostro assistito, commercialista e consigliere dell’ordine, ribaltando la decisione di orimo grado e disponendo: “D'altro canto, la funzione di vigilanza attribuita al CNDCEC può trovare anche nei rapporti coi Consiglieri "di minoranza" degli Ordini territoriali, e nelle loro segnalazioni, occasionale motivo per essere svolta; di tal che segnalazioni da parte di essi, sono attuate in forme che non contrastino col decoro della professione e le altre disposizioni del Codice deontologico, potrebbero apparire non solo tali da non ostacolare ma, addirittura, funzionali allo svolgimento della suddetta attività di vigilanza a da parte degli Organi nazionali professionali.
Buona parte degli argomenti del provvedimento impugnato (pretesi - ma del tutto non dimostrati, neppure sotto il profilo di un pericolo di danno - danni, finalità sleali e scorrette del ricorrente volte a perseguire ambizioni personali e discredito dei Colleghi che sono attribuite al ricorrente dai suoi detrattori) non risultano affatto dalla lettera che ha dato origine al procedimento disciplinare e che ne costituisce, in buona sostanza, l'unico oggetto. Agli atti non vi sono elementi di prova, neppure presuntivi e tanto meno questi elementi possono scorgersi nella richiesta di incontro al Presidente del CNDCEC - di atteggiamenti o di intenti intimidatori nei confronti del Consiglio dell'Ordine da parte del dott. Colantuono.
Parimenti non si vede perché, visto che l'oggetto dei disagi e preoccupazioni che il ricorrente avrebbe voluto manifestare al Presidente del CNDCEC, riguarda l'organo e non singoli componenti dallo stesso, l'avere inviato la missiva per conoscenza solo alla persona del Presidente, che quell'organo rappresenta, e non a tutti i consiglieri, costituirebbe indice di slealtà e di comportamento indecoroso.
Si ravvisa in sostanza la totale assenza di violazioni da parte del professionista nel contenuto della lettera trasmessa al presidente CNDCEC e in genere nei comportamenti oggetto del procedimento disciplinare.
Per far meglio comprendere la decisione resa nel caso di specie occorre necessariamente ripercorrere le tappe fondamentali del contenzioso in cui la pronuncia interviene.
Il ricorrente riveste il ruolo di Consigliere di un ordine Territoriale dell’Ordine dei Commercialisti e ha agito e si è difeso per il tramite della difesa tecnica dell’Avv. Michele Bonetti come semplice iscritto all’ordine, ma anche nella sua veste di Consigliere dell’Ordine.
Da sempre impegnato e professionalmente dedito all’esercizio delle sue funzioni, in vista dell’Assemblea generale degli iscritti, il nostro assistito presentava istanza per poter partecipare attivamente, e dunque intervenire, nella predetta adunanza. Tuttavia, lo stesso giorno dell’Assemblea, e senza alcun preavviso, tale diritto gli veniva negato tout court. Veniva riferito che non poteva intervenire in quanto non ricopriva un incarico istituzionale, sebbene sia indubbio che il diritto di partecipazione dovesse essere garantito già come iscritto all’Ordine; è ancor più palese che l’istituzionalità della carica risiede nel ruolo stesso che riveste, di Consigliere, componente di un organo amministrativo collegiale interno all’Ente pubblico di appartenenza.
Conseguentemente, l’appellante, in completa buona fede, inoltrava una comunicazione rispettivamente, al Presidente del Consiglio dell’Ordine Nazionale e, per conoscenza, alla Presidente del Consiglio Territoriale, in virtù della sua qualifica di rappresentante p.t.
Da tale missiva si apriva un procedimento disciplinare a carico del ricorrente che culminava con la notifica dell’irrogazione, da parte del Collegio Consiglio di Disciplina Territoriale, della sanzione della censura.
Tale provvedimento sanzionatorio veniva impugnato in secondo grado con il patrocinio dello scrivente legale, che si occupa da tempo di cause relative ai più svariati procedimenti disciplinari, tra cui quelli inerenti ai vari Ordini Professionali. Il Consiglio di Disciplina Territoriale per la condotta descritta riteneva applicabile gli articoli relativi alle violazioni deontologiche concernenti gli incarichi istituzionali, i rapporti con gli ordini, con i consigli di disciplina locali, con il consiglio nazionale e con i colleghi; il Collegio di primo grado, considerando che la violazione dell’art. 15 del codice deontologico comportasse l’applicazione della sanzione disciplinare dalla sospensione dell’esercizio della professione, ritenute assorbenti le sanzioni della censura per violazione dell’art, 28 e 29 e della sospensione fino a sei mesi, valutate le circostanze attenuanti, irrogava però il solo provvedimento di censura.
Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Commercialisti ed Esperti Contabili, confermava l’illegittimità paventata e accoglieva il ricorso con il provvedimento in commento n. 395/2024, il quale, a parere di chi scrive, toccava svariati tasti di particolare rilevanza di seguito trattati.
Da un lato, all’interno del provvedimento, si accennava al ruolo, non disarmato, che compete alla “minoranza” interna agli organi collegiali e consiliari e, dall’altro, tale ruolo viene riconnesso al potere di vigilanza che gli organi professionali, soprattutto nazionali, devono poter svolgere in virtù della loro funzione di autogoverno, con il fine di garantire la qualità delle attività svolte dai singoli professionisti e dagli organi costituiti al loro interno.
In generale, al fine di comporre le fila del Consiglio di un Ordine professionale, anche territoriale, o addivenire ad una carica al suo interno, quale quella di Presidente, bisogna venire eletti. Un candidato Presidente, come era l’incolpato, che non esce vittorioso dall’elezione ma diviene comunque Consigliere, per natura, è qualificabile come fautore della c.d. opposizione.
A tal proposito, la sentenza specifica che le segnalazioni all’Organo Nazionale sono “funzionali allo svolgimento della suddetta attività di vigilanza da parte degli Organi nazionali professionali” non facendo altro che ribadire una conquista della storia della democrazia che si esplica anche all’interno degli stessi Ordini.
La libertà di manifestazione di un pensiero fuori coro e la sua idoneitàad incidere in qualche modo in senso negativo su qualcuno o, come in tal caso, su qualcosa, si rivela dunque motivo di impulso, valutazione ed eventuale estrinsecazione di un potere di controllo legislativamente previsto.
È evidente che con tale dispositivo in diritto si arrivi non solo a legittimare, ma ad esaltare la manifestazione del dissenso e la critica politica, sempre che non sia contrastante con i canoni deontologici professionali o trasmodi in aggressione.
Difatti, tra le competenze del Consiglio Nazionale dell’Ordine rientra il dover vigilare sul regolare funzionamento dei Consigli dell'Ordine, compito che non potrebbe mai essere assolto qualora non si desse la possibilità ai singoli componenti, che ne sono direttamente coinvolti, di esporre gli eventuali sintomi di malamministrazione. Reprimendo una siffatta possibilità di dialettica sarebbe davvero complicato svolgere un corretto vaglio sull’operato di tutte le sue articolazioni decentrate territorialmente.
Per tale motivo, interpretando il dictum della sentenza, la critica effettuata tramite segnalazioni a organi che siano supervisori ex lege, diviene non solo assolutamente legittima e non costituente alcun ostacolo, ma addirittura direttamente funzionale e propulsiva del potere di vigilanza.
La prospettiva predisposta dalla sentenza, a parere di chi scrive, fa riferimento a una garanzia di maggiore costanza e prossimità dell’attenzione che il Consiglio Nazionale riserva agli Organi collocati nel distretto, non solamente in un’ottica di mero controllo, nella sua accezione più stringente, ma di promozione e rideterminazione dell’efficienza.
In poche e semplici parole, le segnalazioni degli appartenenti all’Ordine, e maggior ragione quelle di un Consigliere, sarebbero utili anche a permettere l’attivazione di meccanismi idonei a prevenire o risolvere situazioni di disservizio e disfunzionalità.
Peraltro, emerge con tutta evidenza che nessun procedimento, soprattutto qualora incida su profili di responsabilità professionali e che abbia anche dei risvolti sanzionatori di non poco conto, quale quello disciplinare, può azionarsi o concludersi senza che sia sostenuto da elementi probatori e argomentazioni fattuali o giuridiche. Di talché è chiaro il valore dato all’assolvimento dell’onere della prova.
Anche volendo affievolire tale onere, sino a farlo regredire ad una mera presunzione e pericolo di danno, nell’ambito di una tale procedura disciplinare, deve essere valutata la rilevanza non solo dei fatti costituenti la mancanza deontologica, ma anche del pregiudizio e eventuale danno che i medesimi sono idonei ad arrecare.