Pubblicato in Istruzione

Il potere di disporre la decadenza dalle cariche accademiche

by Avv. Lorenzo Canullo on25 Febbraio 2015

L’art. 2 della legge 30 dicembre 2010, n. 240 s.m.i. attribuisce al Senato Accademico delle Università il potere di proporre al corpo elettorale con maggioranza di almeno due terzi dei suoi componenti una mozione di sfiducia al rettore non prima che siano trascorsi due anni dall'inizio del suo mandato. 

La norma introduce per la prima volta negli statuti dei singoli Atenei un principio di elaborazione giurisprudenziale (si veda Consiglio di Stato, sez. V, 30 novembre 2007, n. 6137; TAR Sicilia, Catania, sez. I, 1 dicembre 1990, n. 919), che è quello del contrarius actus.

Il suddetto principio costituisce, al contempo, un fondamento di democrazia dell’istituzione accademica e un limite all’esercizio autoritario del potere di disporre la decadenza dalle cariche accademiche. Competente all’esercizio del potere in questione non è l’autorità che formalmente adotta il provvedimento di proclamazione e nomina, sibbene il corpo elettorale, che ha espresso il proprio libero orientamento nell’ambito di una valida competizione elettorale.

Per quanto concerne la posizione del Rettore, la norma sulla sfiducia rappresenta un’applicazione immediata del nuovo status di autonomia, di cui, oramai, le Università godono nei confronti del Ministero, che trova il proprio fondamento e nell’art. 33 della Costituzione e nella legge del 9 maggio 1989, n.68 s.m.i., in forza della quale le Università non sono più organi dello Stato, ma enti pubblici autonomi (si veda Cass., sez. Unite, 10 maggio 2006 n. 10700[1]). Posto ciò, risulta oggi di non facile interpretazione, anche alla luce del quadro costituzionale generale successivo, il potere di revoca ministeriale della carica di Rettore per gravi motivi, di cui all’art. 2 del Decreto Legislativo Luogotenenziale del 7 settembre 1944, n. 264[2]. Secondo tale norma al Ministro spetterebbe, non solo, la formalizzazione della nomina della carica di Rettore con proprio decreto, ma anche un unilaterale potere di revoca a fronte di non precisati gravi motivi, sentito il Consiglio dei Ministri. Orbene una norma di questo tipo rispondeva ad un assetto squisitamente centralistico dell’ordinamento universitario, laddove il Ministro rappresentava un vero e proprio superiore gerarchico rispetto al Rettore, munito di penetranti poteri revocatori di secondo grado e d’interferenza sull’ordinamento universitario interno ad ogni singolo Ateneo; una visione, dunque, verticistica, che contrasta con l’attuale assetto organizzativo, nonché con il sopravvenuto quadro normativo e costituzionale. Proprio con l’approvazione della legge 240/2010 s.m.i. si assiste ad un procedimento di rilevante marginalizzazione del Ministero, quanto meno sul piano istituzionale, nei confronti delle singole Università, che mal si concilia con la persistenza di una norma che, per contro, riserva al Ministro rilevanti poteri di revoca della carica di vertice di un Ateneo. Si pensi al decentramento delle funzioni disciplinari nei confronti dei docenti, precedentemente demandate al CUN e oggi, per contro, ad un organo interno all’Ateneo, il Collegio di Disciplina, nonché all’attuale composizione del Consiglio di Amministrazione, che non annovera più tra i suoi ranghi un rappresentante del Ministero, per contro rimasto nel Collegio dei revisori dei conti. In buona sostanza, a parere di chi scrive, è più coerente ravvisare in questo quadro un’implicita abrogazione ovvero la necessità di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2 del Decreto Legislativo Luogotenenziale del 7 settembre 1944, n. 264, con specifico riferimento all’esercizio del potere di revoca, per evidente incompatibilità con il sopravvenuto quadro normativo e giurisprudenziale. Vero è che la nomina del Rettore viene formalizzata con decreto del Ministro, ma la sua revoca non può essere disposta da quest’ultimo, senza che un previo pronunciamento di sfiducia sia promosso dal Senato Accademico con voto qualificato e che il corpo elettorale, a norma dei singoli statuti, non si sia espresso su di essa. In buona sostanza, il Ministro, sebbene formalmente investito del potere cd di nomina, non può procedere autonomamente alla revoca della carica di un Rettore e alla conseguente indizione di nuove elezioni, non rispettando il principio del contrarius actus e, cioè, della specularità tra procedura d’individuazione dell’eletto e sua revoca. L’autonomia costituzionale delle Università, per come prospettata, postula che i propri organi elettivi, espressione di un ente pubblico autonomo, siano sottratti all’immediata e diretta ingerenza degli organi ministeriali, in quanto la loro genesi e il loro operato sono necessariamente improntati ai principi democratici del consenso. Operativamente, a fronte di rilevanti violazioni ad opera del Rettore, che riveste pur sempre la funzione di organo d’indirizzo, spetta al Senato Accademico, organo a composizione qualificata, promuovere la mozione di sfiducia, chiedere al decano la convocazione del corpo elettorale, deliberare, se del caso, il rilascio di procure ai fini della costituzione di parte civile nel caso di processi penali pendenti, nonché la formale contestazione degli eventuali illeciti disciplinari al Rettore, per trasmetterli poi al Comitato di disciplina. In nessun caso l’attuale sistema costituzionale universitario, anche alla luce dell’ultima novella in commento, ammette oggi, a parere dello scrivente, interventi esterni, assimilabili alle procedure di commissariamento proprie del mondo degli enti locali e territoriali, peraltro analiticamente codificate da puntuali norme di legge.

Un’analisi comparata dei vari regolamenti elettorali approvati dalle Università rileva, poi, come la problematica dell’esercizio del potere di revoca di una carica accademica sia affatto ed incredibilmente negletta, nonostante la sua rilevante delicatezza e la potenziale latenza di contenzioso. La regolamentazione interna è prodiga di particolari, con riferimento alla sola procedura elettorale d’individuazione del soggetto eletto, ma del tutto evasiva sulla revoca delle suddette cariche elette. Nel sistema costituzionale interno ad un Ateneo il Rettore proclama e nomina con proprio decreto gli organi delle varie articolazioni dell’Ateneo, ma non per questo può disporre autonomamente la loro revoca senza previa consultazione del corpo elettorale; specularmente, cioè, a quanto detto in merito all’esercizio del potere di revoca da parte del Ministro. A fronte del silenzio della legge e della norma regolamentare, dunque, è necessario individuare l’iter da seguire non solo per un corretto esercizio del potere di revoca, ma anche di quello di nomina di organi commissariali ad acta preposti alla gestione ordinaria, tale da evitare soluzioni di continuità nella vita istituzionale degli organi stessi. Sul punto la giurisprudenza amministrativa (TAR Bologna, 3485/2008) ha precisato che la pronuncia di decadenza dalla carica compete al medesimo corpo elettorale che ha contribuito all’individuazione dell’eletto. “L’atto rettorale riveste la natura di mera investitura formale del tutto incomparabile ai provvedimenti di nomina motu proprio da parte del Rettore”; in buona sostanza, la fonte attributiva della carica risiede non in tale presa d’atto rettorale, sibbene nella libera espressione del corpo elettorale docente. Un atto diretto d’intervento del Rettore, non mediato dal consenso, sulla carica elettiva (es.: direttore di un dipartimento, direttore di una scuola, ecc.) risulta, quindi, viziato d’incompetenza ed azionabile davanti al giudice amministrativo. Semmai il Rettore, onde evitare prevedibili situazioni d’impasse sul funzionamento di organi interni, potrebbe, a parere dello scrivente, invitare il decano affinché convochi il corpo elettorale e si pronunci quest’ultimo sulla proposta di revoca dell’eletto.  Nell’ambito di tale procedura risulta fortemente dubbia l’eventualità di una nomina commissariale ad acta, in quanto il decano, nelle more delle consultazioni, potrebbe validamente svolgere tutti quegli atti di ordinaria amministrazione volti a garantire il minimo funzionamento istituzionale nelle more del voto. A parere di chi scrive le funzioni commissariali non sono dissociabili dall’esercizio delle funzioni gestionali; la loro sovrapposizione alle funzioni d’indirizzo potrebbe palesare gravi inconvenienti di sospensione della vita democratica interna ad un Ateneo.

In conclusione, è necessario che ogni singola Università, tenuto conto della propria natura di ente autonomo, adegui i propri statuti e regolamenti al nuovo quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, disciplinando e contemperando con i necessari e dovuti contrappesi, le procedure di revoca e sostituzione di una carica eletta, nonché i poteri d’intervento del decano nella fase revocatoria, prevedendo, al contempo, l’eccezionalità di organi ad acta, il cui utilizzo sia limitato a garantire la continuità delle mere funzioni gestionali.


[1] “Alle Università statali, dopo la riforma introdotta dalla legge 9 maggio 1989 n. 168, non può essere riconosciuta la qualità di organi dello Stato, ma quella di enti pubblici autonomi, con la conseguenza che, ai fini della rappresentanza e difesa da parte dell'Avvocatura dello Stato, non opera il patrocinio obbligatorio disciplinato dagli artt. da 1 a 11 del r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, bensì, in virtù dell'art. 56 del r.d. 31 agosto 1933 n. 1592, non abrogato dalla legge n. 168 del 1989, il patrocinio c.d. autorizzato (o facoltativo) disciplinato dagli art. 43 del r.d. n. 1611 del 1933, come modificato dall'art. 11 della legge 3 aprile 1979 n. 103, e 45 r.d. cit., con i limitati effetti previsti per tale forma di rappresentanza: esclusione della necessità del mandato e facoltà, salvo i casi di conflitto, di non avvalersi dell'Avvocatura dello Stato con apposita e motivata delibera; l'inapplicabilità del foro dello Stato (art. 25 c.p.c.) e della domiciliazione presso l'Avvocatura ai fini della notificazione di atti e provvedimenti giudiziali (art. 144 c.p.c.), previsti per le sole amministrazioni dello Stato”.

[2]“ I rettori delle Universita' o i direttori degli Istituti  superiori governativi sono eletti a maggioranza di voti dal Corpo accademico  e nominati con decreto del Ministro per la pubblica istruzione.  Durano in carica un triennio e possono essere rieletti.  Anche  prima  della scadenza del triennio, il Ministro puo', per gravi motivi, sentito il Consiglio dei Ministri, revocare il rettore o direttore, invitando il Corpo accademico a procedere ad una nuova elezione. Nel frattempo il professore piu' anziano del Corpo accademico assume  le  funzioni  di rettore o direttore”.

Ultima modifica il 28 Febbraio 2015