Pubblicato in Interviste

Riforma del Senato e del Titolo V della Costituzione: la parola al Prof. Celotto

by Avv. Riccardo Aiello e Dott. Gabriele Adducci on22 Luglio 2014

Oggi ci troviamo in compagnia di Alfonso Celotto, scrittore italiano e professore ordinario di diritto costituzionale nonchè visiting professor della U.B.A. - Universidad de Buenos Aires; della Università di Varsavia e dell'Università Mc Gill di Montreal. Il Prof. Celotto, iscritto all'Ordine degli avvocati di Roma come cassazionista ed attualmente Capo dell’Ufficio Legislativo del Ministero dello Sviluppo Economico, ci ha gentilmente concesso un’intervista sull'attualissimo tema della riforma del Senato e del Titolo V della Costituzione che proprio in questi giorni è in discussione in Senato per la prima lettura del disegno di legge S. 1429 contente "Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della parte seconda della Costituzione".  

Preg.mo Professore, in queste ore è in corso il dibattito sul disegno di legge di riforma del Senato che tra le sue norme contiene disposizioni di “revisione del Titolo V della parte seconda della Costituzione”. Su questo particolare aspetto balza all’occhio l’abolizione della materia di competenza concorrente tra Stato e Regioni. Sembrerebbe che i rilievi sull’eccessivo contenzioso in tema di conflitti di attribuzione davanti alla Corte costituzionale in questi ultimi anni siano stati recepiti dai proponenti del testo di riforma costituzionale. Crede che sul punto sia questa la soluzione idonea? La previsione di far tornare nella competenza statale importanti materie come l’ambiente, il coordinamento della protezione civile, le infrastrutture strategiche e le grandi reti, lasciando comunque una competenza alle singole Regioni per gli aspetti di “interesse regionale”, non rischia di produrre il medesimo problema?

La revisione costituzionale del 2001 ha prodotto più problemi che vantaggi. Questo è un punto su cui riflettere bene. Troppo spesso si rincorrono modifiche, si anelano riforme che poi... alla prova dei fatti creano soprattutto disfunzioni. Nel 2001 si è frettolosamente impostata una Repubblica “quasi federale”, ma il modello non ha funzionato. La mancanza di una ripartizione chiara di competenze fra Stato e Regioni ha spostato impropriamente sulla Corte costituzionale il ruolo di arbitro delle competenze. Si pensi che fino al 2000 la Corte costituzionale lavorava per l’85 per cento su giudizi di costituzionalità promossi in via incidentale. Ora, invece, decide per oltre il 60 per cento questioni di competenza fra Stato e Regioni.

Ora mi pare che non si punti a chiarire quale modello vogliamo per il sistema delle autonomie ma si badi solo ad aggiustarlo un po’, facendo tornare qualche competenza allo Stato. Non mi pare una soluzione adeguata. Non fa chiarezza. Non stabilisce se siamo uno Stato federale o centrale

La modifica del Senato in una “Camera delle Regioni” sembrerebbe portare l’architettura istituzionale del nostro Stato verso una connotazione ancor più federalista. Tralasciando per un attimo le questioni relative al problema della rappresentatività dei suoi membri, è dell’opinione di ritenere che i limitati poteri previsti per questo organo legislativo unitamente alla previsione nel medesimo Titolo V della cd. “clausola di salvaguardia nazionale”, idonea a riportare nell’alveo della competenza statale materie non riservate alla sua legislazione esclusiva “quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell'interesse nazionale",non sembrino in realtà un riconoscimento del fallimento del tentativo della riforma del 2001 di dare una maggiore autonomia e responsabilità alle Regioni?

Purtroppo il progetto di riforma mescola le due tendenze in maniera confusa. Da un lato sembra voler andare verso un sistema federale, dall’altro sembra voler restituire più poteri allo Stato. Si tratta di una soluzione cerchio-bottista che non aiuta certo un disegno costituzionale limpido e funzionale.

Del resto va anche considerato che negli ultimi 15 anni si è un po’ persa l’idea che la Costituzione è di tutti e va quindi modificata con il consenso più ampio possibile. La Costituzione, nel 2001, poi nel 2004 e ancora oggi è entrata nell’agenda della maggioranza politica del momento: così si rischia gravemente di portare a riforme “di parte”, poco meditate.

Un passaggio è, infine, necessariamente doveroso sul problema molto discusso in questi giorni della rappresentatività del futuro Senato delle Regioni. Da più parti è stato ritenuto che il sistema prodotto dalla riforma costituzionale in discussione sarebbe affine al sistema legislativo tedesco con un Senato federale composto da membri di “seconda nomina”. Il paragone è a suo avviso improprio o in effetti vi potrebbero essere i margini per una tenuta costituzionale di un meccanismo elettivo che preveda per una delle due Camere del Paese una elezione dei propri membri non diretta da parte dei cittadini?

Sono ripetitivo. Anche qui mi pare che ci sia poca chiarezza. I senati degli stati federali, per essere veramente rappresentativi, non sono camere elette. Sono camere designate, rappresentative delle Regioni in ogni singolo momento storico. Esempio lampante è il Bundesrat tedesco, del quale fanno parte assessori e funzionari designati volta a volta, a seconda della materia che si discute. Il dibattito di queste settimane in Italia mi pare invece confuso e con soluzioni di compromesso politico, più che di chiari principi giuridici.

Ultima modifica il 07 Maggio 2015