Un primo aspetto su cui pare opportuno soffermarsi è rappresentato dalla previsione contenuta all’art. 22 del regolamento interno alla Corte Costituzionale, norma che secondo parte della dottrina puntualizzerebbe che il potere di convocazione della Corte è attribuito in via esclusiva al Suo Presidente. Tale previsione sarebbe pertanto idonea, secondo i sostenitori di questa tesi, a compromettere la posizione di equiordinazione del Presidente in favore del riconoscimento nei suoi confronti di una diversa e più intensa posizione di sovraordinazione rispetto agli altri Giudici del collegio.
Soprattutto, la circostanza per cui a parità di suffragio, prevale il voto del Presidente, sembra riconoscere a quest’ultimo un potere dalla natura sovraordinata, il quale sembra sgretolare i tratti distintivi della primazia ed, in particolare, la posizione di preminenza solo formale del Presidente unitamente al principio di pari ordinazione di tutti i componenti della Corte.
Di contro, nel libro “La primazia negli organi collegiali pubblici” Gabriele Pepe spiega come i poteri di sovra ordinazione riconosciuti al Presidente della Corte costituzionale non sono in grado di alterare la configurazione tipica della posizione di preminenza prettamente formale del Presidente insieme alla reciproca pari ordinazione di tutti i componenti.
Per tale ragione abbiamo chiesto all’autore maggiori delucidazioni sul punto.
Egr. Avvocato, potrebbe approfondirci le questioni suesposte muovendo da una più generale rassegna del ruolo e poteri del presidente nell’ambito degli organi collegiali pubblici?
Per fornire risposta ai quesiti sopra indicati occorre, preliminarmente, esaminare i tratti distintivi della primazia presidenziale. Dagli studi politologici in argomento emerge come sovente il presidente sia in grado di influenzare nella prassi l’attività deliberativa del collegio, esercitando poteri differenti, per qualità ed intensità, rispetto ai poteri riconosciuti agli altri componenti dell’organo. Tale fenomeno verrebbe, poi, accentuato dalla autorevolezza o dal prestigio della persona preposta alla carica nonché dall’interpretazione del ruolo presidenziale capace, in certi casi, di esprimere una rilevante capacità di orientamento sugli altri membri del collegio (c.d. attività di “moral suasion”).
Nel variegato e composito universo della collegialità pubblica e delle sue mille sfaccettature emerge l’esigenza di procedere, altresì, ad un’analisi giuridico-dogmatica del ruolo e dei poteri del presidente nei confronti degli altri componenti. Dagli insegnamenti di Massimo Severo Giannini può evincersi come la primazia sia una figura organizzatoria di originale equiordinazione generalmente applicabile a qualsivoglia organo collegiale, trattandosi di una “iuris figura” immanente al fenomeno stesso della collegialità. In altri termini il presidente, quale figura necessaria di ciascun collegio, riveste una posizione di primazia formale ossia di mero “primus inter pares” con ineludibili compiti di impulso e coordinamento dei lavori; compiti che, pur differenziandone ruolo e funzioni rispetto agli altri componenti, non alterano il principio di uguaglianza che ispira le relazioni “infra-collegiali”.
La posizione di primazia formale del presidente si manifesta, del resto, in una serie di funzioni amministrative generalmente rintracciabili nella: 1) convocazione delle adunanze, 2) formulazione dell’ordine del giorno, 3) direzione dei lavori, 4) polizia delle sedute. Gli elementi qualificanti siffatte funzioni si rinvengono: a) nella strumentalità rispetto al corretto svolgimento dell’attività collegiale e al suo fisiologico esito deliberativo; b) nella natura meramente formale-procedurale da cui discende l’inidoneità ad incidere sull’autonomia degli altri componenti.
Malgrado ciò, tuttavia, da un’analisi empirica di alcuni organi collegiali si evince come il concreto esercizio delle funzioni di “primus inter pares” possa eccezionalmente determinare episodi di preminenza sostanziale del presidente sugli altri componenti, potenzialmente idonei ad incidere, sia pure occasionalmente, sul procedimento deliberativo del collegio. Le ragioni di un tale fenomeno vanno individuate in alcuni elementi o vicende giuridiche afferenti l’ufficio di presidente ed il rispettivo titolare. Si pensi, ad esempio, alla attribuzione della diversa ed ulteriore posizione di organo monocratico, al riconoscimento di taluni poteri di sovraordinazione (tra cui la prevalenza del voto presidenziale a parità di suffragi) oppure al patologico esercizio delle funzioni presidenziali.
Ciò detto, è possibile ora dedicarsi alla soluzione dei quesiti prospettati con riferimento al presidente della Corte costituzionale. Quanto al riconoscimento in via esclusiva di un potere di convocazione delle adunanze, occorre precisare come tale previsione non sia idonea ad alterare i caratteri tipici della collegialità ossia la posizione di primazia formale del presidente e la reciproca pariordinazione di tutti i componenti. Vero è che in altri organi collegiali sono previste forme di eteroconvocazione ma è altrettanto vero che l’esclusività della funzione non ne altera la natura strettamente formale e strumentale al corretto andamento dei lavori. Inoltre, come affermato in dottrina (Martines T.), il potere di convocazione riconosciuto al presidente della Consulta più che un potere discrezionale è nella maggior parte dei casi un potere-dovere. In altre parole il presidente deve convocare le adunanze entro i termini fissati dalla legge o dai regolamenti. Inoltre, anche ove la convocazione non soggiaccia all’osservanza di alcun termine, sussisterebbe comunque in capo alla figura presidenziale un dovere di convocazione che circoscriverebbe la discrezionalità dell’atto esclusivamente al “quando”.
Con riferimento invece alla disposizione che prevede, a parità di suffragi, la prevalenza del voto del presidente si precisa quanto segue. Se, da un lato, tale meccanismo è contemplato dall’ordinamento della Corte al precipuo fine di rimuovere situazioni di “impasse” pregiudizievoli per l’attività deliberativa del collegio, dall’altro, non può disconoscersi come tale potere esprima un quid di sovraordinazione del presidente sugli altri componenti, potenzialmente in conflitto con la configurazione della primazia quale “iuris figura” di originale equiordinazione. Ciononostante va sottolineata in primo luogo la natura eccezionale del potere che attribuisce, a parità di voti, prevalenza al voto del presidente, trattandosi di un potere eccezionalmente ammissibile esclusivamente in presenza una espressa disposizione di legge. Come per altri poteri di sovraordinazione del presidente, trova in secondo luogo applicazione la teoria generale dell’assorbimento o della prevalenza. Seconda tale teoria la primazia ricomprende nel proprio nucleo interno occasionali poteri di sovraordinazione con conseguenti episodi di preminenza sostanziale i quali, per la loro marginalità, appaiono recessivi, risultando assorbiti da (e nei) prevalenti poteri ed episodi di preminenza formale riconducibili alla convocazione delle adunanze, alla formulazione dell'ordine del giorno, alla direzione dei lavori e alla polizia delle sedute. Un fenomeno di commistione, dunque, inidoneo ad alterare i tratti fondamentali della primazia e, segnatamente, la posizione di preminenza formale del presidente e la reciproca pariordinazione di tutti i componenti.
Preg.mo Professor Alfonso Celotto, direttore della collana ricerche giuridiche di cui questo libro fa parte, potrebbe gentilmente fornirci un suo commento sul tema in oggetto? Qual è la sua opinione sugli argomenti affrontati in questa monografia da parte dell’Avvocato Pepe?
L’opera di Gabriele Pepe affronta un tema centrale nelle dinamiche della Corte costituzionale, come dimostra la sentenza sulle pensioni (n. 70 del 2015), la più nota delle ultime settimane, in cui la decisione è stata presa proprio grazie al voto "di qualità" del Presidente, come raccontano le cronache di stampa.
Il lavoro di Pepe, più in generale, esamina in modo completo ed analitico i molteplici profili afferenti la figura giuridica della primazia nell’ambito degli organi collegiali pubblici fino ad approfondire i profili problematici delle funzioni presidenziali nell’ambito dell’organismo della Consulta.
La ricerca mostra di perseguire l’obiettivo di indagare la posizione giuridica del presidente e dei suoi poteri nei confronti degli altri componenti del collegio tanto a livello teorico quanto in sede applicativa.
Dalla ricostruzione in chiave teorica della figura giuridica della primazia è possibile dedurre come attraverso di essa siano attribuite al presidente del collegio alcune funzioni amministrative che, da un lato, sono idonee a garantire il corretto andamento dei lavori ma che, dall’altro, come dimostrato da Pepe, non ne alterano la reciproca pariordinazione con gli altri componenti.
Il fil rouge dell’indagine condotta dall’Autore si caratterizza, dunque, nel riconoscimento di una posizione di primazia formale del presidente; un riconoscimento che viene compiuto passando anche in rassegna casi e situazioni potenzialmente idonei a comprometterne il ruolo di primus inter pares. Tuttavia tali fattispecie - dimostra Pepe – sebbene caratterizzate da indubbi profili sostanziali (nell’ambito della Consulta, ad esempio, il principio che attribuisce a parità di voti prevalenza al voto del Presidente), hanno in realtà la sola funzione di arricchire - alla stregua di corollari - la sua posizione giuridica che rimane, quindi, prettamente di primazia formale.
Infatti, secondo Pepe - ed in ciò è possibile, a mio avviso, rinvenire l’originalità dell’opera – vi sono elementi e vicende afferenti l’ufficio di presidenza in grado di implementare il contenuto della sua primazia di profili - ulteriori e marginali - di preminenza sostanziale senza tuttavia che ne sia compromesso il preminente rilievo formale.
La ricerca ha dunque il merito di rappresentare un osservatorio relativamente rassicurante (con riferimento alla conclusione di generale funzionamento del criterio della primazia intesa in una accezione formale), ma allo stesso tempo rileva l’ineluttabile esigenza, emergente dalla prassi, di assicurare il necessario funzionamento del sistema anche attraverso eccezionali episodi di preminenza sostanziale del presidente sugli altri componenti; episodi che, tuttavia, per la loro occasionalità e straordinarietà non sono in grado di alterare la generale posizione di primazia o di “primus inter pares” del presidente sui membri del collegio.
Si tratta in definitiva di un’opera a cui va l’indubbio merito di aver compiuto una teorizzazione e sistematizzazione di una figura giuridica finora poco esplorata dalla dottrina e dalla giurisprudenza amministrativa e che affronta nella sua concretezza il pericolo, tradizionalmente trascurato, della possibile crisi del principio di maggioranza, che governa, in un ordinamento rigidamente fondato sul criterio di rappresentanza, gli organismi pubblici a composizione collegiale.