Con una significativa sentenza del 23 ottobre 2025, il Tribunale Ordinario di Roma, in funzione di Giudice del Lavoro, ha pienamente accolto le ragioni di un Dirigente Scolastico, assistito dall'Avv. Michele Bonetti, affermando il suo diritto a ottenere l'assegnazione in una sede di servizio compatibile con le esigenze di assistenza a un familiare con disabilità grave, in applicazione dell'art. 33 della Legge n. 104/1992. La decisione ha comportato la disapplicazione della clausola del bando di concorso che limitava tale diritto alla fase successiva all'assegnazione regionale, riconoscendo la prevalenza della norma primaria a tutela dei diritti costituzionalmente garantiti.
La vicenda trae origine dalla partecipazione del ricorrente al Corso-Concorso riservato per Dirigenti Scolastici. Risultato vincitore, il medesimo veniva tuttavia assegnato alla Regione Lombardia, nonostante avesse tempestivamente comunicato al Ministero dell'Istruzione e del Merito (MIM) la sua condizione di unico caregiver della madre, convivente, novantaseienne e riconosciuta portatrice di handicap grave ai sensi dell'art. 3, comma 3, della L. 104/1992, con invalidità al 100% non rivedibile.
Il Dirigente aveva richiesto l'assegnazione a una delle numerose sedi vacanti nella Regione Lazio, e in particolare a Roma, per poter continuare a prestare assistenza continuativa alla madre. Il Ministero, tuttavia, respingeva la richiesta, sostenendo che i benefici previsti dalla L. 104/1992 fossero "spendibili nella fase successiva alle assegnazioni in sede regionale". Tale interpretazione lo avrebbe di fatto costretto a scegliere una sede all'interno della Lombardia, rendendo impossibile l'assistenza al familiare disabile residente a Roma.
Di fronte a tale diniego, il Dirigente adiva il Tribunale di Roma con un ricorso d'urgenza ex art. 700 c.p.c., ottenendo un'ordinanza cautelare che ordinava al Ministero di assegnarlo provvisoriamente a una sede vacante a Roma. In esecuzione di tale provvedimento, gli veniva conferito l'incarico triennale presso un Istituto Scolastico romano.
La pronuncia di merito dello scorso 23 ottobre, con la quale si conferma totalmente l’esito raggiunto in sede cautelare, pur inserendosi in un solco giurisprudenziale consolidato, rappresenta un’importante vittoria nel campo dei diritti del dipendente pubblico in quanto stabilisce con chiarezza che:
- Il diritto alla scelta della sede di lavoro più vicina al familiare disabile, previsto dall'art. 33, comma 5, della L. 104/1992, deve essere garantito sin dalla fase di assegnazione ai ruoli regionali nei concorsi nazionali.
- Le disposizioni di un bando di concorso non possono limitare o derogare a tale diritto, in quanto la L. 104/1992 è una norma di rango primario che tutela interessi di rilevanza costituzionale.
- L'Amministrazione è tenuta a disapplicare le clausole del bando in contrasto con la legge, verificando la concreta possibilità di assegnazione del lavoratore a una sede idonea, come nel caso di specie, data l'ampia disponibilità di posti nella regione richiesta.
Questa pronuncia riafferma, in conclusione, la centralità della persona e della famiglia nel sistema giuridico, garantendo che le esigenze di cura e assistenza non siano sacrificate sull'altare di interpretazioni burocratiche e restrittive delle norme.
TAR Lazio, Sez. III Quater, sentenza n. 5287/2022 – Ritardata assunzione e risarcimento del danno da errore valutativo della P.A.
Pubblicato in Altri diritti
Con la sentenza n. 5287/2022, il TAR Lazio – Sezione Terza Quater – ha accolto parzialmente il ricorso patrocinato dall’Avv. Michele Bonetti, riconoscendo la responsabilità della Pubblica Amministrazione per il danno derivante dalla tardiva assunzione di una candidata, conseguenza diretta di un errore nella valutazione dei titoli concorsuali.
 
Il Collegio, richiamando la precedente decisione definitiva n. 13294/2021, ha ritenuto accertato l’errore della Commissione esaminatrice nell’attribuzione del punteggio, errore che aveva inciso in modo determinante sulla posizione della candidata in graduatoria e, dunque, sulla tempistica della sua immissione in ruolo.
In applicazione dei principi generali in tema di responsabilità della P.A., il Tribunale ha evidenziato che sussistono tutti gli elementi del fatto illecito di cui agli artt. 2043 e 1226 c.c., in quanto la condotta amministrativa, caratterizzata da colpa, ha cagionato un pregiudizio patrimoniale ingiusto.
 
Il TAR ha tuttavia precisato che, in assenza di un rapporto di impiego già in essere, non può trovare applicazione l’istituto della ricostruzione della carriera previsto nei casi di illegittima sospensione o interruzione del rapporto, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato (Sez. VII, n. 5706/2024; n. 9974/2023).
La tutela azionabile è pertanto solo quella risarcitoria per equivalente, volta a reintegrare in via economica il pregiudizio subito.
 
Ai fini della quantificazione, il Giudice amministrativo ha adottato un criterio equitativo, valorizzando la differenza tra il reddito percepito e quello che sarebbe stato corrisposto in caso di tempestiva assunzione, liquidando complessivamente €10.000,00, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali. La sentenza richiama, a fondamento di tale criterio, precedenti della stessa Sezione (TAR Lazio, Sez. III bis, n. 10274/2024; Cons. Stato, Sez. II, n. 5128/2022).
 
La decisione riveste rilievo sistematico perché riafferma il principio secondo cui la Pubblica Amministrazione, nell’esercizio della discrezionalità concorsuale, è tenuta ad agire secondo correttezza e buona fede (art. 1, comma 2-bis, L. 241/1990), rispondendo civilmente degli errori valutativi che determinano ritardi o preclusioni nell’accesso al pubblico impiego.
Una pronuncia che conferma la funzione risarcitoria del giudizio amministrativo ex art. 30 c.p.a. come strumento effettivo di tutela dell’affidamento e della parità di trattamento dei cittadini.
Il T.A.R. Lazio ordina al Ministero dell’Istruzione l’immediata esecuzione di sentenza di stabilizzazione docente vincitore di concorso
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Con la sentenza n. 6631/2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sezione Terza Bis – ha accolto il ricorso presentato per l’ottemperanza di una pronuncia precedente che riconosceva il diritto all’assunzione e alla presa di servizio di un docente vincitore di concorso nella classe di concorso B015 (laboratori di scienze e tecnologie elettriche ed elettroniche).

Il giudice ha rilevato che, nonostante il superamento delle prove concorsuali e l’iscrizione senza riserva nella graduatoria regionale con contestuale assegnazione della provincia di servizio, l’Amministrazione non ha proceduto all’effettiva assegnazione del posto né alla presa di servizio, in violazione del precedente giudicato.

La sentenza ha quindi disposto:

  • L’obbligo per l’Amministrazione di eseguire il giudicato entro 60 giorni dalla comunicazione o notificazione, adottando tutti gli atti necessari a salvaguardare la posizione consolidata nel procedimento.
  • La nomina di un Commissario ad acta, rappresentato dal Direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale competente, con facoltà di delega e senza compenso, cui è affidato il compito di assicurare l’esecuzione della sentenza entro 120 giorni dalla scadenza del termine concesso all’Amministrazione.
  • La condanna dell’Amministrazione resistente al pagamento delle spese processuali, liquidate in € 750,00 oltre accessori di legge.

La decisione ribadisce l’efficacia conformativa del giudicato relativamente alla posizione del vincitore di concorso, sottolineando l’obbligo dell’Amministrazione di assicurare l’effettiva stabilità e il diritto alla presa di servizio senza ulteriori ritardi, in linea con principi di buona amministrazione e certezza del diritto.

Polizia di Stato. Illegittimo il giudizio di inidoneità permanente al servizio se contraddittorio e privo di adeguata istruttoria: il TAR Bologna annulla il provvedimento e rimette la valutazione all'Amministrazione
Pubblicato in La voce del diritto
Con la sentenza n. 1129/2024, pubblicata il 30 settembre 2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna ha accolto il ricorso di un agente della Polizia di Stato, annullando i provvedimenti con cui era stato dichiarato permanentemente non idoneo al servizio. La pronuncia si rivela di notevole interesse in quanto riafferma i limiti del sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica della Pubblica Amministrazione, censurando un'istruttoria carente e una motivazione illogica e contraddittoria alla base del giudizio medico-legale.
La vicenda processuale. 
La controversia trae origine dalla vicenda di un agente della Polizia di Stato rappresentato e difeso dall'Avv. Michele Bonetti che, a seguito di un sinistro stradale e del rinvenimento di farmaci prescritti nel suo veicolo, veniva sottoposto a visita psichiatrica. 
Dopo un periodo di inidoneità temporanea, in cui comunque il ricorrente ha seguito un percorso terapico, numerosi accertamenti sanitari, sia da parte di strutture militari che di specialisti privati, attestavano comunque un progressivo e costante miglioramento, fino alla completa remissione della presunta patologia e alla sospensione totale della terapia farmacologica. La Commissione Medica del Dipartimento Militare di Medicina Legale giudicava l'agente "NON IDONEO permanentemente ed in modo assoluto al servizio nella Polizia di Stato", pur ritenendolo idoneo ai ruoli civili.
Il giudizio veniva confermato in seconda istanza dalla Commissione Medica Interforze, portando all'impugnazione degli atti dinanzi al TAR per l'Emilia Romagna. Inizialmente, il TAR respingeva l'istanza cautelare, ritenendo il provvedimento sufficientemente motivato e non ravvisando un danno grave e irreparabile. Tuttavia, il Consiglio di Stato, in sede di appello cautelare, riformava l'ordinanza, accogliendo la richiesta di sospensiva ai sensi e per gli effetti dell'art. 55 comma 10 cpa. Il Giudice d'appello ravvisava la sussistenza del fumus boni iuris, evidenziando il contrasto tra i giudizi negativi delle commissioni mediche e altre diagnosi che attestavano un netto miglioramento. Inoltre, sottolineava come non fosse chiaro a quale delle patologie previste dalla normativa di settore (d.P.R. 834/1981 e tabelle del d.m. 198/2003) fosse riconducibile il disagio psichico sofferto dall'agente, suggerendo l'opportunità di un approfondimento istruttorio.
L'analisi del TAR Bologna nella sentenza di merito.
Investito nuovamente della questione per la trattazione del merito, il TAR Bologna, con sentenza definitiva, ha accolto le doglianze del ricorrente, annullando gli atti impugnati.
Il Collegio ha fondato la propria decisione su due profili principali di illegittimità: la contraddittorietà e il difetto di motivazione, e la mancata riconducibilità della patologia alla normativa di settore.
- Contraddittorietà e difetto di motivazione
Il Tribunale ha rilevato una palese contraddittorietà nell'operato della Commissione medica di seconda istanza. Nel verbale impugnato, la Commissione menzionava espressamente i numerosi accertamenti medici prodotti dal ricorrente, i quali davano conto della remissione della patologia e dell'assenza di elementi ostativi alla ripresa dell'attività lavorativa. Tuttavia, la stessa Commissione, giungeva a conclusioni diametralmente opposte senza fornire una spiegazione chiara ed esaustiva delle ragioni per cui aveva deciso di discostarsi da tali risultanze.
Nel verbale, infatti, la Commissione di seconda istanza, pur richiamando plurimi accertamenti medico-sanitari (visite psichiatriche e valutazioni psicodiagnostiche) effettuati dal ricorrente presso diversi istituti ove veniva confermata l’assenza di motivi ostativi al ritorno al lavoro dello stesso, non ha esplicitato, in modo chiaro ed esaustivo, le ragioni per le quali ha ritenuto di discostarsi da tali accertamenti. 
Il giudizio diagnostico finale è stato ritenuto "oggettivamente insufficiente". Tale diagnosi, come evidenziato nel ricorso introduttivo, si fondava su "tratti di rigidità", espressione priva di valenza nosografica secondo il DSM-5 e assimilabile più a una valutazione caratteriale che a una diagnosi clinica. Il TAR ha concluso che tale giudizio scontava un evidente difetto motivazionale, non avendo adeguatamente considerato la documentazione sanitaria agli atti prodotta dalla difesa del ricorrente.
- Mancata riconducibilità della patologia alla normativa di settore
Accogliendo un'osservazione già sollevata dal Consiglio di Stato in sede cautelare, il TAR ha censurato l'Amministrazione per non aver chiarito a quale specifica patologia, tra quelle elencate nel d.P.R. n. 834/1981 e nelle tabelle allegate al D.M. n. 198/2003, fosse riconducibile la condizione dell'agente. Questo aspetto è cruciale, poiché un giudizio di inidoneità permanente deve necessariamente fondarsi su cause di infermità tassativamente previste dalla normativa che regola i requisiti psico-fisici per il servizio nella Polizia di Stato.
Principi di diritto e portata della pronuncia.
La sentenza del TAR Bologna afferma importanti principi in materia di sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica. Il giudice amministrativo, pur non potendo sostituire la propria valutazione a quella dell'Amministrazione, ha il potere e il dovere di verificare la logicità, la coerenza e la completezza dell'istruttoria, nonché l'adeguatezza della motivazione.
La decisione assume particolare rilevanza per tre ordini di ragioni:
In primo luogo, viene ribadito che, a fronte di provvedimenti con effetti altamente pregiudizievoli per il destinatario, come la cessazione dal servizio, l'Amministrazione è tenuta a una motivazione "rafforzata", che dia conto in modo puntuale e rigoroso di tutti gli elementi istruttori, specialmente di quelli di segno contrario alla decisione finale.
La pronuncia offre, inoltre, una significativa tutela ai dipendenti pubblici la cui idoneità viene messa in discussione per patologie di natura psichica. Si afferma implicitamente che una condizione pregressa e risolta non può costituire, di per sé, una causa automatica di inidoneità permanente. È necessario un accertamento attuale, rigoroso e scientificamente fondato che dimostri la persistenza di una condizione incompatibile con le mansioni, alla luce delle specifiche previsioni normative.
In ultima istanza la vicenda mette in luce una contraddizione nell'agire dell'Amministrazione, che ha giudicato l'agente solo "temporaneamente" inidoneo durante la fase acuta della patologia, per poi dichiararlo "permanentemente" inidoneo proprio quando la guarigione era stata ampiamente certificata.
In conclusione, il TAR Bologna, annullando gli atti e imponendo all'Amministrazione una nuova e più accurata valutazione, ha ripristinato la legalità, censurando un'azione amministrativa superficiale e irragionevole e garantendo che le decisioni sul futuro professionale di un servitore dello Stato siano ancorate a presupposti fattuali e giuridici solidi e verificabili.

1. La novità del provvedimento.

 

L’ordinanza del T.A.R. Lombardia, Sez. III, 25 settembre 2025, n. 2526 segna un punto di svolta nel contenzioso relativo all’esame di abilitazione forense. Per la prima volta, la violazione del principio di pubblicità della seduta orale è stata ritenuta idonea a giustificare l’accoglimento della domanda cautelare, con la conseguente sospensione dell’esito negativo e la ripetizione della prova. La peculiarità della decisione consiste nell’aver esteso a pieno titolo all’orale dell’esame di abilitazione una tutela tipicamente affermata in materia di concorsi pubblici, riconoscendo che anche in questo contesto il rispetto della pubblicità non è mero formalismo, bensì garanzia sostanziale di trasparenza e imparzialità.

2. Confronto con la giurisprudenza sull’onere motivazionale.

Il ricorso del candidato rappresentato e difeso dagli Avv.ti Michele Bonetti e Avv. Alessandro Bianchini aveva sollevato plurime censure, tra cui la contestazione dell’adeguatezza del solo voto numerico come forma di motivazione. Sul punto, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (20 settembre 2017, n. 7) ha affermato che il giudizio espresso con voto numerico soddisfa l’onere motivazionale, purché accompagnato da criteri generali predeterminati. Tuttavia, già in giurisprudenza si era aperto uno spazio critico. Il T.A.R. Milano (Sez. III, sentt. nn. 1170, 1215 e 1400/2025) ha sottolineato come la drastica riduzione del numero dei candidati e la semplificazione dell’orale (articolato in sole tre fasi, con materie limitate) abbiano attenuato le ragioni organizzative che in passato giustificavano la sufficienza del voto numerico. Tale vicenda si colloca esattamente in questa linea evolutiva: il T.A.R., pur non pronunciandosi espressamente sulla questione del voto numerico, ha di fatto valorizzato l’assenza di verbalizzazione di circostanze essenziali (pubblicità della seduta) come vizio invalidante. Si tratta di un ampliamento dei doveri di verbalizzazione che va oltre la mera espressione numerica.

3. Pubblicità della prova e precedenti giurisprudenziali

Il principio di pubblicità nelle prove orali concorsuali è stato da tempo riconosciuto come corollario dell’art. 97 Cost. Tra le altre si segnala una pronuncia del Consiglio di Stato (Sez. III, n. 1622/2014), con cui è stato statuito che la pubblicità garantisce ai candidati un interesse qualificato a presenziare alle prove altrui. Ancora, il T.A.R. Toscana (Sez. I, n. 805/2016) ha disposto che un’aula è pubblica solo se è consentito libero ingresso a chiunque voglia assistere. Ad adiuvandum, si segnala il T.A.R. Lombardia (Sez. III, n. 759/2019): la verbalizzazione deve dare conto delle misure adottate per garantire la pubblicità. L’ordinanza in commento si inserisce in questa tradizione, ma la innova in quanto la applica all’esame di Stato forense, che ha una sua autonomia regolamentare. In tale articolato contesto normativo, il T.A.R. ha ritenuto dirimente l’assenza, nel verbale del 27 maggio 2025, di qualunque menzione alle modalità di accesso alla sala, reputando irrilevante la difesa ministeriale fondata sulla fede privilegiata dell’atto: un verbale silente non può attestare ciò che non dice.

4. La tensione tra formalismo e garanzie sostanziali.

La decisione pone un delicato bilanciamento: da un lato, la P.A. invoca la semplificazione (voto numerico, verbalizzazione ridotta, esigenze organizzative); dall’altro, i candidati rivendicano garanzie di trasparenza, motivazione e pubblicità. Il T.A.R. sembra propendere per un’interpretazione evolutiva, coerente con la riduzione del numero di candidati (11.164 nella sessione 2024, contro oltre 27.000 nel 2016) non vi è più un carico tale da giustificare la compressione delle garanzie. Ne consegue che il principio di pubblicità deve essere osservato in modo pieno e formalizzato, pena l’invalidità della prova. La porta “accostata” non basta; occorre una verbalizzazione chiara, verificabile e documentata.

5. Prospettive sistemiche.

L’ordinanza apre nella sostanza a tre possibili scenari:

- Contenzioso futuro: i candidati che abbiano subito prove a porte chiuse o in assenza di adeguata verbalizzazione potrebbero invocare il precedente per ottenere la ripetizione della prova.

- Prassi delle sottocommissioni: le commissioni d’esame saranno indotte a un maggiore rigore, sia nella gestione logistica (garanzia di porte aperte, presenza di pubblico), sia nella verbalizzazione.

- Evoluzione normativa: il caso mostra come il legislatore e il Ministero siano chiamati a riconsiderare la disciplina transitoria (art. 47 L. 247/2012) e le modalità di motivazione e pubblicità, in linea con i principi europei di trasparenza procedimentale (art. 41 Carta di Nizza).

6. Conclusione critica.

L’ordinanza T.A.R. Lombardia n. 2526/2025 segna un precedente importante, in quanto riconosce la centralità del principio di pubblicità non come formalismo, ma come garanzia sostanziale. In tal senso apre a una revisione critica del sistema del voto numerico e della verbalizzazione ridotta e contestualmente pone le basi per una giurisprudenza più rigorosa sul rispetto delle regole procedurali nell’abilitazione forense. In prospettiva, si tratta di un passo verso la trasformazione dell’esame di Stato da rito selettivo a procedura amministrativa pienamente giustiziale, sottoposta a regole di trasparenza, motivazione e pubblicità, a tutela non solo dei candidati, ma dell’intero decoro della professione forense.

                                                                                   Avv. Michele Bonetti

Il TAR accoglie ancora i ricorsi sul riconoscimento dei titoli esteri. Ne parliamo il 14 aprile 2025 con illustri esperti della materia
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Mentre il MIM continua a rigettare le istanze di riconoscimento dei titoli esteri dei docenti di sostegno e continua a temporeggiare sui percorsi INDIRE, il TAR Lazio continua a riconoscere le ragioni dei ricorrenti, accogliendone le domande cautelari.

Il TAR Lazio, differentemente dall’Amministrazione, si riporta nuovamente ai principi dell’Adunanza Plenaria in materia facendo riferimento alla necessità di una comparazione esaustiva del percorso formativo per garantire coerenza con i principi europei sul riconoscimento dei titoli professionali.

Il G.A., inoltre, conferma che l’Amministrazione debba compiere una valutazione effettiva e non superficiale, che prenda in considerazione la formazione svolta dai ricorrenti e le esperienze lavorative maturate negli ambiti di riferimento del titolo.

“La lunga e complessa questione del riconoscimento dei titoli esteri per l’esercizio della professione docente in Italia è da tempo al centro della nostra dell’attenzione” commenta l’Avvocato Bonetti, founder dello Studio Legale Bonetti & Delia. “Il TAR ha confermato, come già accaduto in altre circostanze, la validità delle posizioni degli insegnanti, che attualmente solo attraverso le azioni giudiziarie riescono a vedere tutelati i loro diritti e le loro posizioni lavorative".

Sul punto in data 14 aprile 2025, dalle ore 13:30 alle ore 16:30, l’Avv. Michele Bonetti sarà relatore nel seminario “Diritto e Giustizia nell'Unione Europea: strumenti di tutela e accesso alla giustizia per i cittadini ripercorsi attraverso la vicenda del riconoscimento dei titoli esteri”, insieme ad altri illustri colleghi.

Per L’iscrizione all’evento è possibile compilando il link https://forms.gle/HWtb8xvEDHNignia7 o tramite il QR code riportato nella locandina allegata.

Accesso al Corso di Laurea Magistrale in Psicologia Clinica: il bando è illegittimo. Ammessi i ricorrenti.
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Il TAR dell’Aquila con ordinanza n. 62/2025 ha accolto il ricorso degli studenti che chiedevano l’immatricolazione al Corso di Laurea Magistrale in Psicologia Clinica presso l’Università degli Studi dell’Aquila.

In particolare, l’iscrizione al corso di laurea Magistrale in Psicologia Clinica veniva subordinata alla partecipazione ad una procedura di valutazione del curriculum. Pertanto, i ricorrenti venivano esclusi dal corso di laurea ambito esclusivamente in virtù della durata del percorso di studi triennale e dei voti conseguiti in alcuni esami, criterio che veniva censurato nel ricorso.

Si censurava, altresì, la presenza di posti rimasti liberi e non coperti.

L’Ateneo da un lato ha previsto una modalità di selezione che stride con quella che dovrebbe essere una naturale prosecuzione del percorso di studi, essendo gli studenti tutti in possesso di una laurea triennale,dall’altro latonel prevedere tale tipo di modalità accesso, ha completamente stravolto la disciplina prevista ai sensi della legge 264 del 1999, discostandosi dai dettami in materia di accesso programmato e prevedendo modalità di accesso assolutamente illegittime.

Fulcro della decisione del TAR è proprio l’accoglimento del motivo di diritto in cui si contestavano le modalità di accesso ai corsi di laurea in parola.

In particolare il Collegio statuiva che “l’accesso ai corsi per i quali è prevista la programmazione presuppone il previo superamento di apposite prove da intendersi quali esami di verifica della preparazione del candidato e tali prove non sono surrogabili, come invece avvenuto nella presente vicenda, attraverso il ricorso ad altre tipologie di selezione quale la valutazione del curriculum”.

Il TAR dunque ha ritenuto sussistere il pericolo di un danno grave e irreparabile in ragione dell’interesse dei ricorrenti ad evitare ulteriori ripercussioni negative sul proprio percorso di studi, constatando altresì una chiara violazione del principio meritocratico e del diritto allo studio costituzionalmente garantito.

La decisione del TAR segna un'altra vittoria per lo Studio Legale degli Avv.ti Michele Bonetti e Santi Delia sul tema del diritto allo studio.

“L’ammissione dei ricorrenti al corso di laurea ambito ci riempie di soddisfazione” commenta l’Avv. Michele Bonetti che ha patrocinato la causa.“Gli ostacoli imposti dall’Amministrazione, attraverso la predisposizione di una procedura di selezione illegittima, sono stati arginati con caparbietà e convinzione dal nostro studio legale, che ha sin dall’inizio riconosciuto la gravità della lesione subita dai ricorrenti”.

 

 

Riscatto ai fini pensionistici. Il TAR dichiara il diritto del ricorrente a riscattare gratuitamente gli anni di laurea e condanna il Ministero della Difesa alle spese legali.
Pubblicato in La voce del diritto

Il TAR per la Basilicata con sentenza n. 139/2025 del 25 febbraio 2025 si è pronunciato sull’accertamento del diritto a riscattare gratuitamente gli anni di laurea ai sensi dell’art. 32 DPR n. 1092/1973.

In particolare il ricorrente chiedeva all’Amministrazione il riconoscimento dei 5 anni della durata legale del Corso di Laurea in Ingegneria Civile.

La norma oggetto del contenzioso, rubricata “Studi superiori richiesti agli ufficiali”, recita che “nei confronti degli ufficiali per la cui nomina in servizio permanente effettivo sia stato richiesto il possesso del diploma di laureasi computano tanti anni antecedenti alla data di conseguimento di detto titolo di studio quanti sono quelli corrispondenti alla durata legale dei relativi corsi.”

Dunque, al fine di poter far valere il diritto al riscatto degli anni di laurea ai fini pensionistici, bisogna possedere la qualifica di ufficiali in servizio permanente effettivo per la cui relativa nomina viene richiesta la laurea.

Nonostante il possesso dei requisiti richiesti, l’Amministrazione non riconosceva il diritto del ricorrente al riscatto ai fini pensionistici. Secondo l’Amministrazione, la disposizione in esame sarebbe “applicabile solo ai nuovi arruolati” e non anche agli Ufficiali del disciolto Corpo Forestale dello Stato che siano transitati nell’Arma dei Carabinieri a decorrere dal 1° gennaio 2017.  

Tale interpretazione è stata smentita dal TAR Potenza che nel confermare quanto da noi riprodotto nel ricorso introduttivo e richiamando plurime pronunce dei TAR e del Consiglio di Stato si è uniformato al recente orientamento giurisprudenziale.

Infatti, si ritiene che “l’espressione “ufficiali” di cui all’art. 32 cit. sia da intendere come riferita anche agli ufficiali del Corpo Forestale che, ancorché non militari, abbiano acquisito la qualifica nell’Amministrazione di provenienza in forza di un concorso per il quale era richiesta la laurea, questa essendo la condizione imposta dalla norma.” (Cons. Stato Sent. 28 dicembre 2021 n. 8680; TAR Parma Sent. n. 170 del 15.6.2022; TAR Brescia Sent. n. 1036 del 27.10.2022; TAR Molise, 12 gennaio 2022, n. 477/2022)

La disposizione in esame, nel riferirsi agli “ufficiali per la cui nomina in servizio permanente effettivo sia stato richiesto il possesso del diploma di laurea” non opera alcun distinguo circa il ruolo di provenienza dell’Ufficiale.

La presente sentenza ha esteso l’applicazione del predetto art. 32 DPR n. 1092/1973 anche agli ufficiali del soppresso Corpo Forestale dello Stato, transitati in data 1.1.2017 nell’Arma dei Carabinieri, che ai sensi dell’art. 18 comma 11, D. g.vo n. 177/2016 conservano il regime di quiescenza dell’ordinamento di provenienza, in quanto pur se prima dell’1.1. 2017 non erano militari, ma come il ricorrente erano stati nominati Ufficiali, per la cui nomina era necessario il possesso del diploma di laurea, dopo il transito nell’Arma dei Carabinieri stabilito dal citato D.Lg.vo n. 177/2016, sono diventati Ufficiali militari in servizio permanente effettivo, anche perché sono laureati, specificando che il suddetto art. 32 DPR n. 1092/1973 va applicato, ai sensi dell’art. 2, ultimo comma, D.L. n. 694/1982 conv. nella L. n. 881/1982, se il diploma di Laurea è stato considerato ai fini dei successivi sviluppi di carriera.

 

 

 

 

 

Riscatto ai fini pensionistici. Il TAR dichiara il diritto del ricorrente a riscattare gratuitamente gli anni di laurea e condanna il Ministero della Difesa alle spese legali.
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Il TAR per la Basilicata con sentenza n. 139/2025 del 25 febbraio 2025 si è pronunciato sull’accertamento del diritto a riscattare gratuitamente gli anni di laurea ai sensi dell’art. 32 DPR n. 1092/1973.

In particolare il ricorrente chiedeva all’Amministrazione il riconoscimento dei 5 anni della durata legale del Corso di Laurea in Ingegneria Civile.

La norma oggetto del contenzioso, rubricata “Studi superiori richiesti agli ufficiali”, recita che “nei confronti degli ufficiali per la cui nomina in servizio permanente effettivo sia stato richiesto il possesso del diploma di laureasi computano tanti anni antecedenti alla data di conseguimento di detto titolo di studio quanti sono quelli corrispondenti alla durata legale dei relativi corsi.”

Dunque, al fine di poter far valere il diritto al riscatto degli anni di laurea ai fini pensionistici, bisogna possedere la qualifica di ufficiali in servizio permanente effettivo per la cui relativa nomina viene richiesta la laurea.

Nonostante il possesso dei requisiti richiesti, l’Amministrazione non riconosceva il diritto del ricorrente al riscatto ai fini pensionistici. Secondo l’Amministrazione, la disposizione in esame sarebbe “applicabile solo ai nuovi arruolati” e non anche agli Ufficiali del disciolto Corpo Forestale dello Stato che siano transitati nell’Arma dei Carabinieri a decorrere dal 1° gennaio 2017.  

Tale interpretazione è stata smentita dal TAR Potenza che nel confermare quanto da noi riprodotto nel ricorso introduttivo e richiamando plurime pronunce dei TAR e del Consiglio di Stato si è uniformato al recente orientamento giurisprudenziale.

Infatti, si ritiene che “l’espressione “ufficiali” di cui all’art. 32 cit. sia da intendere come riferita anche agli ufficiali del Corpo Forestale che, ancorché non militari, abbiano acquisito la qualifica nell’Amministrazione di provenienza in forza di un concorso per il quale era richiesta la laurea, questa essendo la condizione imposta dalla norma.” (Cons. Stato Sent. 28 dicembre 2021 n. 8680; TAR Parma Sent. n. 170 del 15.6.2022; TAR Brescia Sent. n. 1036 del 27.10.2022; TAR Molise, 12 gennaio 2022, n. 477/2022)

La disposizione in esame, nel riferirsi agli “ufficiali per la cui nomina in servizio permanente effettivo sia stato richiesto il possesso del diploma di laurea” non opera alcun distinguo circa il ruolo di provenienza dell’Ufficiale.

La presente sentenza ha esteso l’applicazione del predetto art. 32 DPR n. 1092/1973 anche agli ufficiali del soppresso Corpo Forestale dello Stato, transitati in data 1.1.2017 nell’Arma dei Carabinieri, che ai sensi dell’art. 18 comma 11, D. g.vo n. 177/2016 conservano il regime di quiescenza dell’ordinamento di provenienza, in quanto pur se prima dell’1.1. 2017 non erano militari, ma come il ricorrente erano stati nominati Ufficiali, per la cui nomina era necessario il possesso del diploma di laurea, dopo il transito nell’Arma dei Carabinieri stabilito dal citato D.Lg.vo n. 177/2016, sono diventati Ufficiali militari in servizio permanente effettivo, anche perché sono laureati, specificando che il suddetto art. 32 DPR n. 1092/1973 va applicato, ai sensi dell’art. 2, ultimo comma, D.L. n. 694/1982 conv. nella L. n. 881/1982, se il diploma di Laurea è stato considerato ai fini dei successivi sviluppi di carriera.

 

 

 

 

 

Il TAR per la Basilicata con sentenza n. 139/2025 del 25 febbraio 2025 si è pronunciato sull’accertamento del diritto a riscattare gratuitamente gli anni di laurea ai sensi dell’art. 32 DPR n. 1092/1973.

In particolare il ricorrente chiedeva all’Amministrazione il riconoscimento dei 5 anni della durata legale del Corso di Laurea in Ingegneria Civile.

La norma oggetto del contenzioso, rubricata “Studi superiori richiesti agli ufficiali”, recita che “nei confronti degli ufficiali per la cui nomina in servizio permanente effettivo sia stato richiesto il possesso del diploma di laureasi computano tanti anni antecedenti alla data di conseguimento di detto titolo di studio quanti sono quelli corrispondenti alla durata legale dei relativi corsi.”

Dunque, al fine di poter far valere il diritto al riscatto degli anni di laurea ai fini pensionistici, bisogna possedere la qualifica di ufficiali in servizio permanente effettivo per la cui relativa nomina viene richiesta la laurea.

Nonostante il possesso dei requisiti richiesti, l’Amministrazione non riconosceva il diritto del ricorrente al riscatto ai fini pensionistici. Secondo l’Amministrazione, la disposizione in esame sarebbe “applicabile solo ai nuovi arruolati” e non anche agli Ufficiali del disciolto Corpo Forestale dello Stato che siano transitati nell’Arma dei Carabinieri a decorrere dal 1° gennaio 2017.  

Tale interpretazione è stata smentita dal TAR Potenza che nel confermare quanto da noi riprodotto nel ricorso introduttivo e richiamando plurime pronunce dei TAR e del Consiglio di Stato si è uniformato al recente orientamento giurisprudenziale.

Infatti, si ritiene che “l’espressione “ufficiali” di cui all’art. 32 cit. sia da intendere come riferita anche agli ufficiali del Corpo Forestale che, ancorché non militari, abbiano acquisito la qualifica nell’Amministrazione di provenienza in forza di un concorso per il quale era richiesta la laurea, questa essendo la condizione imposta dalla norma.” (Cons. Stato Sent. 28 dicembre 2021 n. 8680; TAR Parma Sent. n. 170 del 15.6.2022; TAR Brescia Sent. n. 1036 del 27.10.2022; TAR Molise, 12 gennaio 2022, n. 477/2022)

La disposizione in esame, nel riferirsi agli “ufficiali per la cui nomina in servizio permanente effettivo sia stato richiesto il possesso del diploma di laurea” non opera alcun distinguo circa il ruolo di provenienza dell’Ufficiale.

La presente sentenza ha esteso l’applicazione del predetto art. 32 DPR n. 1092/1973 anche agli ufficiali del soppresso Corpo Forestale dello Stato, transitati in data 1.1.2017 nell’Arma dei Carabinieri, che ai sensi dell’art. 18 comma 11, D. g.vo n. 177/2016 conservano il regime di quiescenza dell’ordinamento di provenienza, in quanto pur se prima dell’1.1. 2017 non erano militari, ma come il ricorrente erano stati nominati Ufficiali, per la cui nomina era necessario il possesso del diploma di laurea, dopo il transito nell’Arma dei Carabinieri stabilito dal citato D.Lg.vo n. 177/2016, sono diventati Ufficiali militari in servizio permanente effettivo, anche perché sono laureati, specificando che il suddetto art. 32 DPR n. 1092/1973 va applicato, ai sensi dell’art. 2, ultimo comma, D.L. n. 694/1982 conv. nella L. n. 881/1982, se il diploma di Laurea è stato considerato ai fini dei successivi sviluppi di carriera.