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Pubblicato in Altri diritti

BREVISSIME NOTAZIONI A CORTE COSTITUZIONALE 77/2018

by Avv. Roberto Chiatto on25 Aprile 2018

“Va quindi dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ. nella parte in cui non prevede che il giudice, in caso di soccombenza totale, possa non di meno compensare le spese 

tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni”.

1. Premessa: la regola della soccombenza.

La questione che ci si approccia ad esaminare parte da una elementare considerazione. La attività processuale si presenta come una attività onerosa che implica di per sé spese di vario genere, dagli oneri fiscali ai diritti di cancelleria (relative al contributo unificato per iscrivere la causa a ruolo) fino ai compensi spettanti al difensore. Costi che, in una prima fase, devono evidentemente essere anticipati dalla parte che compie l’attività, che si farà carico così delle sue spese di giustizia in senso ampio. Questo criterio di ripartizione è tuttavia provvisorio dal momento che il legislatore processuale civile ha ritenuto che la definitiva distribuzione delle spese processuali dovesse dipendere dall’esito della controversia, secondo la “regola della soccombenza” di cui all’ art. 91 c.p.c. Dal fatto della soccombenza originano dunque due posizioni giuridiche soggettive contrapposte: una “attiva” in capo alla parte vittoriosa che ha il diritto di pretendere il rimborso delle spese processuali provvisoriamente anticipate; l’altra “passiva” in capo alla parte uscita sconfitta che ha il dovere di effettuare tale rimborso, sopportando così, oltre a quelle relative alla propria posizione e attività processuale, anche le spese sostenute dalla parte vittoriosa.

Occorre precisare, però, che il criterio della soccombenza non si ispira al principio di responsabilità, non ha carattere risarcitorio, non presuppone un illecito che cagiona un danno: agire e resistere in giudizio non sono comportamenti contra ius o non iure (salvo il caso della c.d. lite temeraria) bensì diritti costituzionalmente tutelati ex art. 24 della carta fondamentale. La soccombenza risponde dunque ad una logica obbligata o, per meglio dire, ad una soluzione “per esclusione”. Infatti, se il processo e la necessità di ricorrere alla tutela giurisdizionale non possono essere fonte di danno per la parte che alla fine ha ragione, allora giocoforza le spese non possono che essere a carico della parte non vincitrice. Da un altro punto di vista, si potrebbe dire che l’alea del processo grava sulla parte soccombente perché è quella che ha dato causa alla lite non riconoscendo, o contrastando, il diritto della parte vittoriosa ovvero azionando una pretesa rivelatasi insussistente. È giusto, secondo un principio di (auto)responsabilità, che chi è risultato essere nel torto si faccia carico, di norma, anche delle spese di lite, delle quali invece debba essere ristorata la parte vittoriosa.

Tertium non datur, si direbbe. Non è certo realizzabile l’opzione di addossare le spese allo Stato in quanto, senza contare i costi insopportabili, ciò stimolerebbe il dissennato ricorso alla lite nei cittadini, forti della sua gratuità.

1.1. I temperamenti della disciplina della soccombenza.

L’obbligo per una parte di rimborsare le spese all’altra richiede dunque due condizioni: a) l’anticipazione delle spese ad opera della parte che ha diritto al rimborso; b) la soccombenza della parte obbligata alla restituzione. Mancando uno di questi due presupposti, la condanna al rimborso non può essere pronunciata. Per esempio, è evidente che laddove manchi l’anticipazione delle spese, nessuna ripetizione può giustificarsi (irripetibilità); stesso discorso in assenza della soccombenza, perché per esempio reciproca (compensazione).

Tuttavia, anche in presenza dei due presupposti, la regola sul carico definitivo delle spese subisce delle eccezioni. Infatti, come si è detto, si tratta di una regola ispirata ad una logica di opportunità che può subire deroghe anche in presenza delle condizioni per la sua piena applicazione. Tra l’altro, come spesso ricordato dalla Consulta, è pacifico che sia ampia la discrezionalità di cui gode il legislatore nel dettare norme processuali  e segnatamente nel regolamentare le spese di lite cosicchè è ben possibile una deroga all’istituto della condanna del soccombente alla rifusione delle spese di lite in favore della parte vittoriosa, in presenza di elementi che la giustifichino non essendo, quindi, indefettibile alla tutela giurisdizionale la ripetizione delle spese. Così:

a) In presenza del presupposto della anticipazione delle spese, il diritto al rimborso può essere comunque escluso per quei costi che il giudice ritiene superflui o eccessivi ex art. 92, comma 1, c.p.c., in ossequio all’istituto della irripetibilità, applicazione processuale del principio della buona fede oggettiva, o correttezza.

b) In presenza della soccombenza totale unilaterale, il codice di rito prevede la possibilità della compensazione.

1.2. I temperamenti alla disciplina della soccombenza: la compensazione delle spese.

L’art. 92, comma 2, c.p.c. prevede la possibile compensazione delle spese alla ricorrenza di un “caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti”. Se dunque la questione oggetto di lite è nuova (e non semplicemente complessa o incerta) oppure si verificano mutamenti giurisprudenziali rispetto ad orientamenti dominanti, il giudice può, in esercizio di un potere discrezionale, compensare in tutto o in parte le spese spese di giudizio tra i contendenti.

Il comma 2 dell’art. 92 c.p.c. è stato riscritto, nei termini che precedono, con il d.l. 132/2014 convertito in l. 162/2014. Prima di tale riforma, il potere di compensare le spese era ammesso nei casi di “altri giusti motivi”. Tale formula però non si era dimostrata sufficiente a contrastare una tendenza, esistente nella prassi, al frequente ricorso da parte del giudice alla facoltà di compensare le spese di lite anche in caso di soccombenza totale. Il legislatore è quindi intervenuto una seconda volta proprio sulla clausola generale, sostituendola con le “altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate in motivazione”, formula introdotta dalla l. 69/2009.

Questa altrettanto ampia e generica formula ricorreva in diverse situazioni, per esempio in considerazione del complessivo comportamento pre-processuale della parte vittoriosa in ordine alla instaurazione del giudizio, come nel caso dell’inizio di una causa senza aver preventivamente interpellato la controparte per verificare le sue intenzioni. Oppure nell’ipotesi di controversia di difficile, incerta e dubbia risoluzione, oppure in presenza di un contrasto o assenza di procedenti giurisprudenziali. O, ancora, la dichiarazione di incostituzionalità di una normain pendenza del processo, lo jus superveniens, le modifiche legislative. Insomma, tutte circostanze (magari non prevedibili) che hanno determinato la soccombenza.

2. Un ritorno al passato.

La Corte Costituzionale, con la pronuncia n. 77/2018, ha ritenuto che il giudice civile, in caso di soccombenza totale di una parte, possa compensare le spese di giudizio, parzialmente o per intero, non solo nelle ipotesi di “assoluta novità della questione trattata” o di “mutamento della giurisprudenza rispetto a questioni dirimenti” ma anche quando sussistono “altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni”.

È evidente come ciò segni un ritorno al passato, sebbene non alle origini (in cui erano sufficienti i “giusti motivi”), con una rottura degli argini che il legislatore aveva costruito per contenere la discrezionalità del giudicante. Questi argini, rappresentati dalle due ipotesi nominate/tassative previste dall’art. 92 c.p.c. (oltre alla soccombenza reciproca), costituivano un vincolo certamente più stringente per il magistrato nel derogare alla regola delle spese di lite a carico della parte totalmente soccombente. Barriere tuttavia evidentemente lesive dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza (art. 3 Cost.) in quanto escludenti altre analoghe fattispecie riconducibili alla stessa ratio giustificatrice. A quali fattispecie ci si riferisce? Proprio a quelle indicate sopra a titolo esemplificativo, quando si è esaminato il contenuto della vecchia formula “altre gravi ed eccezionali ragioni”. E così, rientrano direttamente dalla porta principale situazioni come lo jus superveniens, una norma di interpretazione autentica, una sentenza di illegittimità costituzionale, una decisione di una Corte europea, generali circostanze di difficoltà fattuale o giuridica della lite. Circostanze che fuoriescono da una ristretta e rigida lettura delle due ipotesi tassative suddette ma che possono essere dotate pur sempre della medesima “gravità” ed “eccezionalità”.

3. Conclusione: tra vecchio e nuovo.

L’insufficienza delle ipotesi tassative espresse dall’art. 92, comma 2, c.p.c. a delimitare la discrezionalità del giudice, impone di individuare nuovilimiti al potere di compensazione delle spese. Questi limiti dovranno allora essere recuperati proprio rispolverando la vecchiaformula introdotta nel 2009, che imponeva di esplicitare chiaramente e in modo inequivoco in motivazione le “gravi ed eccezionali ragioni” a sostegno della decisione di compensare le spese, pena la sindacabilità in sede di impugnazione. Anche se non occorre dimenticare che l’obbligo della motivazione discende dalla generale prescrizione dell’art. 111, sesto comma, Cost., che vuole che tutti i provvedimenti giurisdizionali siano motivati.

Ultima modifica il 19 Maggio 2018