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LA TUTELA DEL MARCHIO TRA “ILLECITO CONCORRENZIALE CONFUSORIO” E DELITTO DI CONTRAFFAZIONE OD ALTERAZIONE EX ART. 473 C.P.

by Dott. Dario Curti e dott. Pasquale Manili on23 Novembre 2015

In materia di marchi sussiste un labile confine tra la relativa tutela civilistica concernente il c.d. illecito concorrenziale confusorio[1]  e quella penalistica

riguardante il delitto di contraffazione, alterazione od utilizzo, contra legem, di questi ultimi. In tale contesto, in particolare, una delle questioni di maggiore rilevanza ed attualità attiene all’analisi della capacità o meno della confusione ex art. 2598 c.c., n. 1, di configurare il reato di cui all’ art. 473 c.p. . Legame, quest’ultimo, che è stato di recente oggetto di un interessante dibattito giurisprudenziale e la cui disamina ci porta, in primo luogo, ad inquadrare gli elementi costitutivi del richiamato illecito confusorio.

A tal proposito, occorre osservare che ai fini della configurazione di tale fattispecie il legislatore richiede, anzitutto, un rapporto di concorrenza economica2 tra l’imprenditore che compie gli atti  confusori ex art. 2598 c.c., n. 1, ed il relativo concorrente a danno del quale questi ultimi sono posti in essere. Dunque, né discende che destinatari della norma risultano essere solo imprenditori, in rapporto di concorrenza fra loro (Cass. sent. n. 560/2005, in Giur. it., 2005, 1177). Va puntualizzato, altresì, che, ai fini della configurazione dell’ipotesi di cui alla predetta norma, risulta sufficiente la mera certezza della confondibilità tra i marchi, senza, però, che la stessa e, quindi, il connesso danno potenziale3 abbiano, necessariamente, luogo.

Altrettanto essenziale appare l’individuazione degli elementi sui quali il giudizio di confondibilità si basa. In merito, gli ermellini mediante la nota sentenza 13 febbraio 2009, n. 3639,della Sezione I civile,  (Kelemata S.p.A. contro Erbavoglio S.r.l.), hanno ritenuto che, “in attuazione della Direttiva CEE n. 89/104, la tutela del marchio comprende non soltanto il rischio di confusione, determinato dalla identità o dalla somiglianza dei segni utilizzati per contrassegnare prodotti identici o affini, ma anche quello relativo alla semplice associazione fra i due segni, tale da poter indurre in errore il pubblico circa la sussistenza di un particolare legame commerciale o di gruppo tra l'impresa terza ed il titolare del marchio4.

Ancora, sempre in occasione della pronuncia in parola, è stato affermato che il rischio di confondere i consumatori nel riconoscimento del marchio ricercato deve essere valutato “globalmente, prendendo in considerazione tutti i fattori pertinenti del caso di specie, con una certa interdipendenza fra i fattori che entrano in considerazione e in particolare la somiglianza dei marchi e quella dei prodotti”.

Per quanto concerne, invece, nello specifico, gli atti di sleale concorrenza capaci di generare confusione tra segni distintivi della predetta tipologia sono tali: 1) l’ utilizzo di marchi idonei a confondere il consumatore nell’individuazione di quelli effettivamente ricercati e legittimamente usati da altri imprenditori; 2) l’imitazione fedele e pedissequa dei prodotti di un concorrente; 3) il compimento, con qualsiasi altro mezzo, di condotte tali da generare confusione con i beni, servizi ed attività di un altra impresa.

Dunque, risulta evidente il nesso causale che sussiste tra le condotte contra legem in parola e la relativa potenzialità di confondere il consumatore nell’individuazione del marchio effettivamente ricercato. Né discende, pertanto, che il legame eziologico in questione prevede quale effetto degli atti di sleale concorrenza, non già l’avvenuta confusione tra marchi, ma la effettiva capacità di tali illecite condotte di produrre quest’ultimo evento e, con ciò, il connesso pregiudizio.

Infine, per quanto concerne il bene giuridico tutelato ai sensi dell’art. 2598 c.c., n. 1, esso è rappresentato,per unverso,dall’interesse degli imprenditori a non essere pregiudicati nelle possibilità di guadagno per effetto dei succitati atti sleali; per altro verso, dall’interesse, mediato e riflesso, dei consumatori a non essere tratti in inganno nelle loro scelte, in un contesto di lealtà, sana competizione e trasparenza del mercato5.

Esaminata la fattispecie dell’illecito concorrenziale confusorio, con riguardo alla specifica ipotesi concernente i marchi, volgiamo la nostra attenzione alla tutela che il legislatore penale dedica a siffatta categoria.

Come anticipato in premessa, la norma a cui dobbiamo fare riferimento è l'art. 473 c.p.6rubricata “Contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni”, che si pone, nell'ottica del legislatore penale, a tutela di strumenti e segni di riconoscimento, nell'alveo dei delitti contro la fede pubblica (libro secondo, titolo VII, capo II).

In ordine al bene giuridico protetto dalla norma, esso va identificato nella fiducia che il pubblico indeterminato dei consumatori ripone nella generalità dei segni distintivi delle opere dell'ingegno e dei prodotti industriali7, potendosi affermare pertanto che con essa viene tutelata la fede pubblica in senso oggettivo8 e, quindi, l'interesse collettivo dei consumatori alla distinzione della fonte di provenienza dei prodotti posti sul mercato. Si tratta di un reato di pericolo, contraddistinto dalla specifica attitudine offensiva della condotta, nel senso di un effettivo rischio di confusione per la generalitàdei consumatori. La condotta descritta nella norma si può concretizzare mediante l'attivitàdi contraffazione (da intendersi come riproduzione integrale del marchio), di alterazione (modificazione del segno, comprensiva anche della imitazione, latu sensu riproduzione parziale atta a confondere), di uso di tali marchi o segni contraffatti o alterati (senza essere concorsi alla medesima contraffazione o alterazione). La medesima condotta caratterizza sia il primo che il secondo comma dell'art. 473 c.p., differenziandosi esclusivamente per l'oggetto materiale delle condotte: marchi, o segni distintivi di prodotti industriali nel primo comma; brevetti, disegni, o modelli industriali nel secondo.

Il terzo e ultimo comma della norma in oggetto “inserisce” un presupposto del reato, statuendo che i delitti di cui ai due commi precedenti sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietàintellettuale e industriale. Poiché possa configurarsi il reato ex art. 473 c.p. sarà necessario, quindi, che il marchio o segno distintivo, oggetto della contraffazione o alterazione, sia stato depositato, registrato o brevettato nelle forme di legge all'esito della prevista procedura9.

Per ciò che concerne l'elemento soggettivo non possono sorgere dubbi; si tratta di una condotta dolosa (dolo generico), contraddistinta necessariamente dalla coscienza e volontàdella immutatio veri.

Non è invece richiesta la conoscenza positiva della avvenuta registrazione, essendo sufficiente l'accettazione del rischio che questa sia effettivamente esistente10.

Da ultimo, risulta interessante e degna di attenzione una recentissima decisione della Suprema Corte di Cassazione in ordine alla configurazione del reato di contraffazione o alterazione in oggetto, la quale delinea chiaramente le caratteristiche e l'effettivitàche deve contraddistinguere la condotta del reo. Con la sentenza n. 28922 del 3 luglio 2014 gli ermellini della seconda sezione penale hanno chiarito, infatti, che l'art. 473 c.p. richiede nello specifico “che gli altrui marchi o segni distintivi siano fatti oggetto di materiale contraffazione o alterazione, per cui, mancando queste, la sola possibilitàdi confusione non può, di per se, valere a costituire il reato…11.

Si esclude pertanto la “mera possibilitàdi confusione” ai fini della configurazione del reato, essendo necessario un concreto, effettivo pericolo di confusione, ingenerato dalla materiale condotta di contraffazione o alterazione.

In tal modo si è venuta a tracciare una netta linea di demarcazione tra la condotta tipica di cui all'art. 473 c.p. e la concorrenza sleale di cui all'art. 2598, n. 1, c.p., non esistendo tra le due condotte alcuna coincidenza.

 

1V. Corte di Cassazione, Sez. I, 9 settembre2002, n. 13079.

2G. F. Campobasso, “Diritto Commerciale – Diritto dell’Impresa”, UTET, Torino, p. 236 . Altresì, secondo la Corte di Cassazione, Sez. I civile, sent. 23 marzo 2012, n. 4739, versano in condizione di concorrenza <<tutte le imprese i cui prodotti e servizi concernano la stessa categoria di consumatori e che operano quindi in una qualsiasi delle fasi della produzione o del commercio destinata a sfociare nella collocazione sul mercato di tali beni>>.

3L’art. 2598 c.c., n. 1, punisce l’idoneità degli atti di sleale concorrenza di generare confusione tra marchi e non l’effettiva concretizzazione di quest’ultimo evento e del connesso pregiudizio. Così, App. Napoli, 20.1.2010, in Pluris. Sul punto va detto, inoltre, che la nozione di danno potenziale è ben delineata dall’art. 2598 c.c., n. 3, secondo cui quest’ultimo è <<l’atto sia idoneo a danneggiare l’altrui azienda>>.

4Sul punto anche Cass. sent. n. 27081 del 21.12.2007, rv. 601334; n. 15096 del 16.7.2005, rv. 583042.

5 G. F. Campobasso, “Diritto Commerciale – Diritto dell’Impresa”, UTET, Torino, p. 236.

6Per una disamina della dottrina e giurisprudenza sul tema si vedano F. CINGARI, La tutela penale dei marchi e dei segni distintivi, Milano, 2008; D.SANGIORGIO, Contraffazione di marchi e tutela penale della proprietà industriale e intellettuale, Padova, 2006.

7Cfr FIANDACA-MUSCO,Diritto penale, Parte speciale, Bologna, 2012.

8L'art. 473 c.p. è un reato contro la fede pubblica, diretto a tutelare quei mezzi simbolici o reali di pubblico riconoscimento che servono a contraddistinguere e garantire la circolazione dei prodotti industriali, cfr Cass. Pen. n. 1217 del 1973, in Codice penale annotato con la giurisprudenza, a cura di BELTRANI, MARINO , PETRACCA, Napoli, 2013. Ci sono voci in dottrina che individuano nel reato di cui all'art. 473 c.p. una fattispecie plurioffensiva, diretta a tutelare anche gli interessi economici dei titolari del diritto dell'uso esclusivo del contrassegno, si veda DI AMATO, La tutela penale dei segni distintivi, in Cass. Pen., 1986, p.839; ANTOLISEI , Manuale di diritto penale, parte speciale, Vol. II, p. 138. Sul tema si veda G.L. GATTA, La disciplina della contraffazione del  marchio  d'impresa nel codice penale ( artt. 473 e 474): tutela del consumatore e/o del produttore, inwww.dirittopenalecontemporaneo.it .

9Cfr Cass. Pen, Sez.V, Sent. n. 25273/2012 : “(…) il terzo comma dell'art. 473 cod. pen. - secondo il quale le norme incriminatrici in tema di contraffazione e alterazione dei marchi o dei segni si applicano sempre che siano state osservate le norme delle leggi interne o delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale - deve essere interpretato nel senso che per la configurabilità dei delitti contemplati dai precedenti commi del medesimo articolo è necessario che il marchio o il segno distintivo, di cui si assume la falsità, sia stato depositato, registrato o brevettato nelle forme di legge all’esito della prevista procedura, sicché la falsificazione dell’opera dell’ingegno può aversi soltanto se essa sia stata formalmente riconosciuta come tale. Pertanto, per la configurabilità del delitto è necessaria l'avvenuta registrazione del marchio o del segno, non bastando la semplice domanda”. Nello stesso senso Cass. Pen. Sez. V, Sent. n. 36360/2012.

10La formulazione della norma “potendo conoscere l'esistenza del titolo di proprietà industriale” chiarisce come non sia necessaria la certezza che tale titolo esista. Si veda sul punto Cass. Pen. Sez. V, 5.11.2001.

11La Corte si Cassazione nella decisione in esame identifica la differenza tra il reato ex art. 473 c.p. e l'illecito civilistico ex art. 2598 c.c., n. 1, in quanto il secondo richiede come condizione necessaria e sufficiente quella che si usino nomi o segni distintivi idonei a creare confusione con quelli usati da altri, o che si imitino servilmente i prodotti altrui, mentre l’art. 473 c.p., richiede, come già indicato il quid pluris della materiale contraffazione o alterazione.

Ultima modifica il 23 Novembre 2015