A seguito di una manifestazione dal carattere politico due diversi gruppi politici studenteschi si scontravano sull’opportunità del contenuto di alcuni manifesti affissi. Il Dirigente Scolastico, convocava alcuni studenti per essere sentiti sui fatti occorsi ed il giorno successivo il Consiglio di Classe comminava la sanzione di allontanamento dall’ambiente scolastico per 13 giorni.
Gli studenti ricorrevano innanzi la Giustizia Amministrativa instaurando diversi procedimenti.
Il ricorrente rappresentato dallo studio legale Michele Bonetti & Partners deduceva in particolare la violazione della normativa in materia di procedimento disciplinare che aveva comportato la violazione del loro diritto di difesa, nonché la sproporzione della sanzione rispetto ai fatti verificatisi e per come provati, che oltretutto consisteva nella massima sanzione applicabile e codificata per fatti ben diversi da quelli oggetto di audizione.
Il ricorrente lamentava altresì che il Consiglio di Classe avesse deliberato non nella sua composizione più ampia, ma senza un rappresentante degli studenti e uno dei genitori.
Il TAR del Lazio inizialmente rigettava, in via cautelare, la richiesta avanzata, ma il Consiglio di Stato con decreto monocratico riformava il provvedimento di primo grado e sospendeva gli atti impugnati.
Il Consiglio di Stato così motivava la scelta: “L’addebito disciplinare ascritto all’appellante dall’Istituto scolastico presenta oggettiva gravità, in quanto potenzialmente idoneo ad incidere su valori condivisi della convivenza all’interno della comunità educativa, nel quadro dell’autonomia valutativa riservata alle istituzioni didattiche titolari dei poteri sanzionatori”.
Difatti la sproporzione tra i fatti e la sanzione di allontanamento dall’ambiente scolastico rendeva quest’ultima meramente punitiva e priva della finalità educativa che in ogni caso l’Istituzione scolastica è tenuta a perseguire. Oltretutto così agendo l’Istituto scolastico limitava il diritto di critica politica dello studente interessato dalla sanzione nonché violava il principio di terzietà e quello di equità considerando che non tutti i soggetti coinvolti nei fatti occorsi divenivano destinatari della detta sanzione disciplinare.
Come se non bastasse allo studente veniva preclusa la possibilità di ricorrere all’Organo Amministrativo superiore, ossia al Consiglio di Garanzia, in quanto i membri dello stesso venivano rinnovati dopo l’irrogazione della detta sanzione, con violazione anche del principio Giudice naturale precostituito per legge.
Il decreto, veniva poi superato con successiva ordinanza cautelare, sempre del Consiglio di Stato, e così perdeva efficacia. Il Consiglio di Stato su richiesta dell’appellante decideva esclusivamente, previa verbalizzazione anticipata con memoria rituale, sulla preliminare questione di improcedibilità per carenza di interesse o in via subordinata per cessazione della materia del contendere. Difatti l’appellante, che aveva nelle more scontato due giorni di sospensione, aveva nel frattempo ottenuto un nulla osta per il trasferimento presso altro Istituto scolastico privo di alcuna riserva, vincolo o condizione. Tale ultima circostanza rendeva il provvedimento impugnato non automaticamente estensibile al nuovo Istituto scolastico con la conseguente, sopravvenuta, carenza di interesse, fatti salvi eventuali successivi provvedimenti adottati dal nuovo Istituto scolastico “che potranno essere autonomamente impugnati”. Così con la detta ordinanza si dichiarava l’improcedibilità dell’appello.
Diversamente decideva il Collegio di secondo grado in merito agli ulteriori e diversi giudizi incardinati rilevando come in tale caso il provvedimento della scuola fosse coerente ed in linea con il Regolamento disciplinare dell’Istituto scolastico interessato.